Caro Michele, coraggio! Suvvia! Vieni con noi. Caro Amsicora, il problema non sono io, non accetto l’umiliazione dei sardi

28 Gennaio 2018
3 Commenti


Amsicora

Appena appresa la ferale notizia della non ricandidatura di Michele Piras, Amsicora, sollecito, gli ha scritto questa solidale e confortante missiva, che volentieri pubblichiamo. Segue la risposta dialogante di Michele Piras e l’intervento di Tonino Dessì-

 

Caro Michele,

 

ho letto e riletto la tua lettera aperta ai dirgenti di LeU. Quasi la ricordo a memoria. E sai cosa ne ho tratto? Sono d’accordo con te. anche nella punteggiatura. Non è in discussione Grassi, le sue capacità. Ma che c’entra con noi isolani? Meglio un sardo, sicuramente, se ad eleggerlo siamo noi sardi. Ma sai quale è il punto debole dell’iniziativa? Che è tua. Perde di credibilità perché dà la forte sensazione che sia una istanza pro domo tua.
Ascolta, caro Michele, ormai i miei capelli sono bianchi e la mia età matura m’insegna che, di solito, ci tocca in sorte quanto abbiamo seminato, homo faber fortunae suae. Ricordi quando si apriì quella bella prospettiva unitaria fra Rifondazione e Sinistra democratica? Si poteva creare una grande forza di sinistra, capace di contendere al nascente PD l’area popolare. Un partito vero, radicato, non dipendente da altri. Per capirci quello che ha poi fatto con successo il M5S. E tu, insieme ad Uras, Zedda e altri, cosa avete fatto? Un disastro. Avete sbattuto la porta in faccia a tanti compagni e compagne. E molti di noi hanno provato la durezza della vostra legge! Anch’io ho subito la severità del vostro canone. Cercavo di fare qualcosa di utile per la causa? Ma, incredibile!, venivo inspiegabilmente respinto. E perché? Siccome non ero anziano come oggi, qualcuno poteva credere che avessi qualche mira nascosta. Che volessi avanzare qualche pretesa. Che fossi in corsa. Che volessi cacciare nella riserva che avevate tracciato per voi stessi. Ci voleva molto a capire che molti di noi non ambivano a nulla se non a servire la causa? Ma voi, e tu fra loro, tra il vedere e il non vedere, a me come a Tonino, Antonello, Carlo, ed ad altri avete mostrato una faccia poco accogliente. Pian piano una cintura di sicurezza ci ha impietosamente avvolto, e noi, che non capivamo e non sapevamo che fare, pian piano abbiamo compreso. Potevamo reagire, darci ad una guerra per bande. Ma era poco dignitoso e così abbiamo lasciato. Senza proclami, in silenzio, ma con dolore. Una sofferenza cicatrizzata dal tempo, che però ricompare, prepotente e indesiderata, ogni tanto, alla vista di come avete ridotto la sinistra. Un grande patrimonio di esperienze, di lotte, un meraviglioso deposito di rigore morale e generosità, costruito nei decenni, pian piano sperperato. E per cosa? Per la gelosa salvaguardia del vostro seggio. Ma come avete potuto !? Non vi è mai passato per la testa che, in questo modo, metti alla porta questo, comprimi quell’altro, scansa quell’altra ancora, alla fine sareste rimasti soli, indifesi, senza esercito? Pian piano ridotti a consorteria e poi neanche quella. Col cappello in mano in casa altrui, a lesinare il seggio al PD.  Tu ora provi “sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale.” Devi prendere ciò che passa il convento…anche che Grassi ghermisca il tuo seggio!
Caro Michele, noi che fummo messi alla porta, non ci siamo arresi. Siamo entrati nella “riserva democratica”. Abbiamo fatto quanto era nelle nostre possibilità. Comitati, gruppi di base, movimenti, Anpi, piccole cose. Però, non abbiamo smesso di esercitare la nostra capacità critica, in bell’autonomia e gustosa libertà. Non abbiamo cessato un attimo di seminare le idee dell’uguaglianza e dell solidarietà, e quando è stato necessario, con decisione, siamo tornati in campo a difesa della democrazia, contro B., Soru, Renzi & C.. Ora con orgoglio, possiamo dire di aver reso ai lavoratori e ai ceti subalterni e al nostro Paese un servizio, senza chiedere nulla in cambio, pronti a tornare nella riserva, anche se sempre vigili e presenti.
Caro Michele, non so se tu e gli altri compagni tuoi di SEL potete dire la stessa cosa. Non so se abbiate la nostra tranquilla coscienza. Se ci pensi bene, tu e gli altri affogate nell’acqua gelida che ci avete lanciato. Noi ci siamo riscaldati nel seno caldo della battaglia di movimento, e lì stiamo felicemente, preccupati solo delle mascalzonate di destra, di centro e di centrosinistra… e, ahinoi!, di sinistra o sedicente tale!
Caro Michele, non abbiamo risentimenti, siamo, nonostante tutto, solidali. Un consiglio fraterno? Torna, senza astio, alla milizia disinteressata e generosa di base. C’è tanto da fare. Li, ti assicuro, troverai la pace che in questi anni hai perso. Potrai curare le tue ferite e lenire i tuoi tormenti. La vecchia talpa scava in silenzio, un giorno tornerà alla luce del sole.

