La scuola nello scasso costituzionale di Renzi

17 Novembre 2016
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Rosamaria Maggio

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Nell’ambito delle “Letture della Costituzione” organizzate dall’ANPI di Cagliari, è stata tenuta da Rosamaria Maggio una “lezione” su “La Scuola e la Riforma Costituzionale”, di cui pubblichiamo uno stralcio.
Ci siamo  trovati, insegnanti e studenti, in questi ultimi 20 anni, a denunciare la costante violazione, nelle nuove leggi sulla scuola introdotte dai recenti governi, di alcuni diritti irrinunciabili, come il diritto stesso all’istruzione, la libertà di insegnamento, e poi i rapporti non corretti tra Stato e poteri locali, il rischio di una regionalizzazione della scuola e della sua privatizzazione.
Quindi, anche a Costituzione invariata, le forzature non sono mancate.
Ma negli ultimi anni ci son state vere e proprie violazioni denunciate a più riprese da autorevoli costituzionalisti, una per tutte la rielezione del presidente Napolitano.
Ora noi insegnanti abbiamo il difficile compito di far si che gli studenti imparino a ragionare con la propria testa.
Solo attraverso tempi lunghi e percorsi curricolari che consentano ai ragazzi di orientarsi tra le numerose conoscenze e sistematizzarle, si raggiunge questo importante obiettivo.
Il principio costituzionale della libertà di insegnamento, art. 33, sancisce un principio nell’interesse non dell’insegnante ma dello studente, per garantire un apprendimento plurale e democratico.
Il nostro lavoro è stato in questi anni reso particolarmente difficile; penso addirittura ai tentativi ai tempi della Moratti di modificare i contenuti disciplinari nelle scienze, l’evoluzionismo sostituito dal creazionismo tanto per fare un esempio. Ai tempi della Gelmini i nuovi ordinamenti produssero un taglio secco di orario in varie discipline, per citarne qualcuna in tema oggi, la riduzione dell’orario disciplinare nell’insegnamento del diritto e dell’economia, l’inversione di tendenza, cioè, rispetto ad una idea, che avevamo coltivato per anni, di estendere queste discipline a tutte le scuole superiori. Mentre speravamo di insegnare la Costituzione in tutte le scuole, se ne preparava in realtà, un sabotaggio.
Per non parlare della legge 107/15: un contenitore vuoto, un unico articolo in oltre 120 commi, con il quale si stabilisce l’assunzione di insegnanti precari, ma non tutti, in ossequio ad una sentenza europea, per la mancata attuazione della quale lo Stato italiano rischiava sanzioni.Un contenitore, che prevede 9 deleghe al Governo, per l’ennesima riforma scolastica.

L’aspetto linguistico

Costituzione, quella Bibbia laica, per usare una bella definizione del Presidente Ciampi, dall’ alto valore linguistico non fine a se stesso, che mira, come dice Tullio De Mauro, a rendere agevole la trasmissione dei suoi contenuti, testo informativo ma,  altresì, persuasivo e prescrittivo per il suo alto contenuto normativo.
 Un aspetto non trascurabile su cui porre l’attenzione come insegnanti, perché la nostra Costituzione appare di facile lettura e comprensione. Ora basta leggere gli articoli della modifica Boschi per capire le difficoltà dei  cittadini di fronte al nuovo testo, capire che  per la sua poca linearità e chiarezza, provocherà  un  contenzioso interpretativo.

Costituzione e principi fondamentali

Si dice che questa riforma non intacca i principi fondamentali, che peraltro non sarebbero modificabili, ma anche questa è’ una affermazione falsa, dal momento che la sovranità popolare stabilità nell’art.1 della Costituzione viene intaccata nel momento in cui il popolo viene privato della elezione diretta del Senato. Così per l’art. 5 sulle Autonomie locali.

Costituzione e scuola.

