La presunta “leggenda nera” della critica al neoliberismo

12 Marzo 2016
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Gianfranco Sabattini

In un recente articolo dal titolo “L’invenzione del neoliberismo”, apparso sul n. 6/2015 di “Storia Contemporanea”, Alberto Mingardi afferma che negli ultimi trent’anni il dibattito economico sarebbe stato largamente condizionato dalla fantasiosa narrazione di una “leggenda nera”. Questa sarebbe valsa a diffondere nell’immaginario collettivo l’idea secondo cui, nel corso del Novecento, la concezione socialdemocratica dell’ordine economico e sociale della società aveva consentito di “addomesticare il capitalismo”, facendone un “agnello” che poteva essere “tosato”, ma non “sacrificato”; nel senso che, al mercato sarebbe stato assegnato il ruolo di provvedere alla produzione della ricchezza, mentre alla politica sarebbe stato riservato il privilegio di governare la sua distribuzione intersoggettiva.
IL caso ha voluto, però, secondo la leggenda cui allude Mingardi, che il rallentamento dell’economia degli anni Settanta del secolo scorso abbia aperto la porta “a forze reazionarie, incarnate dai due principali leader del mondo occidentale: Ronald Reagan e Margarert Thatcher”; le loro idee avrebbero dato il là ad un’autentica controrivoluzione, il cui esito sarebbe stato “un repentino e ingiustificato ripudio delle conquiste sociali del passato”. La “leggenda nera” immaginata da Mingardi racconterebbe che, negli anni successivi all’avvento del reaganismo e del thatcherismo, le forze della reazione avrebbero concorso a ridurre negli elettori l’ottimismo riposto nell’ordine spontaneo del libero mercato, senza evitare che ciò comportasse l’abbattimento delle frontiere dei vecchi Stati nazionali, una crescente deregolamentazione dell’economia e la diminuzione dell’imposizione fiscale sui percettori di alti livelli di reddito, sino ad esporre il mondo al pericolo di una crisi di fondo irreversibile sul piano economico e su quello sociale: prima con la crisi del mercati finanziari del 2007/2008 e, successivamente, con l’allargamento e l’approfondimento delle disuguaglianze distributive. Tutto ciò, però, secondo la leggenda non sarebbe avvenuto spontaneamente, ma sarebbe stato l’esito dell’attuazione di un programma del sistema di idee noto col nome – afferma Mingardi – di neoliberismo.
Secondo l’autore, ci sarebbero troppe cose che la “leggenda nera” non spiegherebbe; in particolare, non darebbe conto di come abbia fatto l’ideologia reazionaria incarnata da Reagan e dalla Thatcher a risultare tanto pervasiva da indurre gli elettori a preferirli agli avversari nelle competizioni elettorali all’interno dei loro Paesi; ugualmente non indicherebbe il ragionamento logico attraverso il quale sia possibile ricondurre la crisi del 2007/2008 alla rimozione degli apparati regolatori dell’economia: un passaggio obbligato per i sostenitori della “leggenda nera”, se si pensa che, in realtà, tali apparati, lungi dall’essere stati ridimensionali, sarebbero stati invece allargati.
L’incapacità dell’ideologia socialdemocratica di dare spiegazioni plausibili riguardo ai motivi della grande recessione dipenderebbe, secondo Mingardi, dal fatto che una leggenda, come quella che vorrebbe ricondurre l’origine della recessione all’avvento delle idee neoliberiste, non ha bisogno d’essere convincente, ma solo avvincente, giusto per mettere insieme un racconto in grado di fare accettare fideisticamente le cause, anche se improbabili, dei mali economici e sociali del mondo attuale.
Contro i propalatori della presunta “leggenda nera” da parte di chi non condivide il sistema di idee proprio della socialdemocrazia, si deve osservare che la traduzione normativa del liberalismo originario, a livello sia economico che politico, era intesa come un’equilibrata combinazione di regolamentazione economica e di ordine sociale. Questa combinazione è stata lentamente, ma inesorabilmente, smarrita, a causa dell’evoluzione strutturale delle economie capitalistiche; evoluzione, questa, che è valsa a radicare il convincimento che il buon andamento dei sistemi economici e la coesione delle singole società potessero fare a meno del supporto di un “solido arsenale” di regole istituzionalizzate, pena il caos e il venir meno, col diffondersi delle disuguaglianze distributive, del necessario ordine sociale a supporto dello stabile funzionamento del sistema economico.
Nel corso del tempo, però, le difficoltà crescenti che hanno caratterizzato il governo socialdemocratico dei sistemi sociali, la cui evoluzione ha avuto l’effetto di renderli sempre più complessi, sono valse ad affermare l’idea della presunta superiorità di una libertà economica senza regole, che avesse favorito l’accoglimento del “laissez-faire”, proprio del liberismo originario, senza alcuna regole che ne affievolisse gli effetti indesiderati. Ciò ha condotto alla nascita di situazioni sociali insostenibili, per il cui contenimento molti autentici pensatori liberali hanno incominciato a proporre possibili soluzioni.

(segue domani)

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