Sulla Carta pro sa Repùbblica de Sardigna del PDS

15 Agosto 2017
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Tonino Dessì

 © ANSA

 Nello scorso mese di marzo, Paolo Maninchedda mi mise al corrente del suo intendimento di elaborare, in seno al Partito dei Sardi, una Costituzione della Sardegna, allegandomi uno schema preliminare e chiedendomi tanto un parere quanto un contributo redazionale. Ancorché per tanti motivi la nostra frequentazione personale sia sporadica e le nostre differenze politiche, anziché avvicinarci, nel tempo ci abbiano piuttosto allontanati, Paolo è una persona con la quale ho avuto un intreccio importante di vicende e di esperienze e un filo di rapporto non si è mai interrotto. La sua richiesta pertanto era legittima, in quanto resto pur sempre una persona disponibile per ogni buona causa pubblica, sia pure nell’ambito di energie e di disponibilità del tempo che non sono più quelli di una volta. Risposi quindi a Paolo Maninchedda con una lettera, della quale riporto il testo di seguito.

 

“Caro Paolo,

ho dato una prima lettura al testo che mi hai inviato. Immagino naturalmente che si tratti di una bozza ancora al livello di appunti. Il tempo mi è un è po’ tiranno, per potermi dedicare in tempi corrispondenti a quelle che immagino siano tue esigenze a un esercizio di modellistica che altrimenti mi intrigherebbe, anche a prescindere da alcune delle considerazioni generali che ti scrivo appena di seguito.

Una prima considerazione è più che altro una precisazione personale. Mi deriva proprio dalla fatica che intuisco già nel tuo tentativo di abbozzare uno schema. Non è assolutamente facile immaginare una Costituzione che superi in ampiezza di respiro i Principi fondamentali e la Parte Prima della Costituzione della Repubblica Italiana. Ancorchè, rispetto a queste due parti, le successive parti della Costiuzione appaiano talvolta deboli e persino (lo ammetto io stesso) posticce, le prime hanno un respiro ineguagliato e per fortuna consentono di integrare le lacune delle altre parti. La ragione sta nel condensato storico-politico, materiale e umano da cui provengono. Chi le ha scritte aveva in mente un passato da superare e un programma futuro da attuare, anche se era poco consapevole delle innovazioni più prettamente istituzionali necessarie per tradurre in chiave moderna quel programma. Infatti, se levi l’introduzione dell’articolazione regionale e locale, la struttura “statuale” della Costituzione non differisce gran che da qualla liberale prefascista. La dimensione delle prime due parti della Costituzione è una delle ragioni per le quali resto attestato su un’ispirazione federalista dentro la Repubblica, piuttosto che su un’impostazione indipendentista, benchè mi renda conto che il federalismo in Italia non è neppure ora un’opzione contemplata dalla politica e soprattutto dalla cultura diffusa. Richiederebbe infatti un sentimento comunitario e nello stesso tempo plurale capace di superare sia il particolarismo genetico della società italiana sia la semplificazione centralistica quale velleitaria, ma perniciosa aspirazione delle classi dominanti a risolvere ogni compessità.

Noto quindi una debolezza di impianto generale, nella tua bozza.

Una parte di principio occorrerebbe, innanzitutto. Non un preambolo o un manifesto, ma proprio un gruppo di norme generali di principio che diano respiro al tema dell’indipendenza (partendo dall’affermazione del diritto all’autodeterminazione), inquadrata come strumento per il pieno dispiegamento della soggettività e soprattutto della libertà dei Sardi, che, detto per inciso, troverei più suggestivo ed evocativo chiamare “popolo”, anzichè “nazione”. Popolo in rapporto alla propria storia antica e alla sua relazione fisica con la propria terra (”heimat” e “matherland”, per intenderci). Libertà, terra e pace: a proposito, perchè mai dovremmo avere delle forze armate? Io proprio, programmaticamente, ci rinuncerei (anche perchè -benchè non sia il motivo il motivo che dichiarerei formalmente- costerebbero troppo), come altri Paesi hanno fatto (uno per tutti, la Costa Rica). La parte sommariamente descrittiva dell’organizazione statuale sarda mi pare troppo mutuata dalla parte meno convincente della Costituzione italiana. Credo che l’organizzazione istituzionale andrebbe scritta in forma più “fantasiosa”, avendo a mente un’ispirazione che non faccia di uno “Stato-apparato” il cardine della struttura, ma sviluppi sia l’articolazione in comunità territoriali sia le forme più incisive di democrazia diretta.

