Fuga dai paesi, dono delle case e questione identitaria

24 Febbraio 2016
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Andrea Pubusa

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Sono stato colpito, l’altra mattina, agli esami, da una studentessa di Ovodda, che alla mia domanda “cosa fate di bello al suo paese?“, mi ha risposto, senza tentennamenti, “non lo so“.  Ho pensato si fosse da anni trasferita a Cagliari coi genitori. Ma mi ha detto che i genitori stanno ad Ovodda. Ed io, facendomi i fatti altrui: “allora almeno a trovare i suoi, tornerà di tanto in tanto“. E lei, senza esitazioni, quasi dura: “No, ci vediamo a Cagliari, vengono loro qui“. Insomma, in paese non ci mette  e non ci vuol mettere piede, neanche in visita!
Anni fa avevo avuto una discussione con un gruppo di simpatici studenti delle Barbagie, a loro modo balentes, che avevano fondato l’associazione “Shardana” e, con baldanza, intendevano lanciare le problematiche dei loro territori. Provocatoriamente dissi loro che, dopo la laurea, sarebbero andati al loro paese solo per  le feste più importanti e, poi, morti i genitori, mai o quasi. Presero le mie parole come un insulto, ma qualcuno di loro, oggi avvocato, quando mi vede, ammette che ormai i suoi rientri in paese sono sempre più rari. “Allora ci eravamo un po’ incavolati, alle sue parole, ma ora devo dire che aveva ragione lei, prof.”.
Il problema è così forte e riguarda non solo la Sardegna.  I Comuni, che tentano di porre rimedio allo spopolamento, sono già molti. Ad esempio, regalando le case abbandonate o vendendole al prezzo simbolico di un euro.
In Sardegna è stata ipotizzata addirittura un’applicazione generalizzata: la proposta presentata in Consiglio regionale consentirebbe ai proprietari di disfarsi dei ruderi vendendoli ai municipi, che poi li dovrebbero riassegnare a prezzo simbolico. Sembra una soluzione che fa felici tutti: proprietari, acquirenti e amministratori. Se non fosse che le prime sperimentazioni non sono andate proprio come si sperava.
Il primo paese a scegliere questa strada è stato Salemi, in provincia di Trapani. Devastato e mai ripresosi del tutto dal terremoto del Belice del 1968, nel 2008 ha deciso di porre fine al degrado del centro storico. L’idea dell’allora sindaco Vittorio Sgarbi era di rilevare e cedere a privati gli immobili sfitti in cambio della loro riqualificazione. Il nome di Sgarbi riuscì a catalizzare l’interesse. Al Comune sono arrivate 10 mila manifestazioni di disponibilità, anche da personaggi di rilievo come Katia Ricciarelli, Alain Elkann, Vladimir Luxuria e Renato Brunetta. Ma i risultati sono stati deludenti. Le buone intenzioni sono rimaste tali. Sequestro preventivo da parte della procura di alcuni immobili  pericolanti. Infiltrazioni mafiose, che hanno portato alle dimissioni di Sgarbi e al commissariamento della città. Morale della favola: conclusione dell’operazione  con un nulla di fatto.
Le cose sono andate meglio a Gangi, in provincia di Palermo, dove la  riqualificazione è meglio riuscita. Ma qui hanno giocato fattori locali e ambientali. Gli immobili - in questo caso assegnati gratuitamente - erano le tipiche case contadine “a castello” della zona. Le richieste sono state più di mille, i trasferimenti un centinaio. Gangi, però, era un bel borgo  in lo stile medievale, che viveva di agricoltura e allevamenti, la giunta ha deciso di puntare su cultura e turismo e di ristrutturare il paese in modo da rispettarne ed esaltarne il fascino. Non tutto fila liscio, ma il risvolto positivo, in ogni caso, è innegabile: oltre alla ripresa del mercato immobiliare, Gangi a poco a poco ha riacquistato l’antico splendore. Ma stiamo parlando di un comune inserito nella lista dei 100 borghi più belli d’Italia. certo, anche grazie all’operazione in corso Gangi ha addirittura vinto nel 2012 il titolo di Comune Gioiello d’Italia e nel 2014 quello di Borgo dei borghi.
Ma funzionerà il meccanismo nei comuni poco appetibili dell’interno della Sardegna? Quelli lontani dal mare, difficili da raggiungere da Cagliari o dai capoluoghi, dunque poco utilizzabili per la rilassante “fuga dalla città” di fine settimana o per le vacanze dei benestanti pensionati tedeschi o francesi?.
E poi puntare a una riqualificazione nel rispetto del paesaggio e dell’architettura locale significa impattare con la burocrazia non solo comunale, ma anche regionale. Rilevare e rivendere gli immobili abbandonati diventa così  troppo complicato anche per i Comuni. Le difficoltà burocratiche, associate ai frazionamenti catastali e a una distribuzione ‘planetaria’ dei relativi proprietari, sono talora ostacoli insormontabili. E poi ristrutturare un vecchio rudere è costoso, come lo è la manutenzione e la pulizia. E i balzelli? I Comuni, privi di trasferimenti centrali, sono sempre più voraci. Anche a chi sta in città e mantiene la vecchia case di famiglia fanno pagare ogni cosa come ai residenti. E forse questo è ciò che induce molti a mollare. Chi deve pensare a sistemare il figlio in città o fuori, se non è molto benestante, ritiene un inutile spreco mantenere la vecchia casa in bidda.
Anche qui i miei studenti, mi sono buoni testimoni e insostituibili insegnanti. Una laureanda, figlia di uno “storico” esponente del movimento contro lo spopolamento dei piccoli centri della Barbagia, mi ha confessato, che oramai anche il padre in paese non torna, “neppure per la raccolta delle olive!”. E a lei sta stretta anche Nuoro. Sta bene a Cagliari. Ne parla ormai come della sua città.
Insomma, la città affascina e cattura, come nella bella canzone di Gaber “quanto è bella la città!“. Ora, qualcuno lancia l’allarme crolli! La fase dello spopolamento è ormai avanzata. Tutto è in vendita, ma nessuno compra. Le case iniziano a sfaldarsi e presto seguiranno i grandi edifici pubblici. Che fine faranno secondo voi le scuole, ormai chiuse e trasferite altrove?  E le sedi degli uffici pubblici in trasloco? Nei conti ragioneristici dei nostri governanti, fra le “perdite” sono state inserite queste poste?
Questa è l’emergenza. e qui, amici miei, al di là degli impeti romantici, c’è anche la soluzione finale della questione identitaria. I nostri paesi sono aree di fuga. L’abbandono è  la via obbligata per liberarsi della casa di famiglia, ormai  divenuta un insopportabile fardello. La vendita del relitto ad un euro è già un’idea. Se non i sardi, certo i tedeschi possono essere interessati. Ma solo nei paesi appetibili, non lontani dal mare. Forse in questi si salverà qualcosa, ma certo non si parlerà più il sardo.

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