Lectio del Comandante Geppe a Scienze politiche

23 Ottobre 2016
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Gianna Lai

partigiani (fonte: web) 

Geppe e gli altri 

Scegliere a 20 anni: la Guerra di Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Per inaugurare l’Anno Accademico 20016-17, la fa oggi Nino Garau la lezione di Storia agli studenti di Scienze sociali e delle Istituzioni dell’Università di Cagliari, il Comandante partigiano ‘Geppe’, della Brigata Casalgrandi, nel territorio di Modena. Un folto pubblico si raccoglie, già di buon mattino, nel cortile prospiciente l’Aula Teatro di via Nicolodi e, mentre il cameramen riprende la locandina  dell’evento, Nino risponde  alle ultime domande della giornalista,  e si  affretta poi verso il palco che ospita la presidenza, salutato dal caldo applauso dei giovani.
Per raccontare agli studenti la Resistenza e la vita del Partigiano, bisogna instaurare un dialogo, dice Nino Garau, partendo dalle loro stesse sollecitazioni e dai loro interessi, dalla loro condizione attuale, che aiuta ad inquadrare gli avvenimenti storici e a capire il nostro presente. E inizia il suo discorso col 25 luglio e  lo scioglimento del Gran Consiglio del Fascismo, fino ad arrivare all’8 settembre. Nell’Accademia dell’aereonautica tutti fuggono, l’esercito è allo sbando, e gli allievi senza guida  sperano  che gli  aerei americani arrivino presto anche a Forlì. Con l’aiuto dei ferrovieri molti di loro possono abbandonare la città, mentre i tedeschi si apprestano ad occupare l’intero territorio, ed è allora che si impone la scelta. ‘Le scelte, per noi erano tre: aderire a Salò ed entrare nell’esercito tedesco; nascondersi, correndo il grave rischio della fucilazione o della deportazione, che colpiva anche chi ci avesse aiutato, oppure partecipare alla costituzione delle formazioni partigiane. Feci la mia scelta nella provincia di Modena, dove trovai ospitalità presso i parenti di mia madre, convinti antifascisti, e contribuii alla nascita delle prime formazioni partigiane, composte di giovani del luogo e sostenute dai vecchi antifascisti. Coordinai i combattenti, di qualsiasi idea fossero, per organizzare il 5^ Settore della zona di Modena Pianura e costruire un’unica Unità militare. Si contavano in zona, oltre a migliaia di contadini, all’incirca 2mila operai, in particolare quelli della SIPE Società italiana esplosivi (occupata dai tedeschi) che, avendo scioperato dopo il 25 luglio, erano stati arrestati e poi liberati dopo l’8 settembre. Facevano parte della mia Brigata di pianura operai e contadini, preti e comunisti, ricordo Sergio Cabassi, giovane comunista modenese, e i Balugani, padre e figlio, e poi persone di ogni provenienza,  in un terrritorio controllato punto per punto dai tedeschi, dove innanzitutto bisognava  costruire le basi logistiche e militari. Organizzate con i capifamiglia, le prime davano ospitalità ai partigiani, nelle seconde si nascondevano le armi, dentro i bidoni a tenuta stagna. Tra la popolazione tutta coinvolta, fui eletto Comandante della  13^ Brigata d’assalto Aldo Casalgrandi, il primo giovane impiccato dai tedeschi in quel territorio: quattro battaglioni, ciascuno il suo Comandante, e tre  distaccamenti per ogni battaglione, con mappe e carte per studiare i luoghi. Nel territorio di Vignola, Spilamberto, Castelvetro, Lizzano, c’erano prima le Sap, poi i Gap, e poi la Brigata Casalgrandi, sempre impegnati a creare una fitta rete di informatori e di staffette, e ciascuno di noi aveva un suo nome di battaglia, perchè fosse più difficile l’identificazione, trattandosi di lotta clandestina. Nella nostra formazione c’erano 270 partigiani armati e 480 patrioti, su tutti poi i Commissari, che controllavano anche il movimento Assistenza. Una Missione  ci teneva in contatto con la 5^ Armata a Pescia, e le staffette ci mantenevano in contatto con la Linea Gotica. Gli alloggiamenti erano assicurati dalla presenza delle donne, che si prendevano cura di noi ed erano staffette e portavano il cibo e le armi e le munizioni, e tenevano i collegamenti e ci informavano sui posti di blocco tedeschi. Dal Settembre del ‘44, fino al 14 maggio ‘45, riunii tutte le forze disponibili, secondo un’organizzazione perfetta, che ci assicurava in mezz’ora tutte le notizie importanti, e un collegamento continuo tra i Comandanti, quando  c’erano azioni importanti da compiere. Quelle grosse solo di notte, di giorno con i mitra contro le auto che attraversavano il territorio. Ma anche contro i carri armati, secondo un piano  che assicurasse poi la fuga immediata dei combattenti in direzioni diverse. E le armi ce le forniva la Missione americana che, si sapeva,  ai partigiani organizzati, preferiva  piccoli gruppi di guastatori al suo servizio, da utilizzare nei momenti più importanti dell’avanzata’.
