Insularità, Umberto Cardia, Francesco Cocco e un giovane prof. Che pasticcioni i referendari insulari!

10 Febbraio 2018
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Andrea Pubusa

Insularita’, questa parola, oggi all’onore delle cronache locali, per un referendum strampalato, mi ricorda un bel momento della mia tormentata militanza politica. Seconda meta’ degli ‘80, non ricordo bene se nella Direzione o nel Comitato regionale del PCI, si discuteva dello Statuto speciale. In qualità di presidente della Commissione autonomia del Consiglio regionale intervenni, centrando il mio discorso sull’insularità. Questa era la mia arma vincente nei convegni giuridici nazionali. Già allora iniziava a soffiare il vento dell’antispecialità. Molti, anche di parte democratica, vedevano negli Statuti speciali un anacronistico privilegio. Ma a chi contestava l’autonomia differenziata della Sardegna, opponevo la situazione particolare della nostra regione connessa alla sua insularità. Facevo presenti gli svantaggi di questa condizione, a partire dai costi dei viaggi e dei trasporti alle ricadute economiche sulle imprese e sul mercato. Di solito questa argomentazione produceva i suoi effetti, neutralizzava le critiche. Induceva alla benevola riflessione e alla condivione. Perciò parlai di insularità anche in quella riunione del gruppo dirigente sardo del PCI. Pensavo fosse la chiave di volta anche in quel contesto. Ma lì c’erano, fra gli altri, due compagni del calibro di Umberto Cardia e Francesco Cocco, che presero la parola. Entrambi, col garbo e la signorilità loro propria, mi impartirono una formidabile lezione di storia, di politica, di diritto costituzionale, che ancora ricordo.
Cardia: ricondurre la questione sarda all’insularità è riduttivo. L’insularità evoca cose importanti, basilari, trasporti, collegamenti, costi economici, mercato, ma non è solo questo. E fa un breve, mirabile affresco della storia sarda: giudicati, Carta de Logu, stamenti, sarda rivoluzione, Grande guerra, lingua sarda. Tutto questo, questa storia lunga dei sardi ha creato quell’impasto culturale irripetibile che rende la Sardegna una regione “etno-storica“, un popolo con caratteristiche proprie, che ha la pretesa  di augovernarsi, con l’attribuzione del “massimo dei poteri compatibili con l’unità nazionale”. Qui c’è evidetemente in Cardia un’opzione federalista, già presente in Gramsci e in Lussu, federalista dichiarato anche in Assemblea costituente.
Poi è intervenuto Francesco Cocco, che ha ripreso il ragionamento di Umberto, insistendo sulle lotte sociali in Sardegna, sul filo rosso della battaglia democratica che lega la storia sarda dai moti angioyani, allo sbarco Gallura di Cilloco e Sanna Corda per proclamare la repubblica, alla rivolta di Palabanda, via via, alle lotte operaie delle miniere e delle città, a partire dallo sciopero di Buggerru fino ai moti di Cagliari del 1906.
Di fronte a questa botta di cultura storica e politica, cosa rimaneva della mia insularità così scarna e nuda? Una espressione geografica senza anima, senza identità, senza storia, senza uomini e donne, senza popolo. Una ipotesi di conto ragionieristico fra profitti (pochi) e perdite (moltissime). Niente della riflessione della grande intellettualità sarda da Asproni a Tuveri, da Lussu a Gramsci, da Bellieni a Laconi a Dettori, per citarne solo alcuni.
Questo era il tanto vituperato PCI, dove poteva accadere nelle riunioni degli organi dirigenti, di ricevere lezioni di storia di insuperabile livello, dove un giovane prof. universitario poteva avere indicazioni di ricerca e di approfondimento, che nessun dipartimento avrebbe potuto mai dargli. Magistrali infusioni di cultura, ad opera di intellettuali valorosi che attingevano al pensiero alto dei grandi pensatori sardi e lo calavano, con passione, nella realtà della lotta politica, del movimento di massa.
Quanto bisogno di questo alimento culturale hanno i politici di oggi! A partire dai referendari insulari, che limitano la questione sarda ad una evidenza geografica e, per di più e peggio, la giocano banalmente sull’agone elettorale, propagandisticamente, senza connessione fra mezzi e fini. Senza cultura storica e costituzionale. Un’esigenza di soggettività complessiva, “etno-storica” direbbe Cardia, una giusta pretesa di diritti del popolo sardo, manifestata anche dalle numerose firme raccolte, mal gestite, frustrate e, ahinoi!, impietosamente buttate al vento! Non me ne vogliano quelli del comitato referendario, assomigliano a quei generali che raccolgono una grande armata agitando questioni sentite dalle masse, ma poi la mandano allo sbaraglio per mancanza di adeguate nozioni di tattica e strategia militare. 

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