Il “Sardellum” al vaglio del Tribunale di Cagliari

31 Ottobre 2015
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A.P.

La battaglia contro la legge elettorale sarda, da noi chiamata legge truffa, ma nota anche come “sardellum”, continua. C’è stato, è vero, lo stop del Tar e del Consiglio di Stato al ricorso presentato da Marco Ligas, Andrea Pubusa ed altri, con due sentenze a dir poco reticenti. Ma l’Associazione tutela dei diritti dei sardi, con l’avv. Felice Besostri, ha  presentato un ricorso al Tribunale di Cagliari, ed anche in esso è stata sollevata la questione di legittimità costituzionale della legge. Mercoledì scorso si è svolta l’udienza pubblica e, dopo la discussione, la causa è stata tenuta a decisione. Ora si attende il verdetto, che potrebbe spedire la legge elettorale sarda alla Corte costituzionale.
I punti su cui s’incentra la richiesta di rinvio all’esame della Corte costituzionale sono vari, ma due sono assorbenti e trovano un supporto nella sentenza della Corte cost., 1/2014, quella – per intenderci – che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del c.d. Porcellum.
Riassumiamo i punti centrali enucleati dalla sentenza del giudice delle leggi.
Punto primo. La Corte delle leggi riconosce il suffragio come diritto fondamentale e inviolabile. In un sistema democratico, tutto si costruisce a partire dal voto libero ed eguale. L’architettura politica e istituzionale, dalla rappresentatività delle assemblee elettive alla forma di governo, e l’indirizzo di governo che essa esprime, poggiano sull’architrave di una volontà collettiva alla cui formazione tutti concorrono liberamente e con pari dignità.
Punto secondo. Un diritto fondamentale e inviolabile non è in quanto tale sottratto a qualsivoglia limita­zione. Potrà darsi la possibilità di un necessario bilanciamento con altri beni parimenti protetti in Costituzione, da cui scaturisca un limite al primo.
Punto terzo. Tale bilanciamento, peraltro, deve rispondere a criteri di necessità e proporzionalità. In altre parole, il limite al diritto fondamentale può essere posto se indispensabile alla tutela di altro bene parimenti protetto in Costituzione, nella stretta misura richiesta da quella tutela, e senza sacrificio eccessivo del diritto. Un limite che ecceda questi confini, o che persegue un obiettivo realizzabile attraverso misure meno lesive, è incostituzionale.
Questi sono, in estrema sintesi, i capisaldi della giurisprudenza costituzionale nostra e di molti paesi a noi paragonabili. La Corte, nella sent. 1/2014 e non solo, riconosce la governabilità come bene costituzionalmente protetto. Quindi è rispetto a questo bene che deve incardinarsi un possibile bilanciamento. Il necessario equilibrio non era rispettato dal Porcellum, e da qui la dichiarazione di incostituzionalità, che colpiva in specie la mancata dichiarazione di una soglia per l’applicazione del premio di maggioranza, e la lista bloccata per tutti i parlamentari.
Offre risposta la soglia prevista nella legge sarda? Il Tar, seguito dal Consiglio di Stato,  ha detto di sì. Ma lo fa acriticamente. Infatti, la presenza di una soglia, pur essendo una conditio sine qua non di legittimità, non è di per sé sufficiente ad assicurare il rispetto dei principi costituzionali in materia di voto. La sentenza n. 1/2014 parla della necessità non di una soglia qualsiasi, ma di una soglia congrua; occorre, cioè, in ogni caso verificare che la sperequazione tra voti e seggi non sia eccessiva. Una clausola del 25% per cento è congrua nell’accezione testé riportata? La risposta è negativa. E si motiva con chiarezza dimostrando che il sacrificio imposto al voto libero ed eguale è comunque eccessivo e inutile. Infatti, col 25% scatta un premio del 55%, più del doppio dei seggi rispetto ai voti presi. Ma si può obiettere che, in realtà, in Sardegna lo scorso anno è scattata la soglia del 40%. Ma non è così. La soglia di accesso al premio è quella al di sotto della quale si applica il sistema proporzionale e questa è appunto fissata nel 25%. Al 40% scatta un premio aggiuntivo del 5% di seggi. Il 40% pertanto non è la soglia minima per il sistema premiale e per di più è irragionevole perché la governabilità, a detta dello stesso legislatore, è assicurata dal 55% dei seggi. La maggioranza assoluta poi è del 51% e non del 60%. Appare, dunque, eccessivo il premio in relazione alla soglia minima (25% dei voti) e, ancor più, rispetto al superpremio del 60%.
Nel sardellum esiste poi un altro eccesso, incompatibile con la Carta: lo sbarramento al 5% per le singole liste, e al 10% per le coalizioni. E così Michela Murgia e Mauro Pili, pur avendo avuto più di 70mila e 40mila voti, sono rimasti fuori fall’Assemblea regionale.
Che senso ha lo sbarramento in una legge che annette la governabilità al premio di maggioranza? Nessuno, evidentemente. Lo scopo è un altro, ossia assicurare che l’opposizione sia rispettosa per non dire connivente, come ormai si vede anche in Parlamento. Ma una democrazia senza opposizione non esiste. Il conflitto è il sale della democrazia.
Speriamo che il Tribunale di Cagliari ritenga che il “sardellum” susciti almeno un dubbio sulla sua confornità alla Costituzione: basta questo a determinare il rinvio della legge davanti alla Corte costituzionale. Tante volte la giurisdizione ordinaria ha mostrato maggiore sensibilità sui diritti (è “il giudice dei diritti”) rispetto alla giurisdizione amministrativa. La questione è di fondamentale importanza. Si tratta di dare al popolo sardo un reale potere di scelta della propria rappresentanza: l’attuale vuoto politico in Sardegna è frutto di un evidente vuoto di rappresentanza. Pigliaru non conta nulla anche perché governa con meno del 20% del voto dei sardi.

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