Le cose precipitano la notte del 30 dicembre quando, convocato dal Commissario a Levizzano, Geppe viene catturato insieme ad altri tre compagni dai tedeschi, mentre dorme in  una delle basi partigiane. E con loro portato a Ciano d’Enza, interrogato e torturato. ‘Nei miei documenti falsi ero Giovanni Ligas, perito chimico in uno Stabilimento per l’estrazione dell’olio: mi fratturarono una spalla, e poi ustioni da ferro da stiro nei piedi, mi costrinsero con un imbuto a bere dell’acqua salmastra, le mani fracassate e il pus nelle ferite. Non parlai, avrei esposto alla rappresaglia l’intero territorio e, al decimo giorno, in una Lancia vecchio tipo, mi portarono all’Ufficio investigativo di Reggio Emilia’. E poi verso  il carcere di Verona, il Carcere degli Scalzi, da dove Geppe riesce a fuggire con l’aiuto di un secondino sardo, Spartaco Demuro, che pensa di poter con lui rientrare in Sardegna. Ancora dolorante per le ferite, il viaggio di ritorno verso Modena, sotto il grave pericolo dei voli radenti degli aerei americani, e la paura che Demuro sia un infiltrato e la necessità, quindi, di allontanarlo appena giunto al suo Comando di S. Vito, consegnandolo agli americani presso la Linea gotica. ‘Nella  base logistica di S. Vito io venni riportato a nuova vita dalla famiglia presso la quale trovai ospitalità: due medici mi sistemarono la spalla, una donna di 85 anni si prese cura dei miei piedi, gli ospedali essendo presidiati dai tedeschi. E fu allora che appresi la notizia della fucilazione, a Ciano d’Enza di Cappelli, uno dei nostri compagni catturati il 30 dicembre’. Erano intanto cambiate le cose nel territorio, per paura  che i prigionieri parlassero, ‘Parigi fu eletto Comandante, Galli Commissario. Io non ripresi il Comando, ma fui incaricato di preparare le azioni e il Piano generale  per affrontare la  ritirata tedesca e liberare il territorio, da San Vito a  Castelfranco. Fu durante quelle azioni che, grazie ai nostri infiltrati, catturammo due Brigate nere, 50 repubblichini, che consegnai ai partigiani di Modena montagna, mentre il mio distaccamento si preparava ad intercettare il percorso dei tedeschi. Un battaglione di 120 uomini per una operazione eccezionale, a 35 chilometri dalla  Missione americana, dalla quale ottenemmo ancora le armi necessarie per l’ultimo attacco contro i nazisti finalmente i fuga. Liberammo noi il territorio, subito dopo giunsero gli eserciti americani’.
Si conclude con una citazione di Bertold Brecht la bella lezione di Nino Garau,  il racconto del Comandante partigiano Geppe sulla Storia della Resistenza in provincia di Modena. Al centro le vicende di tante donne e tanti uomini impegnati  contro il fascismo e contro la guerra, e i loro ideali, che restano ancora forti ed attuali, specie quando è la viva voce di un protagonista così importante a metterli in evidenza, a dar loro  risalto. Grande l’interesse e la partecipazione degli studenti che, sembra, non abbiano trovato poi così inusuale la presenza di un partigiano nella loro Università: rispecchiano, probabilmente, il senso di una cultura della contemporaneità, che resta sempre aperta a nuove e diverse letture, e alla ripresa del discorso, se ci sono ancora cose da sviluppare e da approfondire. Nino è diventato partigiano da ragazzo borghese che era e, insieme, ha conosciuto la realtà dell’Italia vedendo la sofferenza dei contadini angariati dalla mezzadria. E oggi ha la tessera dell’ANPI, convinto che quei valori siano ancora i nostri, ancora quelli di questo tempo.
 

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