Dati ISTAT. L’occupazione cresce e…diminuisce!

31 Dicembre 2017
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Gianfranco Sabattini

Ecco la seonda parte dell’interessante intervento del prof. Gianfranco Sabattini, pubblicato ieri a commento del saggio di  Francesco Saraceno (economista senior presso l’Osservatoire Français des Conjonctures Économiques/Science-Po di Parigi) inserito in “Che cosa ci dicono i dati sul lavoro”, “Il Mulino” n. 5/2017..

In quali comparti si è verificata sopratutto la contrazione della disoccupazione in Italia? La diminuzione si è verificata soprattutto nel settore dei servizi (coinvolgendo però anche gli altri settori), a seguito dell’aumento dei contratti part-time e a tempo parziale e della diminuzione di quelli a tempo indeterminato. La stessa dinamica del mercato del lavoro mostra anche un cambiamento della composizione settoriale dell’occupazione; fenomeno, questo, destinato ad avere un impatto, nel breve e nel medio-lungo termine, sulla produttività della forza lavoro occupata.
La considerazione congiunta delle due tendenze evidenziate giustifica la contraddizione, precedentemente indicata, tra l’aumento dell’occupazione e l’aumento contemporaneo della disoccupazione; essa sta ad indicare che al miglioramento di uno dei principali “fondamentali” dell’economia nazionale (il ritorno al livello occupazionale antecedente il 2008) corrisponde una percezione pubblica negativa dello stato di salute dell’economia nazionale, espressa soprattutto dall’aumento della disoccupazione.
In sostanza, l’aumento del livello occupazionale vale a denunciare un miglioramento della situazione economica complessiva del Paese solo apparente, in quanto da esso, se interpretato alla luce della dinamica del mercato del lavoro, si può solo dedurre che la crisi del sistema economico e sociale dell’Italia non è ancora finita; ciò perché è inevitabile pensare che a un aumento di posti di lavoro, se considerato congiuntamente alla diminuzione delle ore lavorate per dipendente e al fatto che esso si sia verificato in comparti produttivi a basso valore aggiunto (turismo e soprattutto ristorazione e servizi alla persona, che rimunerano la forza lavoro occupata con bassi salari), corrisponda un aumento della produzione corrispondente a un quasi identico aumento dell’occupazione, in assenza di ogni miglioramento della produttività.
La conseguenza non può che essere la conservazione dell’erogazione di salari bassi e l’aumento delle disuguaglianze distributive, destinate a rendere stentata, se non impossibile, la ripresa della crescita del sistema economico, con cui celebrare l’uscita reale dal tunnel della crisi. A maggior ragione, tale conseguenza risulta inevitabile se le attività produttive verso le quali si è indirizzata la “nuova occupazione” sono di piccola dimensione, come sono in realtà le attività produttive di servizi turistici e della ristorazione.
Inoltre, l’aumento dell’occupazione nelle piccole attività produttive di servizi ha reso del tutto particolare in Italia la precarizzazione del lavoro, destinata ad avere un impatto negativo sul rilancio della crescita equilibrata di tutti i settori del sistema economico nazionale. Quel che caratterizza il nostro Paese – sostiene Saraceno – è la composizione delle dinamiche occupazionali: a causa dell’automazione e dell’outsourcing si è ridotto il numero “degli impieghi a qualificazione media (impiegati e operai specializzati) e sono aumentati, sia gli impieghi più pagati (dirigenti, professioni intellettuali tecnici), sia quelli di fascia bassa non delocalizzabili (addetti a vendite e servzi personali, operai semi-qualificati, occupazioni elementari)”.
Quasi ovunque, quindi, la polarizzazione dell’occupazione è stata asimmetrica, poiché i lavori ad alta qualificazione sono cresciuti meno di quelli di fascia bassa. Ciò ha determinato che l’occupazione sia rimasta stagnante nei comparti produttivi a più alto valore aggiunto, dove maggiori sono stati l’aumento della produttività e la rimunerazione del lavoro; mentre il contrario è avvenuto nei comparti produttivi a più basso valore aggiunto. Il numero complessivo dei posti di lavoro è cresciuto, ma con esso sono aumentate le disuguaglianze distributive, mentre la trasformazione della economia nazionale è avvenuta attraverso l’espansione di comparti produttivi “a bassa produttività e non suscettibili di trainare la crescita del Paese nel medio periodo”.
A ciò va aggiunta anche la considerazione che la composizione territoriale delle dinamiche del mercato del lavoro ha messo in evidenza l’approfondimento del dualismo italiano, con un andamento dell’occupazione nelle regioni meridionali simile a quello che si è verificato nelle regioni del Centro-Nord; ciò significa che, agli attuali ritmi di crescita, quelle del Mezzogiorno potranno tornare ai livelli del PIL pre-crisi solo nel 2028, dieci anni dopo le altre regioni.
Come uscire da questa situazione anomala del funzionamento del mercato del lavoro? Come creare le pre-condizioni stabili per favorire una correzione delle dinamiche di tale mercato, rendendo compatibili l’aumento dell’occupazione, il miglioramento della produttività del lavoro, una ripesa della crescita e un’attenuazione delle attuali disuguaglianze distributive? Per Saraceno, fin tanto “che il tasso di crescita non tornerà stabilmente sopra il 2% annuo, sarà difficile che l’economia crei nuovi posti di lavoro”; ciò perché, in presenza delle attuali dinamiche del mercato del lavoro, ogni misura volta a correggerne l’andamento non potrà che tradursi in una ridistribuzione settoriale dell’occupazione, precarizzandola, come sta a indicare l’esperienza vissuta negli anni di crisi.
In conclusione, secondo Saraceno, per uscire dalla crisi l’Italia deve migliorare la produttività del lavoro, dando il là al rilancio della crescita attraverso l’aumento degli investimenti nell’istruzione; ciò dovrebbe avvenire in un contesto in cui le risorse, essendo limitate, dovrebbero essere reperite attraverso l’abbandono della politica di austerità, con la quale sinora si è inteso fronteggiare gli esiti negativi della crisi.
La cessazione dell’austerità, tuttavia, non sembra una misura sufficiente a consentire il ricupero delle risorse per fare fronte al male antico del sistema-Paese italiano, cioè a promuovere il miglioramento del lavoro, strumentale alla ripresa degli investimenti. L’unica via percorribile, per il ricupero delle risorse necessarie a rilanciare la crescita, sembra perciò ridursi a quella, da alcuni prospettata, ma sempre respinta sul piano politico, di un’imposta patrimoniale una tantum sui maggiori patrimoni, da destinare alla riduzione del debito pubblico; ciò, al fine di realizzare un aumento dell’avanzo primario del bilancio pubblico, ricuperando le risorse per finanziare le politiche pubbliche orientate a rendere possibile l’auspicato miglioramento della produttività del lavoro.

2 commenti

  • 1 Oggi domenica 31 dicembre 2017 | Aladin Pensiero
    31 Dicembre 2017 - 11:07

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  • 2 Lavoro innanzitutto! Come? | Aladin Pensiero
    31 Dicembre 2017 - 11:17

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