3 commenti

  • 1 Aladin
    28 Gennaio 2018 - 09:49

    Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=77593

  • 2 Michele Piras
    28 Gennaio 2018 - 13:26

    Caro Amsicora,
    ti ringrazio per ciò che hai scritto e accetto ogni critica, anche perché sono consapevole degli errori commessi ed anche perché - come tu sai - chi si impegna a far le cose commette errori, nessuno escluso.
    Come già ti scrissi in precedenti dialoghi fra di noi non fu mai la mia intenzione quella di escludere persone dai percorsi che tu ricordi e credo di aver dimostrato apertura e laicità nei rapporti ogni volta che sono stato chiamato a confronto.
    Penso anche che alcuni di voi abbiano sbagliato, in tutti questi anni, a non confrontarsi con me per ciò che sono, ritenendo invece di catalogarmi per ciò che si riteneva che fossi, in ragione di un pregiudizio forse o più banalmente per quella semplificazione che spesso si usa di definire le persone sulla base dei connotati altrui.
    Questo capita spessissimo in politica. Ma non ne faccio una colpa a nessuno. Anche io mi sento di avere la coscienza libera da troppi pesi e (insisto) i conti coi miei errori e le mie responsabilità li faccio sempre, ogni minuto di ogni giornata. Meno disponibile certamente ad assumermi anche le responsabilità altrui o a farmi carico delle ostilità altrui, che peraltro nascono, crescono e si incancreniscono in una dimensione che con la politica ha spesso nulla a che vedere.
    Le battaglie contro la riforma costituzionale le abbiamo fatte insieme, anche quando alcuni di coloro che tu richiami, in questa tua affettuosa missiva a me dedicata, stavano da altre parti.
    No, Amsicora, non è a difesa di me stesso il gesto politico maturato in questi giorni. Capisco che lo possa pensare chi non conosce il backstage di questa vicenda, ma non è così e lo voglio rivendicare.
    Una mia candidatura non era in discussione. Avrei comunque potuti scegliere di piegarmi sulla linea di principio, correre in un collegio uninominale e preparare, attraverso questa strada, un mio prossimo ritorno nelle istituzioni.
    Ho scelto di non accettare l’umiliazione politica delle persone che rappresento, dei sardi, del soggetto politico nascente.
    L’avrei fatto anche se mi fosse stato assegnata la candidatura in testa alla lista del Senato, come inizialmente avevo proposto.
    Il punto non sono io. O meglio (se si vuole) sono io con le mie idee, i valori e i principi che ho maturato in tutti questi decenni di impegno politico, quello dei manifesti incollati sui muri del Marghine, quello delle responsabilità che i compagni mi hanno affidato nelle formazioni politiche che ho diretto, quello nelle istituzioni, locali e nazionali, nelle quali ho avuto l’onore di esser stato eletto.
    Nel 2013, all’atto di consegna delle liste di Sel, un dirigente nazionale mi chiamò, dicendomi che Nichi Vendola sarebbe dovuto essere capolista dovunque alla Camera, Sardegna compresa. Gli risposi fermamente di no, che in Sardegna non sarebbe successo, non solo per la battaglia “autonomistica” che sviluppavamo in quella stagione, ma perché il volere delle persone che avevano votato alle nostre primarie andava, secondo me, rigorosamente rispettato. Anche allora misi a disposizione me stesso e la posizione “conquistata”, solo che quel gruppo dirigente fu meno miope e chiuso di quello attuale. E comprese le ragioni politiche di ciò che sostenemmo.
    Non rinuncio alla politica per una mancata conferma, anche perché non ho mai pensato che la politica si fermi all’uscio di un Consiglio regionale o di Montecitorio.
    Peraltro consentimi di dire che davvero poco mi conosci se hai pensato questo. Ma non ne faccio un problema, anche perché la bellezza delle relazioni fra persone è anche che attraverso un rapporto più denso si possono anche cambiare le opinioni. Io lo faccio come esercizio di salute psichica. E lo dico anche a te e ai compagni esclusi dal percorso di Sel che tu hai ricordato: se fossi rimasto fermo a ciò che mi dicevano altri non avrei nemmeno dovuto rivolgere la parola.
    Ma sai, caro Amsicora, sarà che sono di Borore (e che cagliaritano non lo sono mai diventato fino in fondo) ho sempre pensato al privilegio di poter stare oltre le divisioni storiche della sinistra cagliaritana e lontano dalle sue ruggini, anche quando quelle disamistades entrarono prepotentemente nella discussione interna di un soggetto politico (sempre Sel) che voleva essere altro.
    Non vivo in alcuna maniera come un problema l’idea di tornare “alla base”, ammesso e concesso che ne esista una o che realmente tutti coloro che si ritengono base lo siano realmente.
    Ricostruirò da dove mi sono fermato, sempre a sinistra, senza presunzioni. Perché i legami sociali costruiti in questi anni si sono accresciuti in maniera esponenziale e perché l’affetto del quale sono circondato in queste ore, di centinaia di messaggi di stima e ringraziamento per il lavoro svolto, mi da la forza di accantonare il rimorso per la scarsa cura che ho avuto delle “relazioni di potere”.
    Perché questo è il limite che mi fanno osservare i compagni che mi conoscono meglio. E del resto hanno forse ragion, perché altrimenti un uscente alla prima legislatura, che qualche risultato l’ha pure portato a casa, non sarebbe rimasto fuori. Non credi?
    Vado fiero di ciò che sono riuscito a fare finora e conservo i progetti interrotti per il futuro.
    Vado fiero per ragioni di estrazione sociale (di classe si sarebbe detto), perché politicamente sono figlio di nn, perché ho contribuito a far crescere qualche giovane, perché sono rimasto me stesso, pregi (pochi) e difetti (tanti).
    Perciò (ed infine) ci sono, pronto a stare sempre dalla stessa parte e a collaborare con chi vorrà usarmi medesima disponibilità.
    Un abbraccio e ancora grazie per le tue critiche, la tua lettera e questa opportunità che mi hai dato di raccontare il mio punto di vista.