Quanto poi agli articoli della riforma che modificano la Costituzione e che quindi incidono direttamente sulle questioni che stiamo affrontando proviamo ad esaminarli specificatamente.
Il primo articolo in cui possiamo vedere coinvolta la scuola, è la nuova formulazione dell’art.117, comma 4, col quale si inserisce la cosiddetta clausola di “supremazia” che consentirà allo Stato di approvare anche leggi di competenza regionale qualora, a parere del Governo, ci sia un interesse nazionale che giustifichi questa “invasione”.
Quindi oltre ad aver aumentato le competenze statali in materia di istruzione (si passa dal disposto del 117, lett.N, a disposizioni generali con l’aggiunta della parola comuni più ordinamento scolastico e disposizioni generali e comuni sulla istruzione e formazione professionale della lett.O nuova formulazione), sembra scomparire la legislazione concorrente, ed è ridimensionata la legislazione esclusiva regionale, rispetto al carattere residuale che ha il  4° comma. Nel nuovo 3° comma viene dettagliata la competenza legislativa riservata alla potestà regionale in materia scolastica, e cioè l’organizzazione in ambito regionale dei servizi della formazione professionale, dei servizi scolastici, del diritto allo studio, salva sempre la clausola di “supremazia”  .
Sembrerebbe quindi che, con la Riforma costituzionale, la Formazione professionale diventi materia di competenza esclusiva dello Stato, mentre alla Regione potrebbe rimanere una implicita competenza concorrente ed una competenza esclusiva sulla organizzazione della formazione professionale.
L’altro articolo che influisce sulla scuola è’ l’art. 114 che, abolendo le Province, determina un trasferimento di competenze ad altro ente, per quanto riguarda le scuole superiori, sia in termini di dimensionamento scolastico che di spesa per la gestione ed il funzionamento degli edifici scolastici.
Specificatamente si dovrebbe trattare di enti di secondo livello, i cosiddetti” Enti di area vasta”, quindi non eletti dai cittadini, composti da designati, scelti dagli eletti in Comune, con competenze ridotte rispetto alle Province. Anche qui, ancora una volta, con una violazione del principio di sovranità popolare.
Infine l’art.116, 3° comma, prevede che “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia limitatamente all’istruzione ed alla formazione professionale“, possano essere attribuite ad altre regioni, anche su richiesta delle stesse, con legge dello Stato, nel rispetto del 119 e sempre che tali regioni abbiano il bilancio in equilibrio.
Tale articolo ai primi commi riconosce le autonomie speciali.
Non è chiaro se ciò significhi che a richiesta le regioni a statuto speciale possano richiedere un ampliamento delle loro potesta’, ma anche questo appare come un obbrobrio giuridico, in quanto il potere di queste regioni non discenderebbe direttamente dalla Costituzione ma dallo Stato!!!
Con buona pace dell’art.5 e del 114!!!
A questo punto sorge  la preoccupazione non solo di un notevole contenzioso interpretativo, (altro che semplificazione), ma anche di una violazione dell’art.5 della Costituzione ( principio fondamentale che si sostiene non toccato), e cioè il principio costituzionale della tutela delle autonomie locali.
Sicuramente noi insegnanti democratici ci siamo battuti in questi anni per una scuola pubblica statale che garantisse una istruzione di qualità a tutti; quindi abbiamo contestato la tendenza diffusasi dopo la riforma del Titolo V verso una regionalizzazione della scuola, vedi le esperienze della Lombardia leghista. Ma abbiamo sempre fatto nostro il principio delle autonomie locali che consentiva alle Regioni, attraverso il proprio potere legislativo, di non eludere gli aspetti della cultura, storia e tradizione locali, in modo che nella scuola entrasse anche la dimensione  dei luoghi dove gli studenti nascono e crescono.
Che è cosa diversa dal trasferire la maggior parte delle funzioni in materia scolastica allo Stato secondo una nuova logica centralistica, sia le linee di indirizzo, i curricula, gli ordinamenti, relegando gli enti locali a meri esecutori organizzativi.
Il nostro è quindi un NO convinto e motivato  come cittadini e come insegnanti CIDI che in diversi abbiamo aderito al Comitato per il NO.

1 commento

  • 1 Oggi giovedì 17 novembre 2016 | Aladin Pensiero
    17 Novembre 2016 - 10:08

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