Catalogna: indipendenza fra diritto e politica

2 Ottobre 2017
2 Commenti


Andrea Pubusa

Poche chiacchiere, lo Stato di diritto e costituzionale ha principi e regole stringenti. La Costituzione  democratica, post-franchista dice che la Spagna è ”indissolubile”. In Italia questo è un principio non revisionabile, ma anche ammettendo che lo sia nella penisola iberica, ci vorrebbe un difficile e arduo iter di riforma (con doppia maggioranza qualificata parlamentare e referendum popolare). Quindi, nella situazione attuale, i principi e le norme sull’indivisibilità dello Stato sono superiori a qualsiasi decisione presa da un parlamento autonomo. Questo è ciò che in estrema sintesi ha detto la Corte costituzionale spagnola quando ha bocciato all’unanimità il 20 settembre la decisione del Parlamento di Barcellona di indire un referendum per l’indipendenza della Catalogna il primo ottobre.
La Costituzione spagnola del 1978 è molto simile alla nostra, da cui ha mutuato molte formulazioni, essendo molto stretti i rapporti tra giuristi iberici e italiani.  Afferma che “la sovranità nazionale appartiene al popolo spagnolo, cui emanano i poteri dello Stato” e la forma politica “è la monarchia parlamentare“. Per quanto qui c’interessa la Carta fondamentale sancisce “l’unità indissolubile della nazione spagnola, patria comune ed indivisibile di tutti gli spagnoli, riconoscendo e garantendo il diritto all’autonomia“. L’articolo 9 recita poi che “i cittadini e i poteri pubblici sono soggetti alla Costituzione e al resto dell’ordinamento pubblico“.
Ovviamente anche quella d’oltremare è una Carta emendabile. Le revisioni costituzionali importanti o sui principi generali sono regolate dall’articolo 168, che prevede una maggioranza dei due terzi di ciascuna delle due Camere seguita dallo scioglimento delle Cortes. Tocca poi alle nuove Camere, una volta ratificata la decisione, lo studio del nuovo testo costituzionale, da approvare di nuovo con una doppia maggioranza dei due terzi. Una volta approvata la riforma, si procede a un referendum per la ratifica definitiva.
Ecco perché la Corte costituzionale ha bocciato all’unanimità, dichiarandolo nullo e incostituzionale, il referendum. Il parlamento catalano - dice la Corte - ”si è arrogato attribuzioni sulla sovranità superiori a quelle derivanti dall’autonomia riconosciuta dalla Costituzione, insistendo per introdurre nell’ordinamento giuridico con apparente validità un oggetto specifico: il presunto ‘processo costituente’ in Catalogna, la cui incostituzionalità” è stata dichiarata numerose volte dallo stesso tribunale.
La Corte spagnola affronta anche un altra questione delicata e molto dibattuta. E cioè se sia prevalente la volontà popolare (in questo caso peraltro limitata alla Catalogna) o la legalità costituzionale. E anche qui la Corte riafferma un principio costituzionale sedimentato. La Costituzione - dice la Suprema Corte - non permette di “contrapporre la legittimità democratica e la legalità costituzionale” privilegiando la prima. Quindi “la legittimità democratica del parlamento della Catalogna non può opporsi al primato senza condizioni della Costituzione“. D’altra parte, si potrebbe osservare che la volontà catalana è parziale, non esprime quella generale.
Argomentazioni inccepibili, anche in Italia, di fronte al referendum lombardo-veneto di Zaia o di altri leghisti. In questo quadro quella delle autorità catalane è una forzatura. Sul piano costituzionale e giuridico è una “rivoluzione” perché l’indipendenza è fondata sulla violazione della legge e dei principi fondamentali vigenti.
Sul piano politico il meno che si possa dire è che l’azione delle autorità catalane è azzardata. Se non si prepara con pazienza un procedimento condiviso, l’indipendenza appare più che la creazione di un ordine nuovo l’inizio di uno sfascio. Anche perché poi bisogna regolare tutto il resto, finanza pubblica, sistema pensionistico e delle assicurazioni sociali e tanto altro. Certo, anche il governo spagnuolo deve prestare estrema attenzione alle sue mosse perché, se è vero che ha dalla sua il diritto,  sembra non avere un’accettabile consenso in Catalogna. Le immagini di questi giorni anzi mostrano una volontà diffusa fra i catalani di separazione. E le posizioni sembrano cristallizzarsi e divaricarsi. La soluzione non può essere la repressione e l’uso della forza. E’ difficile prevedere l’esito di questo scontro perché gli uni e gli altri sembrano non voler fare un passo indietro. Saranno importanti le mosse del re, tenendo conto che la corona ha un buon seguito fra gli spagnoli per la gestione ferma e affidabile della transizione dal franchismo alla democrazia. 
Staremo a vedere. Tuttavia non si può sottacere la sensazione che la disarticolazione degli Stati nazionali, fatta in questo modo, alla fine giovi ai potentati economici e finanziari più che ai popoli. Insomma, rompere le Costituzioni, nate da processi democratici, non sembra promettente per le masse popolari. Una volta spezzati gli equilibri costituzionali è difficile ricostituirli e i poteri forti non stanno certo a guardare. In Italia ci sono stati diversi assalti e li abbiamo tutti respinti. Ora si profila all’orizzonte il referendum lombado-veneto dei leghisti. E’ una modalità diversa dello stesso proposito di rottura costituzionale, pericolosa perché si inserisce in un quadro di divisione delle forze democratiche e della sinistra.  

