Un odio antico

27 Gennaio 2009
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Cristian Ribichesu
 

 È un odio antico quello scatenato contro gli ebrei, radicato nella storia europea fin dal II secolo d.C., e non solo per le difficoltà di un popolo in fuga che difficilmente s’integrava nelle diverse realtà del continente europeo, ma anche per le varie accuse ad esso rivolte.

Sottoposti a varie limitazioni, giuridiche, religiose e socio-economiche, come quella di poter svolgere determinate attività, gli ebrei hanno attraversato i secoli sotto il peso del pregiudizio e della persecuzione, che si arricchiva, tra l’altro, di un nuovo disprezzo, causato dalle stesse limitazioni che in un certo qual modo “specializzavano” le attività degli ebrei, anche verso il commercio e il prestito ad usura.
 
Dal massacro in Germania nel 1096, fino alle espulsioni spagnole del 1492 e 1496 o alle “cacce” polacche del 1648, questo popolo ha conosciuto in pieno il peso della discriminazione, della disuguaglianza umana, con le “marchiature”, distintivi gialli sulle vesti, e le segregazioni in appositi quartieri, i ghetti, delle città europee, ma non come scelta personale, quanto, invece, come imposizioni giuridiche nate in seguito alla Controriforma.

Solo con l’Illuminismo, e da questo in seguito con gli ideali di libertà e uguaglianza sociale, nati attraverso la Rivoluzione americana, prima, e quella francese, poi, si ebbe una nuova fase che vide il miglioramento delle condizioni di vita degli ebrei da una parte, ma un  nuovo accanimento, nato dall’esasperazione dei movimenti nazionalisti, con l’evoluzione e il passaggio dall’odio religioso a quello razziale: l’antisemitismo.

Antisemitismo, in Germania con la pubblicazione di numerosi libri antiebraici e in Russia con i numerosi pogrom, assalti alla popolazione ebraica in città e villaggi, culminanti in rapine, violenze e massacri, e infine con la diffusione di idee antisemite in numerose parti d’Europa, addebitanti agli ebrei l’idea di un complotto per la conquista del mondo.
Ma il sentimento antisemita non si propagò solo nelle parti centrali e orientali del nostro continente, coinvolgendo principalmente la Germania, l’Austria-Ungheria, la Polonia e la Russia. Esso si diffuse e crebbe anche nelle aree più occidentali, e non ne fu esente la Francia, che, dopo la perdita della guerra contro la Prussia, 1870, e dopo l’esperienza “sconvolgente” del governo popolare, con la “Comune di Parigi”, 1871, andava incontro ad una crisi economica e individuava i finanzieri e i banchieri ebrei come i colpevoli di tutto ciò, balzando agli occhi della visione internazionale attraverso la scandalo del caso Dreyfus, dove questo, ufficiale ebreo dello Stato Maggiore francese, venne usato come capro espiatorio delle correnti antisemite. Inoltre, in molti casi e in molte parti del Vecchio continente le correnti antisemite celavano un malcontento dei meno abbienti nei confronti del successo economico di alcuni ebrei e, come in un sistema che risponde ad un’azione, l’afflusso di ebrei in Germania, che fuggivano dai pogrom polacchi e russi, nella seconda metà del 19° secolo, in seguito alla crisi economica del 1873, acuì ulteriormente l’odio delle frange nazionaliste più estreme.

Mentre dal 1895, attraverso le tesi del giornalista e scrittore Theodor Herzl, si proponeva la creazione di uno stato ebreo, indicando il territorio ideale nella Palestina, con la creazione della Società degli ebrei e ipotizzando un ripopolamento e l’acquisto graduali della stessa Palestina con lavoratori ebrei e soldi provenienti dalla creazione del Fondo perpetuo per Israele, come prova del malessere sociale ed economico che aveva caratterizzato decenni di antisemitismo, l’Europa cadeva nella Prima guerra mondiale e gli ebrei presenti in Palestina alla vigilia del conflitto erano già 110.000. Proprio attraverso la guerra, con il contributo di una legione ebraica alla causa inglese, tramite il ministro degli esteri britannico, J. Balfour, i sionisti riuscivano ad ottenere il diritto alla nascita dello stato ebraico, …[la Gran Bretagna] “vede con favore la costituzione in Palestina di un focolare nazionale ebraico”, prima dall’Inghilterra e, dal 1922, con la conversione della dichiarazione Balfour in trattato internazionale, dalla Società delle nazioni.

