Liste: due padroni contro la democrazia. Quale alternativa?

19 Gennaio 2009
3 Commenti


Andrea Pubusa

Iniziamo a pubblicare commenti sulle liste. A quello di oggi seguiranno domani quelli di Sergio Ravaioli e Andrea Raggio. Sono ben accette opinioni dei lettori, purché argomentate. Ribadiamo che questo sito non dà (né potrebbe dare) indicazioni di voto. Le opinioni impegnano solo chi le esprime. Vuole, questo sì, concorrere ad un approccio critico ai fatti politici in questo delicato passaggio della politica regionale. E lo fà senza cedere ai pregiudizi e alle tifoserie, e, dunque, scomodamente.

Avete letto le liste? Come le interpretate? Io le interpreto così. Il PD, come partito, come collettivo, se mai è esistito, in Sardegna è stato debellato. Rimane solo Soru come referente di quello che fu lo schieramento del centrosinistra. Questo si evince anzitutto dalla chiusura di Soru verso gli alleati sul programma. E poi dalle liste: il listino è stato deciso solo da lui e conta solo fedelissimi. Anzitutto uomini e donne di servizio insieme a persone che comunque non sono in grado di esprimere un indirizzo autonomo, anche perché non rappresentano nessun movimento od orientamento sociale. E questo vale anche per le liste provinciali del PD. A ben veder anche nelle liste degli alleati non ci sono nomi che si siano segnalati in Consiglio o fuori per un qualche atteggiamento critico o autonomo rispetto a lui. Né persone che potranno farlo. Ed allora, occorre prendere atto che in Sardegna Soru ha fatto piazza pulita del PD, lo ha reso del tutto irrilevante al pari dei partitini minori, ridotti a sigle vuote con personaggi di second’ordine (salvo Diliberto) in cerca d’elezione. Un esempio per tutti: il capolista di SD in provincia di Cagliari, Tore Serra, consigliere regionale recentemente fuoriuscito dal PDCI e, dunque, del tutto estraneo alla storia di Sinistra democratica nell’Isola.
Soru, dunque, è lo scopatore del centrosinistra. Nel senso che, con la ramazza, ha fatto tabula rasa del sistema oramai marcescente dei vecchi partiti del centrosinistra sardo. Del PD, frutto di una fusione a freddo dei resti di decrepite oligarchie (ex democristiane, ex comuniste ed ex socialiste), prive di un qualunque orizzonte ideale, a seguito delle loro molteplici apostasie individuali e collettive. Delle sigle della sinistra, facendo leva sulla subalternità piatta di Rifondazione e sull’idea che la ricostruzione possa passare attraverso una presenza minima nelle istituzioni.
Soru registra, dunque, il suo pieno trionfo. In tutto questo, un ruolo centrale svolge la montagna di soldi ch’egli può buttare nella campagna elettorale e che lo rende del tutto insensibile a qualunque condizionamento. Dunque ciò che Soru e i suoi fedelissimi (nonché molti simpatizzanti antipartito) volevano è realtà. In Sardegna il vecchio sistema dei partiti è stato spazzato via, in un sol colpo. L’operazione è frutto di un convergente mix di potere istituzionale (l’iperpresidenzialismo) e finanziario (la propria ricchezza personale e l’essere riferimento di un gruppo finanziario nazionale). Però, a ben vedere, la partita si è giocata anni fà, quando, nel PCI prima, nel PDS e nei DS poi, sono stati battuti i ripetuti tentativi di voltar pagina. Forse molti hanno dimenticato che nel PDS c’è stato un Congresso regionale, a metà degli anni ‘90, che ha visto concorrere per le segreteria regionale Emanuele Sanna e Tonino Dessì. E certo se non avesse prevalso il primo le cose avrebbero potuto avere un indirizzo diverso, a partire dal rinnovamento dei gruppi dirigenti. E fu in quel torno di tempo che anche nell’allora Partito popolare fu battuto chi tentò di mandare in soffitta il vecchio notabiliato DC. E fu sempre allora che la sinistra comunista di provenienza PCI si frantumò iniziando la deriva che ne ha determinato l’estinzione. L’uomo solo al comando nel centrosinistra sardo vien da lontano.
Ed allora? Non c’è da sbracciarsi o da deprimersi. Soru butta in pattumiera i rimasugli di una storia fatta di abiure, d’incapacità di nuovi progetti e di rinnovamento graduale dei gruppi dirigenti. Per capire l’entità del dissolvimento, basti pensare che il PDS sardo al momento della confluenza dei socialisti di Cabras, contava ancora migliaia di iscritti. Eppure il cardinale con una pattuglia di due-trecento tesserati, ha messi all’angolo i vari Sanna, Cherchi, Macciotta, come il grande Alessandro fece con Dario, segno che la corazzata oramai faceva acqua da tutte le parti. E se questo gioco è riuscito a Cabras, certo è stato più facile per Soru, dotato di ben altri mezzi, in un quadro ancor più deteriorato. Si poteva uscire da quell’impasse con un rinnovato partito democratico di sinistra oppure con la sua scomparsa. Ed è quanto è accaduto oggi con Soru.
Comunque sia, ora in Sardegna c’è un sistema in cui il gioco politico contrappone due padroni Soru e Berlusconi, il sardo in campo direttamente, il secondo per interposta persona. Lo dice lo stesso Soru, quando afferma che lo scontro è fra lui e il Cavaliere. Esistono solo due partiti, quello soriano e quello berlusconiano. Il primo quasi senza articolazioni come mostrano le liste del centrosinistra e la acritica tioseria dei senza partito. Il secondo con maggiori articolazioni, perché i gruppi e partiti del centrodestra mantengono una loro soggettività almeno sulla minutaglia clientelare interna, mentre il Cavaliere riserva a sé gli interessi forti. Anche la scelta del Psd’az, se volete, nasce da questa convinzione: si può stare col centrodestra sardo in maggiore libertà di manovra che con Soru.
Ed allora non se ne abbia a male nessuno. Dobbiamo capire, senza infingimenti ed ipocrisie, a quale gioco stiamo assistendo. E dobbiamo sapere che questo gioco lo si può legittimare, partecipandovi o delegittimare, chiamandosene fuori. Anzitutto però occorre rendersi conto che siamo in presenza di una tenaglia che stritola la democrazia sarda e in prospettiva ancor più quella italiana. Si ipotizza che anche a Roma i due competitors possano essere i capi o referenti di due gruppi economici e finanziari: Berlusconi e Soru. E già lo si vede nella presenza mediatica di Soru su scala nazionale, segno che i gruppi finanziari, che hanno appoggiato Veltroni contro Prodi, stanno cambiando cavallo. E, dunque, al di là della condotta personale al seggio il 15-16 febbraio, in questa drammatico passaggio, dobbiamo convincerci che, se si vuole tentare di riaprire gli spazi democratici, bisogna pensare ad altro, bisogna lavorare in altra direzione. E bisogna farlo da subito dopo le elezioni, qualunque sia il risultato, puntando ad un nuovo radicamento sulla base di un progetto, che legittimi anzitutto nel sociale una nuova soggettività della sinistra .