    Michele Piras

  • 3 Tonino Dessì
    28 Gennaio 2018 - 14:52

    Andrea scrive alcune considerazioni che per molti aspetti condivido.
    Tuttavia, per la parte che mi concerne, osservo da tempo le vicende di quest’area residua della sinistra con scarso coinvolgimento e con più disincanto. Forse con minore severità sulle persone, derivante da una realistica valutazione del contesto.
    Non ho lasciato la politica a causa loro, certamente, ma perché il ciclo che dai grandi movimenti degli anni ‘70 e ‘80 mi aveva ininterrottamente portato, nella militanza, dal Manifesto-PdUP al PCI, al PDS e ai DS, con lo scioglimento della sinistra storica italiana e la sua confluenza nel PD si era definitivamente concluso.
    Aggiungerei che l’ultimo impegno in ordine di tempo, quello di componente del Governo della Regione, mi aveva disvelato -cogliendomi di sorpresa, lo ammetto- per la specificità della temperie e delle personalità coinvolte al massimo livello, un lato oscuro del protagonismo politico e dell’esercizio del potere istituzionale ad esso connesso, che era entrato in radicale conflitto con la mia strutturata eticità e più ancora, primordialmente, con il mio carattere poco incline all’omologazione complice, meno ancora a quella ossequiente.
    D’altra parte, trent’anni di intensa militanza, venti dei quali impegnati come dirigente di partito -per di più da volontario, non avendo mai tralasciato di svolgere diligentemente il mio qualificato lavoro- ormai richiedevano una restituzione di tempo e di qualità alla vita professionale e soprattutto a quella personale più intima, anche per la nuova responsabilità genitoriale.
    Certo, ha ragione Andrea: fu anche poco attraente, per il mantenimento di un impegno politico sia pure indiretto, la constatazione che l’ambiente organizzato residuato a latere del PD non prometteva alcuna positiva ripresa.
    Al logoramento della militanza più anziana si accompagnava la determinazione un po’ cinica di alcuni giovani adulti, che teorizzavano e praticavano la politica come professione e come conseguente fonte di sostentamento, con tutti i comportamenti spesso spregiudicati connessi a questa scelta anche esistenziale, che non casualmente avevo sempre sconsigliato a loro consimili in passato.
    Ma oggettivamente anche questo portato di tempi di precarietà sociale non avrebbe dovuto sorprenderci e nemmeno scandalizzarci troppo. Tutto era in qualche modo già scritto.
    Certo è che se fosse stato anche per questo piccolo ceto impiegatizio della politica, non solo non avremmo vinto la battaglia referendaria, ma manco saremmo arrivati a giocarla.
    Sarà per l’esistenza di una “riserva democratica” (meritevole, da preservare, ma non immortale, inutile farsi illusioni o peggio farsi prendere da manie di onnipotenza), sarà perché “la vecchia talpa” continua a scavare per cunicoli e direzioni tanto misteriosi quanto talvolta prodigiosi, però la storia e il presente anche di questo Paese e di questa terra di Sardegna sono attraversati ancora dalle contraddizioni antagoniste e tanto quella democratica, quanto quella sociale, talvolta si riprendono lo spazio e la prospettiva che loro competono.
    Perciò non facciamo un dramma di piccole storie che fra un mese saranno definitivamente alle nostre spalle e guardiamo avanti.
    A noi compete fare quel che facciamo semplicemente perché dobbiamo farlo, perché ne abbiamo ancora voglia, perché ci siamo procurati, col lavoro, la libertà da ogni condizionamento.
    E in questo innegabilmente godiamo di un privilegio e di una gratificazione.
    Se anche di qualche merito e di qualche credito non spetta a noi dirlo.
    Prosit.

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