Nell’onda rossa la crisi sarda e la volontà di superarla

14 Dicembre 2008
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Gianna Lai
 
Vista così di fronte, nella via Dante inondata da migliaia di bandiere rosse, la manifestazione CGIL di Cagliari risponde col suo grande striscione di apertura alla recessione economica in atto: “Venerdì 12 dicembre Sciopero generale contro la crisi - Più lavoro, più salario, più pensioni, più diritti”.
“Contro il disimpegno del governo nell’isola”: i Chimici della Sardegna, la Filcem Cgil del territorio di Cagliari e Assemini, dell’Euroallumina di Portovesme, che fanno spazio nel corteo ai Chimici di Portotorres, giunti in ritardo, danno immediatamente la dimensione di quanto tragiche sarebbero le conseguenze per la classe operaia sarda se il comparto venisse meno nell’isola. “CGIL-SASSARI-CGIL”, occupa tutta la via Dante, enorme, sorretto da almeno 15 lavoratori, tra gli striscioni più belli della manifestazione, a dimostrare che l’intera città si sente rappresentata qui, dal Sindacato, in questa giornata di lotta.
 E si vede dall’inizio alla fine del corteo che non c’è rassegnazione, anzi il fatto di essere in tanti dà forza all’ironia e alla immaginazione. Bandiere rosse, “CGIL cent’anni d’Italia”, berretti, fazzoletti da testa e da collo, sciarpe, adesivi, pettorine, e  ombrelli  (se si dovesse mettere male), tutti rossi, e una enorme betoniera bardata di rosso. Anche bandiere per la pace. Sul palco un fazzoletto rosso, al modo della berritta sarda.    
Dice Giorgio Asuni responsabile della categoria, che c’è in gioco la sopravvivenza di decine di migliaia di persone: l’industria dei prodotti chimici e petroliferi è l’unica vera garanzia di occupazione per i lavoratori sardi. Perché verrebbe meno anche l’indotto, dalle industrie metalmeccaniche, alle imprese di appalto grandi e piccole, con dipendenti garantiti e con dipendenti privi di ammortizzatori sociali. Secondo la strategia dei poli, che non può promuovere stabile sviluppo nel territorio, sempre esposto alle congiunture internazionali, come nel resto del Meridione italiano. Basti pensare che, nel territorio di Cagliari, sono industre manifatturiere solo la Bridgestone e la Remosa. Gli altri sono appalti delle grandi imprese petrolifere, dove già pesante si sente la cassa integrazione, dove sarà per prima la Sindyal a entrare in crisi se chiude il petrolchimico di Portotorres. E non è detto che gli investimenti previsti alla Saras possano riassorbire i lavoratori espulsi dalle aziende in crisi.
 Regge il grande striscione della “Fiom CGIl, Federazione degli operai metallurgici di Cagliari”, il responsabile Mariano Carboni, e racconta del pericolo sventato alla Bridgestone di subire le 11 ore di lavoro giornaliere, che l’azienda voleva imporre ai dipendenti. La garanzia resta sempre il contratto Collettivo nazionale, ed è preoccupante la politica di Confindustria e del governo volta a abolirlo. Vuol dire cambiare la morfologia del sindacato l’eliminazione dei rinnovi contrattuali, sui quali si fonda la redistribuzione del reddito, il dibattito nei luoghi di lavoro, il presidio stabile sindacale per la tutela dei lavoratori in azienda, e la stessa negoziazione, sempre nei luoghi di lavoro. Governo e Confindustria vogliono cambiare la morfologia del Sindacato, conclude il sindacalista, assegnandogli la formazione professionale, la collocazione e la gestione degli ammortizzatori sociali, che competono invece direttamente allo Stato, alla sua funzione pubblica, alle sue politiche sociali, al welfare. Ed i lavoratori resterebbero sempre più soli. E, possiamo aggiungere, si modificherebbe la Costituzione materiale, svuotando l’articolo 39 della Costituzione, quello che assegna al Sindacato il compito fondamentale di stipulare i Contratti collettivi.
Nel corteo si parla di prospettive e di futuro, ci crede molto il Segretario regionale Giampaolo Diana: Governo e Confindustria non potranno non tener conto di questa imponente manifestazione, di questa ampia partecipazione del paese che chiede un uso diverso delle risorse: siamo riusciti a mobilitare 30mila lavoratori in Sardegna, con uno sforzo enorme per garantire mezzi di trasporto e organizzazione, ma sappiamo che è forte la partecipazione anche nelle oltre cento città italiane mobilitate per nuove politiche sociali e del lavoro. Se ne dovrà tener conto, e si dovrà tener conto che sul modello contrattuale non si torna indietro. Confindustria depauperizza il potere di acquisto dei lavoratori, l’attuale manovra finanziaria ne fa precipitare gli esiti. Che cosa succederà? Vi è in gioco lo Stato sociale, proprio secondo il modello che Obama in America vuole ripristinare, e noi continueremo a batterci per questo, qui in Sardegna, dove l’abbandono dell’Eni provocherebbe a cascata crisi in tutta l’isola. A rischio 60 mila lavoratori, l’industria isolana, i servizi, il commercio, l’intero il terziario, in un’isola dove la cassa integrazione è aumentata del 34%, e tutti i comparti sono in crisi, chimica metallurgia, tessile, agroalimentare. Lo capiranno anche CISL e Uil nella loro visione tutta concertativa rispetto alle politiche del governo, il quale, intanto, è riuscito a dividere il Sindacato per marginalizzare la CGIL, pur se dentro le categorie si è sempre lavorato in maniera unitaria. .
