Divorzio: una sentenza per milionari. E i poveracci?

12 Maggio 2017
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 Andrea Pubusa

 

Si fa un gran can can sulla sentenza della Cassazione sull’assegno di divorzio . E’ giustamente.  Fino a oggi, una giurisprudenza granitica collegava l’ammontare dell’assegno al «tenore di vita matrimoniale». Quindi assegni milionari alle ex mogli dei milionari. Oggi il nuovo verbo è il «parametro di spettanza». Si guarda all’indipendenza o dell’autosufficienza economica dell’ex coniuge che lo richiede. Il matrimonio, ha stabilito la Cassazione, non è più la «sistemazione definitiva»: sposarsi, scrive la Corte, è un «atto di libertà e autoresponsabilita’». La sentenza è stata depositata mercoledì e riguarda il divorzio tra Vittorio Grilli, ex ministro all’economia del governo Monti e l’ex moglie, una imprenditrice americana. Personaggi col portafoglio gonfio, attaccati al soldo in modo maniacale. E la povera gente? Per loro poco o nulla cambia: ristrettezze in costanza di matrimonio, fame dopo la separazione e il divorzio. I tempi - come sentenzia la Corte - sono cambiati, ma solo per i ricchi. Per loro occorre «superare la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come `sistemazione definitiva’» perché è «ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilita’, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile». Ma per la gente povera o normale? Per la moglie di un operaio, il matrimonio che sistemazione è? E per quella di un piccolo bottegaio o agricoltore? Sacrifici in casa e fuori per campare e tirar su i figli. Per loro il tenore di vita era modesto prima, e diventa tragico poi. Per loro «che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale» è in re ipsa, come dicono i giuristi, era già una dura realtà prima e la sentenza poco cambia.
Se c’è un punto in cui incide, è sull’atteggiamento sulla separazione e sul divorzio. Mi è capitato spesso di incontrare donne che col lavoro nero (pulizie o assistenza ad anziani o simili) avevano uno stipendio da sommare all’assegno, mentre il povero marito se ne tornava dalla mamma o peggio si arrangiava in qualche casa di campagna. Ora, è evidente che queste “rendite”verranno limitate. Ma queste erano e rimangono guerre per la sopravvivenza. Sulla donna inoltre ricade principalmente la cura dei figli, talché spesso il “privilegio” consisteva e consiste nell’avere qualche soldo “in più” per i figli. Situazioni tragiche!
In conclusione, bene la sentenza, ma, in questa Italia dalle inaccettabili diseguaglianze sociali, la sentenza e il nuovo principio della spettanza giova solo ai maschi ricchi o abbienti. Per la seconda e terza fascia sociale la vita è dura già da sposati, immagiamoci da divorziati!
La Corte ha ragione: il matrimonio dev’essere uno spazio di libertà, ma perché sia tale occorre che l’uomo e la donna siano liberi dal bisogno. A quel punto si può mandare all’aria anche il “parametro della spettanza”. Chiedo: siamo entrati nella nuova era della libertà e dell’autoresponabilità? O stiamo regredendo ai tempi del pauperismo e della necessità? La risposta è nel vento. Basta guardarsi attorno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

1 commento

  • 1 Oggi venerdì 12 maggio 2017 | Aladin Pensiero
    12 Maggio 2017 - 07:31

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