Vittorio Emanuele III, se questo è un re vittorioso…

19 Dicembre 2017
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Nel giudizio sul rientro della salma di Vittorio Emanuele III e della consorte in Italia l’unica considerazione  accettabile è che la democrazia italiana è oramai così forte da non temere l’impatto di questo fatto. O ancora che si tratta di un sovrano così screditato da non poter ingenerare alcun sentimento di simpatia. Tutto vero. E tuttavia è stato un personaggio la cui piccineria ha concorso a dare agli italiani gravi lutti, ad esporre le giovani generazioni del tempo a immani tragedie. Basta recarsi in qualunque paese della Sardegna per leggere i nomi di quanti  giovani sono morti per le scelte sciagurate di quest’uomo. Se poi scaviamo nella storia di ogni famiglia, ci troviamo di fronte alla tragedia. Mia madre, che durante la Grande Guerra era bambina, raccontava delle lettere dei soldati dal fronte. che le venivano affidate per essere lette ai genitori analfabeti. E poi i drammatici silenzi a cui seguiva il temuto telegramma con la solita scritta “Deceduto sul campo dell’onore”. E ancora la storia di quella madre, vedova, lasciata sola col bestiame in un furriadroxiu per la chiamata in guerra dei suoi due ragazzi, poi deceduti entrambi. Narrava della consegna della medaglia d’oro con bandiere, fanfare e discorsi, di cui lei non capiva il senso e non sapeva che farsene. Non capiva nemmeno dell’assurdità della guerra lei sempre vissuta in campagna col gregge da curare e i campi da arare. Se poi penso alla macelleria dei suoi avi in Sardegna contro i democratici nostrani, documentata da un recente libro di Francesco Casula, prevale in me la rabbia contro la decisione del Presidente della Repubblica e del governo, lo sdegno diventa assorbente sulla pur consolante considerazione che questo rientro non scalfisce in nulla la nostra democrazia, eretta per la reazione alta e forte del Movimento Partigiano e Democratico alle macerie materiali e morali prodotte dalla viltà di questo monarca.
Sulle sue ignobili “gesta”  ecco una efficace sintesi dello storico Angelo D’Orsi (a,p,).
    

Angelo d’Orsi Il Manifesto del 19.12.2017
 

A. Stanghellini - Vittorio Emanuele III

A. Stanghellini – Vittorio Emanuele III “Sciaboletta

Sono poco interessato alla sede sepolcrale che raccolga i resti di Vittorio Emanuele III, detto «Sciaboletta».
Scongiurato il Pantheon o Superga, sono finiti in un santuario piemontese: in fondo una «cristiana sepoltura» non si nega a nessuno.
Ma, come’è ovvio, «la questione è politica»: e un breve ripasso storico ci può aiutare a capire e giudicare.
Davanti alle polemiche sollevate da più parti, si è dovuto constatare qualche difesa d’ufficio, volta a sminuire le responsabilità del «re vittorioso», e della casata sabauda. Sono risonate parole già udite in passato: il buon re Vittorio non era consenziente con le sciagurate iniziative del Duce, anche se, sbagliando, sottoscrisse gesti politici, iniziative diplomatiche, atti giuridici, che sarebbe stato bene non avesse sottoscritto.
E a chi incalza, ricordando che comunque egli fece tutto questo, si risponde che il re lo fece un po’ per quieto vivere, un po’ per debolezza, un po’ per via dell’isolamento in cui era stato confinato da rapporti di forza sfavorevoli con il fascismo.
Insomma, un sovrano più «actus» che «agens», che assomiglia tanto al Mussolini di Renzo De Felice, che «non voleva», che «non era d’accordo», che «venne costretto a…».
A coloro che invece imprecano contro questo ennesimo «ritorno dei Savoia», va ricordato, tuttavia, che le colpe di quel bel tomo che ha trovato infine da ieri l’eterno riposo terreno, sono ben antecedenti alle infami leggi razziali del 1938: in sintesi, la sua intera carriera politica è stata all’insegna del tradimento degli interessi della nazione, della volontà del suo popolo, degli stessi orientamenti politici del Parlamento. Nel maggio 1915 egli firmò l’entrata in guerra dell’Italia, contro il volere della larga maggioranza del Parlamento, d’accordo soltanto con il primo ministro (Salandra) e il responsabile degli Esteri (Sonnino).
Si trattò di un vero e proprio colpo di Stato: il primo di una serie, come ricordò il grande Luigi Salvatorelli.
Il modo con cui l’esercito – di cui il re era pur sempre il comandante in capo – nella persona del suo capo militare, il generale Luigi Cadorna (poi sostituito da Armando Diaz), affrontò la crisi di Caporetto nell’autunno ’17 fu vergognoso: l’aver dar la colpa ai soldati «vilmente arresisi», costituì un’autentica infamia. Seguirono persecuzioni verso i socialisti, accusati di avere provocato la disfatta, una pessima gestione dei profughi italiani provenienti dalle terre venete invase dal nemico austro-germanico, e via seguitando.
In quella guerra il fascismo affondò le sue radici, ed ecco che si arrivò al secondo colpo di stato di Vittorio: la mancata firma del decreto di stato d’assedio per fronteggiare la Marcia su Roma, deciso dal Governo Facta, l’ultimo dei ministeri liberali, aprendo così la strada all’avvento mussoliniano al potere.
Un’azione palesemente illegale, un attacco armato alla capitale del Regno, da parte di un partito militare come il Pnf, venne tranquillamente accolto dal sovrano, che non solo ritirò il decreto, ma due giorni dopo accolse in pompa magna Mussolini che sfacciatamente gli sibilò: «Maestà vi porto l’Italia di Vittorio Veneto», e fu preso sul serio.
Nel Ventennio il re, checché ne dicano «storici» compiacenti, appoggiò e sostenne ogni impresa del Duce, al quale concesse addirittura la massima onorificenza della casa regnante, il Collare dell’Annunziata, che rendeva Mussolini «cugino» di Vittorio.
Fra le tante bassezze e illegalità commesse da colui che avrebbe dovuto difendere lo Statuto Albertino – ossia la Costituzione – e lo violò ripetutamente, ricordo la firma del decreto che dichiarava decaduti i deputati aventiniani, nel 1926, e il pacchetto delle leggi fascistissime di Rocco, a cominciare dalla istituzione di un Tribunale Speciale: una incredibile fuoruscita dallo Stato di diritto.
In questa deriva, la firma delle leggi razziali furono la ciliegia sulla torta.
L’arresto di Mussolini, il 26 luglio ’43, dopo giorni di terribili (e vigliacchi) bombardamenti alleati su Roma, lungi dal costituire un gesto riparatorio, fu un nuovo atto illegale: il terzo colpo di Stato del re.
In fondo Mussolini era il capo del governo «legittimo» (reso tale da leggi illegittime), che fino al giorno prima aveva governato col pieno assenso del re. Il cui tardivo risveglio certo non può assolvere Vittorio. La successiva fuga ignominiosa al Sud, mentre l’esercito si squagliava e il Centronord era lasciato in mano ai tedeschi, fu l’ultimo oltraggio alla dignità e alla libertà d’Italia.
Insomma, se questo è un re vittorioso…

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