La battaglia di Monte Pelato, cade Giuseppe Zuddas

11 Agosto 2015
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Nella battaglia di Monte Pelato in Spagna è deceduto Giuseppe Zuddas. fulgida figura di antifascista monserratino.

Giuseppe Zuddas

LA BATTAGLIA DI MONTE PELATO

Testimonianza di Giuseppe Marchetti pubblicata sul periodico “Per la libertà di Spagna”, nel luglio 1973.
Giuseppe Marchetti è stata una figura centrale per l’Aicvas e per la conservazione della memoria dei garibaldini.

Il combattimento che segnò l’inizio della partecipazione antifascista italiana in Spagna, prese il nome di battaglia di Monte Pelato, battesimo occasionale di un cocuzzolo di scarso rilievo al bordo di una strada che percorre l’Aragona tra Huesca e Almudevar, su cui prese posizione, il 22 agosto, la Colonna Italiana, composta di 150 volontari e fornita, con uno sforzo organizzativo dei dirigenti catalani, di 4 mitragliatrici, muli e fucili.
La posizione si trovava come già accennato tra Huesca e Almudevar, due fortezze franchisteche non capitolarono mai durante tutta la guerra civile, nonostante parecchie offensive repubblicane; questa zona venne detta da Rosselli “posizione sandwich, posizione in aria, res nullius”.
Il “comando tecnico”, auspicato dai documenti di fondazione della colonna, alla prova dei fatti si risolse in un comando politico, diviso tra Rosselli e Angeloni, in quanto si vide l’impossibilità di poter affidare il gruppo dei volontari ad un colonnello piemontese, emigrato politico a Nizza, proposto da Rosselli. Quale responsabile politico fu designato Vindice Rabitti, anarchico bolognese, condannato in Italia nel 1922 perché appartenente agli “arditi del popolo”.
Dei due comandanti, Rosselli aveva pochissima esperienza militare, ma era indubbiamente dotato di una notevole capacità di comando; Angeloni era d’altro canto, un ufficiale brillantissimo, generoso e affascinante, con la grande qualità di saper stabilire un contatto diretto coi subalterni. Malgrado la diversa estrazione politica (Rosselli di “Giustizia e Libertà”, Angeloni repubblicano) l’accordo, nel clima rivoluzionario, non poté mancare e fu pieno anche sul campo; naturalmente accordo non significa assoluta identità di vedute: Angeloni era più incline a perdonare la scappatella, l’indisciplina ardita, Rosselli era maggiormente dominato dalla preoccupazione.
Questa diversità di valutazione – racconta Aldo Garosci che faceva parte della Colonna – si fece presente nella polemica riguardo al piano di difesa: Angeloni sosteneva la necessità di schierare le mitragliatrici secondo le regole della tecnica militare, cioè raggruppate in modo che battessero la strada con una coppia di fuochi incrociati, dando ascolto anche ai pareri degli spagnoli che ritenevano che un attacco potesse venire potenzialmente da Huesca (mentre poi venne da Almudevar); Rosselli invece era più preoccupato per la posizione dei fucilieri che dovevano fronteggiare un lungo prato che poteva anche essere aggirato, e solo dopo lunghe discussioni ottenne che una delle mitragliatrici si portasse sul fronte.
L’attacco franchista avvenne il 28 agosto alle 4 del mattino, contrariamente ad ogni previsione: infatti i giorno precedente, due pattuglie avevano condotto ricognizioni nei dintorni, anche per un vasto raggio, identificando alcuni nidi di mitragliatrici nemiche in un villaggio-fortezza e tagliando in seguito i fili del telegrafo, del telefono e della luce tra Huesca e Saragozza, e riportando in tal modo previsioni del tutto ottimistiche per il futuro prossimo.
L’allarme venne lanciato quando si stava dissipando l’oscurità della notte. Rosselli, in piedi davanti alla trincea, dispose la difesa con grande calma.
La Colonna Italiana aggiustò il tiro sul nemico che era di fronte, a trecento metri, difeso da cumuli enormi di grano e di paglia che servivano da ottime trincee; essa fronteggiava la strada Saragozza-Huesca, a cavallo di un ponticello aguzzo e di una collina allungata, tra i quali si abbassava un piccolo valico e attraverso cui giungevano servizi di muli e in cui si trovava la Crocerossa.
Il nemico sferrò l’attacco sul fianco sinistro, il più sguarnito; Angeloni che dormiva accanto ala piazzola della prima mitragliatrice che batteva la strada di Almudévar, balzò in piedi al primo allarme, diede ordine ad un’altra mitragliatrice di spostarsi in difesa dei fucilieri, prese un tascapane pieno di bombe a mano e si diresse al fronte principale, ma venne abbattuto da una raffica partita da un’autoblinda avanzata sulla strada. Il nemico era forte di 700 uomini circa, con mitragliatrici, autoblinde, e una batteria.
I volontari italiani erano protetti da una discreta trincea, disgraziatamente non finita, mentre all’estrema sinistra, vi erano dei semplici rialzi di terreno aggiustati un po’ per servire da ripari.
Il fuoco nemico cresceva di intensità, il sardo Zuddas viene colpito da un proiettile alla testa; Bifolchi, il comandante di un plotone di fucilieri, invia sei uomini sul fronte della strada dove due autoblinde si stanno avvicinando contemporaneamente. I mezzi corazzati vengono affrontati con i fucili, poi Libero Mariotti e Trapassa lanciano alcune bombe che non esplodono.
Il fuoco diventa infernale, incrociato da due e poi da tre parti: la sensazione è quella di un assedio e gli italiani sparano adagio, puntando ben ed aspettando con sempre maggiore trepidazione i rinforzi, sollecitati dal comando sin dall’inizio dell’attacco.
Il contingente amico arriva verso le 8, sulla sinistra, secondo le indicazioni di Rosselli, che colpito leggermente al petto all’inizio del combattimento, ha diretto l’azione dall’infermeria nelle retrovie. Il nemico torna a sparare di fronte alla trincea principale, dove tortora dirige il fuoco e corregge come può i difetti della trincea.
Verso le 8,30 entrano in linea le autoblinde e i cannoni dei compagni spagnoli e si ha la sensazione che il nemico vacilli, e infatti attorno alle 9 inizia la ritirata, abbastanza ordinata, protetta dalle autoblinde, incalzata dalla colonna per sei chilometri, fino ad Almudévar e bombardata da tre aerei repubblicani.
In quella durissima battaglia i ribelli franchismi lasciarono al nemico molti fucili e munizioni, una mitragliatrice, un cannone, molti morti e qualche prigioniero, mentre sette furono le vittime italiane, oltre a Mario Angeloni, Giuseppe Zuddas, Michele Centrone, Vincenzo Perrone, Attilio Papparotto, Andrea Colliva, Fosco Falaschi; altrettanti furono i feriti su cui Carlo Rosselli, Carlo Matteucci, della seconda mitragliatrice, colpito alla mano; Mario Girotti colpito ad una gamba, Renzo Cabani ad un gomito.
Dopo il duro combattimento di Monte Pelato la calma torna su tutto il fronte della colonna volontaria; Rosselli ha preso il comando del settore e la posizione è stata rinforzata per renderla imprendibile anche a forze molto superiori alle precedenti.
Nel frattempo il comando repubblicano spagnolo va preparando le grande offensiva su Huesca a cui il reparto italiano non dovrebbe partecipare, tuttavia nella notte tra il 30 e il 31 agosto arriva la richiesta di due mitragliatrici e di uomini per presidiare una posizione sulla sinistra di Huesca. Alle 4,30 partono due mitragliatrici, la prima squadra porta il nome di squadra Falaschi, la terza squadra (squadra Perrone), alcuni fucilieri, e un reparto spagnolo: i comandanti sono Tulli e Dell’Amore, e i capi arma Gunsher e Ferrarini.
Dopo mezza giornata senza notizie delle truppe inviate, la colonna italiana decide di fare una ricognizione verso Huesca a bordo di un camion delle milizie popolari di Gavà (Barcellona), primitivamente ma solidamente blindato, alla cui guida c’è Giovanni Barberis, da molti anni in Spagna e che ha cambiato il proprio nome in quello di Giuseppe Gómez. Alla rudimentale autoblindata non manca neppure la mitragliatrice a cui sono preposti all’occasione Gabbani, Bruna e Giannotti.
Gli altri italiani, partiti come rinforzi, si sono nel frattempo fermati in una casa cantoniera a 5 chilometri da Huesca dove sono pure gli uomini e le autoblindate della colonna Ascaso; sulla destra in un bosco c’è l’artiglieria; sulla sinistra il paesetto di San Jorge, occupato da una centuria del partito federale iberico, mentre il nemico si trova di fronte sulla sinistra della strada, arroccato in tre fortini.
La colonna di Dell’Amore riesce ad avanzare allo scoperto quasi fino a battere d’infilata i fortini fascisti e si rinsalda in questa posizione. Verso le tre avviene il più tragico ed eroico episodio della giornata:due bombe fasciste incendiano l’autoblindata di Giuseppe Gómez che brucia come una torcia con tutto il suo contenuto di uomini.
Gómez morirà fra atroci sofferenze all’ospedale di Grañen, mentre Petacchi e Gabbani riescono, bencé seriamente ustionati, a salvarsi. L’eroico sacrificio dei combattenti trova comunque il premio nella mattinata seguente, quando parte dei fascisti abbandonano i fortini e parte si arrendono.
Rosselli dispone la nuova linea di trincee davanti al cimitero di Huesca, ai margini della città.

