Sotto l’imbrellone nel regno della posidonia

8 Agosto 2015
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Andrea Pubusa

Sapete cosa faccio a P. Pino per sfuggire la calca? Piazzo l’ombrellone fra le alghe, nella prima spiaggia. Si sono formati i cumuli. E da quando, a protezione del canale,  hanno fatto un braccio con pietre ciclopiche, sono diventati stabili. Prima le alghe arrivavano e immancabilmente sparivano. Le correnti - si sa - vanno e vengono. Ora no, vengono e basta. Le libecciate di aprile-maggio portano montagne di alghe. E la spiaggia si sta interrando. Un disastro ambientale.C’è chi vuol fare causa al Comune di S. Anna Arresi e vogliono che me ne occupi da avvocato. Ma ad agosto sono fuori servizio. Fatto sta che la posidonia, questo è il bel nome delle alghe, mi salva la vita. Tiene a debita distanza milanesi e romani, chiassosi e maleducati, convinti d’essere in colonia. E io sto beatamante solo a leggere sotto il mio ombrellone, nella mia comoda sedia da regista. Quando sono accaldato, supero la prima fascia di alghe e il mare è splendido, l’acqua cristallina e fresca. Uno splendore. Come mezzo secolo fa, quando di milanesi neanche l’ombra e noi maurreddus venivamo solo la domenica.
La posidonia non compie solo questo prodigio. Fa anche un altro curioso miracolo. Siccome dalle mie parti il mare, nel regno della posidonia, è sgombro, molte signore in coppia, lontane da mariti, amici e parenti serpenti, vengono, passeggiando lentamente nell’acqua, a confidare le loro pene, a sfogarsi. Non so perché parlano ad alta voce e così io, in quel silenzio, benché non voglia, sento. Viene fuori la più varia umanità. Ieri una signora raccontava all’amica del campeggio organizzato dal marito con degli amici. “Un vero relax aveva promesso, in assoluto riposo e libertà. Invece, spesa e pranzo per tutti a giorni alterni. Me ne torno a casa! Almeno lì faccio il pranzo solo per lui!”, diceva, incazzata. Sento aria di separazione, ma spero di sbagliarmi, l’unità della famiglia è la base della societas, il nucleo portante della repubblica.
Un’altra con piglio deciso raccontava del genero. “Gli ho messo persino le mutande!”, confidava, con fine metafora, all’amica. “Quando si è messo con mia figlia era disoccupato. Io l’ho messo in negozio e almeno il pane se lo fa. Ma voleva slargarsi il malandrino. Sono della famiglia, ha pensato, quindi non sono un garzone. L’ho rimesso al suo posto, il ragazzo. Gli ho chiarito che lì c’è un solo comandante e sono io!”. Vedo maretta in quella vita di coppia, con una suocera coi gambali è dura, doppiamente dura, visto che è già difficile di per sé. Meglio una libera disoccupazione!, ho pensato, ma forse sbaglio.
Continuo la mia lettura de “Il benicomunismo” di Mattei ed ecco che un’altra signora esterna il suo incazzo terrificante per via di una finestra inchiodata e del falegname in ferie. “Mi sento in carcere, non in vacanza!”, diceva all’amica. “Se Mario (il marito?) non trova un falegname subito, io in trappola non rimango. Me ne torno a casa!”. Chissà come andrà a finire!? Per fortuna da queste parti un falegname si trova sempre. C’è speranza di ritorno alla felice normalità.
Passa poco ed ecco che s’avanzano altre due con un parlare fitto fitto e con un’aria di forte complicità. La più grassa narra dell’invasione della casa da parte di figlie, generi e nipoti. “Io e Franco (il marito) dobbiamo fare la spesa e il pranzo per tutti. Una croce! E spesso i signorini non sono soddisfatti. Le pietanze non sempre sono di loro gradimento!
Un’altra racconta dei suoi affittevoli. Una coppia perfetta di moderni conviventi. Ma, ahinoi! la pace fra i due piccioncini si è spezzata e fin dai primi screzi hanno smesso di pagare luce ed acqua. “L’altro giorno mi son vista recapitare un sollecito da Abbanoa. Mille euro! Un amico avvocato mi ha consigliato di pagare subito per evitare more. ma mi ha anche detto che fare una causa per importi così bassi non mi conviene. Poi non hanno beni, son precari, la sentenza la espongo in salotto, ma recupero delle somme niente! Che rabbia, me li mangerei vivi, ma penso che quei mille euro non li rivedrò più”.
Finalmente s’avanza una bella donzella, perfettamente accessoriata non solo di asciugamano e zainetto. Si stende delicatamente non lontano da me, con movimenti aggraziati. Benché immerso nella lettura di alcune pagine fondamentali de “Il benicomunismo”, butto l’occhio. Penso: finalmente una tranquilla. Poi però la sento al telefonino: “ho lasciato l’aziena per le ferie senza sapere se a settembre avrò la proroga del contratto di lavoro. Un tormento, attendo una telefonata, che non arrivà”. Vorrei intervenire a rincuorarla, ma a che titolo? Certo che a una bella donzella così un supporto psicologico non dovrebbe mai mancare… 
Bel casino! Il chiassoso vociare degli oimbrelloni dà la sensazione di una diffusa allegria e spensieratezza. Qui, nel silenzioso regno della posidonia, molti esternano il loro disagio, la loro sofferenza. Ma chi viene a confidarsi lontano dalla massa è una stretta minoranza, l’eccezione. Gli altri, la massa, se la spassano e sono felici. Almeno così spero. 

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