Concludendo queste osservazioni sommarie, se io dovessi riprendere in mano la questione (ma lo dovrai fare tu, perciò ti rimetto l’apprezzamento pratico dei miei suggerimenti), credo che prenderei in considerazione tre testi, sia per la loro esemplarità, sia per i loro contenuti: a) la Costituzione della Repubblica Romana del 1849: non ti faccia sorridere il fatto che la prima parte della Costituzione italiana del 1948 è consapevolmente ispirata a quel testo; b) la Costituzione degi Stati Uniti d’America: i temi di principio sono trattati più sinteticamente che non nella Costituzione Italiana e ovviamente risentono di un’impostazione da democrazia radicale, ma non di democrazia sociale (mancano i contenuti-chiave dell’articolo 3 della nostra Costituzione, che ne caratterizzano tutto l’impianto programmatico), però sono espressi molto suggestivamente, tenuto conto che furono scritti dai rappresentanti di una nazione in formazione; molte questioni di organizzazione interna sono trattate nel loro orizzonte federale e sono perciò interessanti; c) la Costituzione elvetica. La conosco meno approfonditamente, ma anch’essa ha a che fare con indipendenza, neutralità, federalismo interno (cantonalità) e democrazia diretta. Fammi sapere se queste prime osservazioni ti sembrano utili al tuo scopo. Ci aggiorniamo. Grazie -sinceramente- per avermi ritenuto un interlocutore, pur scontando la differenza di impostazione politica e culturale.

Cari saluti. Tonino.”

 

Oggi sul sito del Partito dei Sardi è stato pubblicato il testo definitivo della proposta di Costituzione per una Sardegna indipendente, elaborata dai dirigenti del P.d.S. e messa a disposizione su una piattaforma interattiva (www.sacartaprosarepubblica.eu) sulla quale possono essere espresse opinioni e perfino presentati formalmente emendamenti. Credo si tratti di uno sforzo rispettabile e legittimo, che offrirà soprattutto la possibilità di assistere in diretta all’emersione del livello ideale, culturale e politico diffuso in una importante sezione dell’area indipendentista. Probabilmente ci tornerò alla conclusione di quel lavoro, per esprimere un mio bilancio della consultazione e del testo definitivo che ne dovesse scaturire. Al momento, a seguito di una lettura sommaria, debbo però rilevare che ben poche delle mie suggestioni sono state tenute presenti.

Ovviamente non mi riferisco all’argomento federalista. Il federalismo non è minoritario solo in Sardegna: è inesistente, quasi, in Italia. Ancorché io resti convinto che quella sarebbe stata la strada da seguire (anche, occorrendo, mediante qualche interpretazione o persino modifica evolutiva nella Costituzione italiana del 1948), perché la sfida di costruire una compagine italiana plurale e democraticamente articolata mi è sempre parsa più avvincente di qualsiasi altra opzione, bisogna ammettere che l’Italia non è andata e non va affatto in quella direzione. Il che per molti aspetti sembrerebbe rafforzare le ragioni delle istanze indipendentiste, in Sardegna, se non fosse che queste risentono di un’intrinseca e non superata debolezza strutturale. Una debolezza che emerge tutta proprio nell’articolato che il P.d.S. consegna alla propria discussione interna e a quella di un’opinione più vasta.