3 commenti

  • 1 Gabriella Lanero
    24 Gennaio 2009 - 01:38

    Basta anche una sola buona ragione per votare Soru.
    Matilde Bresso, intervenendo con voce e azione propria nella vicenda di Eluana Englaro, ha dimostrato che dove il diritto (affermato anche da una sentenza della Corte d’Appello di Milano) è calpestato da un diktat ministeriale (atto di indirizzo del ministro Sacconi), dove non esiste opposizione parlamentare e neppure approvazione parlamentare (il governo ha usurpato completamente la funzione legislativa con decreti approvati col voto di fiducia), dove la comunicazione pubblica dà per metà voce al capo del governo e per un quarto al capo del partito di maggioranza e per l’altro quarto subisce pesantemente il suo controllo (per non parlare di quella privata che in buona parte gli appartiene), unica voce e azione alternativa, capace di suscitare dialettica, di far rispettare il diritto e limitare il potere e il pensiero unico può venire dalle Regioni. Possiamo contribuire alla vittoria di Berlusconi in Sardegna?

  • 2 admin
    24 Gennaio 2009 - 13:24

    Noi non contribuiamo a niente. Tutto dipende da chi pretende di rappresentare da solo il centrosinistra sardo. E’ da lui, dal suo modo di fare, di proporre che tutto dipende. Agli elettori di centrosinistra non rimane che aderire. Il problema è vedere quanti aderiranno e quanti no. Contribuisce a non consegnare la Sardegna a Berlusconi chi, avendo il potere decisionale, cioé un sol uomo, riesce a convincere gli elettori a votarlo. In tutto questo noi siamo solo spettatori. Volevamo partecipare al programma, alle liste, alla campagna elettorale, ma ne siamo stati completamente esclusi. Quindi, la domanda non và rivolta ad un generico noi, che non contiamo nulla, va indirizzata a colui che tutto puote (a.p.).

  • 3 M.P.
    29 Gennaio 2009 - 13:29

    L’atteggiamento di Soru in varie occasioni (Statutaria, rapporto con i suoi stessi collaboratori molti dei quali fuggiti o cacciati, fracassi nel PD sardo, insofferenza verso il Consiglio regionale, ambizioni nazionali…) dimostra la determinazione con cui egli intende raggiungere i suoi obiettivi. Non vedere l’assoluta insensibilità per qualunque coinvolgimento democratico nelle decisioni (solo lui sa qual’è il nostro bene), è cecità assoluta. Che vinca o perda in Sardegna, ormai il risultato che conta è già raggiunto: emergere a livello nazionale per imporsi alla guida del PD. Ciò appare evidente, anche se egli continua ad affermare convino che ha a cuore soltanto la Sardegna. Bisogna crederci?
    Un governatore debole è senz’altro preferibile all’uomo d’acciaio: sarebbe il male minore. Spiace constatarlo, ma così è.

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