Senza democrazia e sinistra vince il populismo

8 Gennaio 2016
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Gianfranco Sabattini

Un altro dei guasti sociali causati dall’egemonia mondiale dall’ideologia neoliberista è la conquista quasi assoluta dello Stato da parte delle oligarchie economiche, con la conseguenza che i processi decisionali collettivi vengono svolti all’esterno delle tradizionali procedure democratiche. Tutto ciò è all’origine della perdita di credibilità sulla democrazia da parte dei cittadini.
Questa tesi è sostenuta, tra i molti critici del neoliberismo, da Chantal Mouffe, politologa belga e autrice, con Edmund Landau, di “Egemonia e strategia socialista. Verso una politica democratica radicale”. Secondo la Mouffe (“La democrazia è conflitto”, Micromega 7/2015), per analizzare le cause dell’affievolimento delle regole democratiche e individuare una strategia politica per la loro rimozione, “è importante mettere in risalto il ruolo giocato dai partiti di sinistra nel processo che ha portato a una crescente disaffezione nei confronti della politica democratica”. L’analisi della politologa belga è convincente; però, la sua proposta, anche se condivisibile, appare, rispetto al “ricupero” della credibilità della democrazia politica, contraddittoria.
La crisi della democrazia, afferma la Mouffe, va messa in relazione con lo spostamento, che ha caratterizzato la strategia politica dei partiti socialdemocratici europei, tra la fine del secolo scorso e l’inizio di quello attuale, verso il centro dell’asse politico, sulla base delle idee elaborate da Anthony Giddens per il Partito Laburista britannico. Secondo l’approccio del politologo laburista, le società occidentali, dopo la fine degli anni Settanta del secolo scorso, sarebbero entrate in una nuova fase della modernità, quella della “modernizzazione riflessiva”, con la quale sarebbe venuto meno il ruolo del binomio destra/sinistra; ciò avrebbe comportato la necessità di un’attività politica di tipo nuovo, con cui trascendere ogni forma di conflitto e di contrapposizione sociale.
L’approccio di Giddens è stato “fatto proprio” dalla generalità dei partiti socialisti democratici, motivandoli ad attestarsi su posizioni di centro-sinistra, con “la scusa di dover ‘modernizzare’ il progetto socialdemocratico per adattarlo al mondo globalizzato”; in tal modo, secondo la Mouffe, tutte le formazioni partitiche che hanno contribuito ad occupare lo spazio politico di centro-sinistra, di fatto si sono arrese all’egemonia neoliberista. In seguito a ciò, le forze di centro-sinistra, rinunciando a mettere in discussione i prevalenti rapporti di potere, si sono limitate a “proporre delle strade possibili per ‘umanizzare’ la globalizzazione neoliberista”, con la conseguenza che le loro proposte hanno teso a divenire sempre più “indistinguibili da quelle dei partiti di centro-destra”.
Per la Mouffe, lo spostamento al centro di tutte le forze politiche ha avuto conseguenze negative per la democrazia, in quanto il venir meno della reale possibilità di scelta fra alternative in conflitto tra loro, ha affievolito l’interesse per la politica da parte dei cittadini. Oltre a ciò, un’altra conseguenza dell’avvicinamento delle forze di centro-sinistra a quelle di centro-destra è da individuarsi nella comparsa di partiti e movimenti populisti, che hanno aumentato il loro “peso” politico perché sono riusciti ad apparire come gli unici capaci di offrire “un’alternativa allo stato di cose presenti”. Alla mancata comprensione delle conseguenze dovute alla convergenza al centro di tutte le forze politiche e di quelle connesse alla comparsa dei partiti e movimenti populisti è riconducibile, secondo la politologa belga, la responsabilità dei partiti della sinistra democratica, perché si sono dimostrati incapaci di comprendere come la democrazia non possa aversi senza che sia possibile un “dibattito antagonista” sulle politiche di governo e “senza una scelta fra alternative reali, lasciando che, con l’accettazione della “terza via” proposta da Giddens, le questioni politiche diventassero appannaggio di esperti, in virtù di una presunta necessità di dare alle questioni oggetto di dibattito solo una soluzione di carattere tecnico.
In questo modo, le istituzioni democratiche sono state svuotate del loro ruolo e la loro legittimità messa in dubbio dal convincimento che ad altro esse non servissero, se non ad “apporre il sigillo ai provvedimenti in realtà imposti” da soggetti che non erano “pubblicamente responsabili nei confronti di nessuno”; conseguentemente, è andata perduta la funzione propria dell’intero processo democratico, motivato dai due principi etico-politici che lo hanno sempre supportano: quello della libertà e quello dell’uguaglianza.
Per quanto possa essere condivisa dalle forze democratiche di sinistra, la proposta della Mouffe risulta però squilibrata; se è vero che il processo democratico può essere garantito da un sistema di regole che prevedano la possibilità di scegliere fra alternative reali, come è possibile il “ritorno” alla democrazia tradizionale attraverso l’impegno delle sole forze portatrici della pretesa di tutelare i diritti sociali, senza il contrappeso di quelle portatrici della pretesa liberale di tutelare i diritti individuali? A parte l’evidente schieramento a sinistra della Mouffe, la sua evocazione della democrazia politica è quella propria dello “Stato sociale di diritto”, per sua natura democratico, pluralista e riformista; per il ricupero di tale forma di Stato, al presente possono svolgere un ruolo positivo, assieme ai partiti e movimenti populisti di sinistra, anche quelli di destra; senza escludere che anche questi ultimi, come i primi, possano essere motivati da un’autentica passione per la politica, quando il “gioco democratico” li abbia affrancati dal convincimento neoliberista che il mondo debba solo affidarsi alle regole del libero mercato.

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