1 commento

  • 1 Mauro
    1 Febbraio 2018 - 16:31

    RAVENNATODAY - 1 FEBBRAIO 2018
    Morì combattendo al fianco dei repubblicani: si ricorda Mario Angeloni

    Sabato, alle 16, alla sala sopra il bar Edera di Corso Matteotti, ad Alfonsine, sarà ricordato nel centenario della prima guerra mondiale Mario Angeloni, la cui morte, arrivò mentre stava combattendo al fianco dei repubblicani in Spagna, il 28 agosto 1936 durante la battaglia del Monte Pelato, in Aragona e che vide impegnati molti volontari italiani. Interverrà Giuseppe Masetti, direttore dell’Istituto Storico della Resistenza di Ravenna- Successivamente il professor Pietro Compagni ricorderà i fratelli Guido e Leonardo Errani a cui verrà intitolata la sala. Ci sarà inoltra una mostra dei manifesti della Repubblica Romana del 1849, a cura del professor Compagni.

    Angeloni era al comando della colonna italiana che riuscì dopo molte ore di battaglia e molti morti a conquistare il monte. Nella ricorrenza del ventesimo anniversario della guerra civile spagnola, a Mario Angeloni è stata conferita la medaglia d’oro alla memoria e le sue spoglie riposano nel mausoleo dei caduti italiani di Saragozza. Leonardo era il fratello minore del più conosciuto Guido, valente fabbro con bottega ad Alfonsine in via Roma, autentico Repubblicano di fede mazziniana, garibaldino, partigiano, insignito dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana, fondatore del sindacato Fapa, ora Confartigianato

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