2 commenti

  • 1 Catalogna | Aladin Pensiero
    2 Ottobre 2017 - 07:52

    […] Andrea Pubusa su Democraziaoggi. ————————————- Catalogna Democraziaoggi Aladinews […]

  • 2 Gianfranco Sabattini
    2 Ottobre 2017 - 10:06

    Caro Andrea, hai messo, come si suol dire, i puntini sulle ” i”; quando la Costituzione di una data comunità non è ottriata, ma sottoposta essa stessa alla legge, con la statuizione delle modalità che devono essere seguite per una sua riforma, l’iniziatva presa da una qualsiasi componente della naziomne in “spreguio” della Costituzione deve essere chiamata col suo nome: secessione, che, in quanto tale, deve essere legalmente impedita e, se necessario, anche con la forza.
    I fatti catalani, per quanto diversi, non ci sono del tutto estranei, considerando che anche nel nostro Paese vi è il Veneto e la Lombardia che vogliono celebrare un referendum per acquisire una maggiore autonomia rispetto allo Stato. Per quanto, le due regioni, Veneto e Lombardia, non abbiano alcuna intenzione di secessionare dall’Italia, tuttavia, anche per esse, si pone il dubbio se sia legittimo procedere au una riforma dell’organizzazione dello Stato in “spregio” dell’iter previsto dalla Costituzione. Anche in Italia, percio, Veneto e Lombardia dovrebbero agire seguendo l’iter previsto per la riorganizzazione istituzionale complessiva dello Stato, in modo uniforme per tutte le regioni del Paese. In questo modo, Veneto e Lombardia non sarebbero sole nel portare aventi un’istanza che, così com’ è stata sinora gestita, è solo fonte di confusione e di disordine politico.
    Hai anche ragione nel sottolinere che le pretese “secessioniste” in giro per il mondo, in particolare, per quel che ci riguarda, all’interno dell’Europa, servono solo a legittimare il perseguimento della raelizzazione del disegno dell’”Europa delle piccole patrie”; disegno, questo, chiaramente strumentale alla sosddisfazione degli interessi delle oligarchie economiche globali, non certo di quelli dei componenti le piccole comunità che aspirino ad acquisire una maggire autonomia decisionale per la soluzione dei loro problemi esistenziali, risoetto ai quali il potere centarle ormai si è rivelato del tutto inadeguato.

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