Tutti i comparti in crisi, ribadisce Enzo Costa, Segretario della Camera del lavoro di Cagliari. Basta dire  che da noi il 79% del lavoro è amministrazione e servizi, il più fragile e il primo a risentire di un’economia fondata sul consumo. Il 12% industria, il 7% costruzioni, quindi piccola impresa e migliaia di precari: se non avessimo fatto la battaglia per la difesa dell’articolo 18, oggi sarebbe stata una strage.
Arnaldo Boeddu indica le migliaia di sassaresi che partecipano al corteo, provenienti da tutte le categorie, una massiccia presenza di lavoratori degli appalti del Petrolchimico senza tutele, senza ammortizzatori sociali e possibilità di cassa integrazione, e poi tutte le altre categorie, ferrovieri, edili, piccola industria, quelli del terziario, la scuola: non si campa di turismo, conclude, in buona parte nelle mani delle multinazionali che non lasciano ricchezza nell’isola, anzi la depauperano dei suoi beni. Una tromba solitaria intona “era meglio morire da piccoli“ e il corteo l‘accompagna, lì vicino due lavoratori-sandwich: “è morto il lavoro-si dispensa dalle elemosine”. 
 “CGIL Polimers Ottana CGIL”, “RSU Portovesme”, “RSU Ineos Films Assemini”, “Clorosarda Assemini”. E “CARBOSULCIS - Berlusconi, son dolori, son tornati i minatori”. Dice Sandro Mereu, responsabile di Cantiere, che sono 500 i dipendenti Carbosulcis che producono per l’Enel, con una forte presenza di giovani, molto visibile dentro il corteo, in un territorio, quello di Carbonia, che conta 5 mila occupati, ma già a centinaia di cassaintegrati. E se gli chiedete come mai mancano CISL e UIL, dice di aver sempre lavorato fianco a fianco in azienda con loro, come del resto avviene in tutta la Sardegna, e che questa spaccatura del nazionale per volere del governo, è subita dai lavoratori del territorio.
Intanto il corteo si ingrandisce e per la prima volta è visibile un gruppo di giovani lavoratori africani, anch’essi con la bandiera rossa. Si annuncia l’ingresso di migliaia di studenti in attesa con i loro striscioni alla confluenza di viale Bonaria con via Roma. Sembrerebbero questi i ragazzi che avanzano compatti, invece gli striscioni sono di Telecom, dei Call Center, e li reggono i più giovani del corteo, insieme ai dipendenti della grande distribuzione. “Lavoratori della comunicazione SLC CGIL” “CALL CENTER CAGLIARI”, telecomunicazioni, call center, poste, teatro, cinema, Rai. E non stano mai zitti con i loro slogan naif e divertenti: “i soldi alle banche e alle imprese e noi qui, così”. In parecchie aziende abbiamo creato le RSU, ma resta molto difficile far entrare il sindacato nei call center, 6 mila dipendenti complessivi nel territorio di Cagliari, dice Alessandro Randaccio sindacalista e RSU di Telecom. E’ un’occupazione in crescita, ma con prevalenza di lavoro precario, ci son da aggiungere altri 2 mila lavoratori a progetto qui a Cagliari, ed è recente la circolare del ministro che consente alle aziende, in pratica, di trasformare in lavoratori a progetto anche quelli stabilizzati,  mentre Damiano, nel precedente governo ne aveva stabilizzato 25 mila. E voleva dire sindacato e tutele. Se in Sardegna Telecom conta 1065 dipendenti, 2400 nel ’96, presto dovremmo fare i conti con i 4 mila esuberi nazionali preannunciati, 100 in Sardegna, conclude. E Stefania della Soc. Gemini, 460 dipendenti stabilizzati, 6 ore di lavoro a gestire il 187: età media 30 anni, quasi tutti diplomati, molti laureati, in prevalenza donne, senza alcuna possibilità di carriera.
 E la “CGIL Comune Cagliari”, e gli  striscioni delle Camere del lavoro territoriali, e poi gli striscioni e i palloncini del sindacato scuola, dell’Educazione per gli adulti,  per lavoratori e stranieri, con tagli che vanno dal 56 all’89% in provincia di Cagliari, e lo striscione del sindacato di polizia SIULP. Altro che sicurezza, dicono i poliziotti, con tagli di 1/3 delle risorse, e in modo propagandistico e inquietante si usa l’esercito che svolge altre funzioni e non ha la nostra professionalità. E i pensionati “Noi ci siamo”, e la polizia penitenziaria, e la funzione pubblica, “CGIL funzione pubblica” tagli per privatizzare, da diritti a merce, trasformando gli ospedali in fondazioni, come le scuole e l’Università: il reganismo 30 anni dopo, mentre l’America fa il percorso inverso, dice Antonello Murgia, medico.  
“Studenti uniti coi lavoratori, sempre uniti coi lavoratori”,  ritmano sui barattoli i mille giovani in attesa di entrare,  man mano che il corteo sfila davanti al loro striscione, per poi accoglierli nella parte finale, dedicando loro uno spazio sul palco di piazza del Carmine, durante gli interventi conclusivi: si mischiano alle bandiere rosse per confluire in piazza del Carmine. Un enorme cane a sei zampe che lancia fiamme sulla Sardegna porta la scritta “L’Eni non scalda, brucia”: nelle parole del lavoratore di Portotorres, di Assan lavoratore straniero, di quelli che produce, insieme agli altri stranieri, il 9% del Pil italiano, dei dirigenti sardi e di Megale, inviato a Cagliari dalla Segreteria nazionale, il Piano CGIL per uscire dalla crisi senza farla pagare ai più deboli: lo stesso proposto alle altre cento città italiane mobilitate, dove si sono raccolti, si apprende,  un milione e mezzo di lavoratori contro questo governo.

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