Ma quando in campo internazionale gli ebrei cercavano uno spazio vitale in cui poter far nascere uno stato che potesse rappresentarli e tutelarli, in Germania prendeva il potere il Partito nazionalsocialista, gennaio 1933, e per gli ebrei, che ormai sembravano essere sulla giusta strada per la fine delle loro persecuzioni, iniziava un nuovo viaggio al centro dell’Inferno.

Così, quando sembrava  delinearsi una pausa per il martirio dei discendenti del popolo eletto, in Germania, come scritto, salì al potere il Partito nazionalsocialista, alla guida di Adolf Hitler. Quest’ultimo prima venne nominato Cancelliere dal presidente Hindenburg, poi, con la “legge sui pieni poteri” del 21 marzo, come capo del governo detenne ampi poteri sottratti al parlamento, segnando l’inizio della fine. 

Nuovamente sottoposti a limitazioni della persona umana, gli ebrei, già dallo stesso 1933, tornarono ad essere i soggetti principali di una serie di soprusi e offese, e non solo con violenze verbali, attraverso i quali degli uomini privavano altri uomini di diritti basilari. Ma come detto l’orrore non terminò e la privazione dei diritti fu solo la patina superficiale d’una più profonda persecuzione che culminò nell’uccisione, sistematica e scientifica, di massa. Con le leggi di Norimberga del 15 settembre 1935 e con le ulteriori costrizioni legislative del 1938, agli israeliti vennero vietati i matrimoni misti, negati i diritti di cittadinanza, imposti lavori pesanti e segni di identificazione, revocato il riconoscimento legale alle proprie comunità e censiti i beni per le successive confische, il tutto “condito” da manifestazioni di gratuita aggressività. Però i soprusi nazisti non si limitarono nel solo territorio tedesco e ben presto, tra il 1935 e la Seconda guerra mondiale, vennero estesi all’Austria, alla Cecoslovacchia, alla Norvegia, alla Francia, alla Croazia.

Anche in Italia le leggi razziali non si fecero attendere. Il gioco di posizioni tra il cancelliere tedesco e il duce, quell’uomo politico prima ammirato da Hitler come esempio di guida autoritaria in Europa, e poi considerato aiutante di secondo ordine, si ribaltò. Infatti, se nel luglio 1934 lo stesso duce impedì l’annessione austriaca ai territori tedeschi, nel breve volgere di quattro anni, tra la partecipazione nazi-fascista alla guerra civile spagnola, luglio 1936, la costituzione dell’asse Roma-Berlino, 24 ottobre 1936, e del patto anti-Kominter tra Germania, Italia e Giappone, il 6 novembre 1937, Mussolini, credendo in una debolezza delle democrazie occidentali contro la crescente potenza totalitaria tedesca, il 7 maggio 1938 permise quell’annessione austriaca precedentemente osteggiata e, infine, seguì Hitler nel folle progetto di superiorità razziale, con l’emanazione di leggi apposite il 3 agosto 1938.

Indubbiamente, però, il periodo negativo per eccellenza nei confronti degli ebrei si aprì con il secondo conflitto mondiale, settembre 1939, in seguito al quale i campi di concentramento, già creati in Germania dal 1933 per rinchiudere i tedeschi antinazisti, vennero ampliati e moltiplicati per poter incarcerare milioni di donne,  uomini e bambini deportati dai paesi occupati, in modo particolare dalle invase Polonia e Russia occidentale, dove gli ebrei erano più numerosi. Segregati in ghetti murati o incarcerati in campi di concentramento, dal 1941 gli ebrei dell’Europa controllata dal nazismo tedesco vennero inviati nei campi di sterminio dove furono costretti a lavori massacranti, denutriti, puniti, violati fisicamente e psicologicamente dalle guardie tedesche, sottoposti a esperimenti e infine uccisi metodicamente nelle camere a gas.

Tra i vari storici e le scuole storiografiche rimane il dubbio cronologico, 1939 o 1941, riguardante la nascita del pensiero omicida di Hitler in merito allo sterminio scientifico degli ebrei. Ma la triste realtà è che più di cinque milioni di persone sono morte, e i nomi dei vari campi in cui furono detenuti e uccisi gli ebrei, come Auschwitz, Treblinka, Dachau e Buchenwald, fanno ancora paura. Ed è per questo che non bisogna dimenticare.

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