Se il tentativo di mutuare dalla Costituzione italiana almeno una parte dei principi fondamentali, proprio l’elisione del riferimento all’uguaglianza sostanziale contenuto nell’articolo 3 della Costituzione repubblicana colloca la proposta del P.d.S. in un solco liberale, certamente più moderato della carta fondamentale del 1948. Una curiosa puntualizzazione di questo aspetto (ma solo un tecnico, forse, può coglierne appieno la portata) sta proprio in un articolo sulla proprietà privata contenuto nella Carta sarda, dove non solo vengono meno i riferimenti alla funzione sociale della proprietà, ma persino per la sua espropriazione è precisato che debba esser effettuata “ai prezzi di mercato”. Chi ha dimestichezza col dibattito sulla proprietà, soprattutto fondiaria, ma anche col tema delle nazionalizzazioni che sulla scorta dell’articolo 41 della Costituzione italiana si svolse per tutta la durata del primo centro-sinistra storico e chi abbia riflettuto sulla deriva in cui siamo piombati nell’era delle privatizzazioni, può rendersi conto del taglio ideologico e della concezione economica che denotano queste particolari accentuazioni.

La configurazione dello Stato sardo poi è davvero molto lontana dal prefigurare una democrazia di popolo. Inesistente la garanzia delle distribuzione della sovranità e del potere interno verso il basso, limitato il richiamo agli istituti di democrazia diretta, blandissima la definizione del ruolo delle autonomie locali.

Populismo però ce n’è fin troppo, tanto da configurare aspetti parossistici. Tre organi eletti direttamente dal popolo (Presidente della Repubblica, Primo Ministro e Parlamento), francamente mi sembrano troppi e destinati a non incontrarsi se non per configgere sistematicamente.

Quel che è certo è che non siamo più in un orizzonte parlamentare, dacchè l’Esecutivo non è vincolato alla fiducia del Parlamento e la funzione normativa è distribuita fra due organi (del solo Stato), restando sì al Parlamento la funzione legislativa, ma essendo prevista la decretazione d’urgenza in capo al Governo. Incauta la previsione del potere di indizione del referendum in capo anche al Primo Ministro, fattispecie in genere esclusa dalla gran parte delle Costituzioni democratiche contemporanee per l’ovvio rigetto del plebiscitarismo a autoritario.

Non mi intrattengo oltre, anche se non mi trattengo dal rilevare che l’enfatica configurazione di un complesso di forze armate confligge con ogni ispirazione innovativa in termini di principi pacifisti e di autodifesa, civile o all’occorrenza armata, come funzione popolare anch’essa democratica.

Aggiungerei infine l’assenza di ogni riferimento alle ispirazioni internazionali, europee e mediterranee nell’intero articolato, che contribuisce negativamente a darne una connotazione alla fin fine troppo angusta.

A me verrebbe da dire sommariamente che è un’ispirazione culturale di destra, quella che traspare da questo testo. Ma non vorrei sembrare liquidatorio per il solo fatto che mi pare che nessuna delle mie suggestioni sia stata tenuta in considerazione (spero si colga in questo passaggio un minimo di autoironia). Un giudizio definitivo comunque non si potrà dare se non alla fine.

Resta il fatto che sono perfettamente comprensibili, finora, anche alla luce delle cose che ho letto in questa occasione, le ragioni profonde dell’inesistente azione dell’attuale governo regionale, del quale il PdS fa parte, in materia statutaria, emerse clamorosamente in occasione del referendum costituzionale e del suo arretramento sui temi della riforma interna dell’ordinamento autonomistico vigente. Non emergono infatti le necessarie condizioni “costituive” e perciò “costituzionali” di una cultura politica riformatrice dall’orizzonte adeguato alle esigenze di questo frangente della Storia. Speriamo che qualche ispirazione correttiva scaturisca almeno dalla discussione aperta con questa iniziativa.

 

 

 

 

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