Sartiglia e dintorni: se prevale la burocrazia, addio tradizioni!

13 Febbraio 2018
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Andrea Pubusa

Chi l’avrebbe detto? I Cavalieri della Sartiglia hanno scioperato, non hanno fatto le pariglie, la parte forse più spettaccolare della manifestazione. E perché? Per l’intrusione eccessiva del Questore, in spazi di decisione che la storia ha sempre riservato gelosamente a su Componidori e agli organizzatori. Numero di controlli antidoping giudicato eccessivo – almeno una sessantina – cui gli atleti sono stati obbligati a sottoporsi prima della sfilata. C’è un precedente nel 1980, ma allora si trattò di vera “lotta salariale”, questione di rimborsi.
Come mai tutto questo?  Dopo i fatti di Piazza S. Carlo a Torino del 4 giugno 2017 con un morto e 1,500 feriti durante la partita di calcio Juve-Real Madrid di Coppa dei Campioni, il ministero ha dato una stretta in materia di raduni pubblici. Ora queste disposizioni spesso si scontrano con quelle consuetudinarie di manifestazioni storiche sparse in tutto il Paese. Anche la nostra Isola è ricca di questi eventi, che anzi vengono meritoriamente ripresi dopo l’abbandono dei decenni scorsi. Queste sagre, corse, cavalcate si svolgono secondo antiche regole autogestite dagli organi preposti, gremi, associazioni di mestiere o religiose, con un rituale rigoroso che si perde nel buio dei secoli. Non solo la Sartiglia, ma anche S’Ardia, per ricordarne alcune. Pongono tutte problemi di sicurezza delle persone dei cavalieri e del benessere animale.
Ora poiché queste manifestazioni si svolgono in luogo pubblico sono soggette alla relativa disciplina statale, anche quando siano, come l’Ardia, manifestazioni di carattere religioso. Pertanto, ai sensi dell’art. 25 TULPS (Testo unico di pubblica sicurezza), c’è l’obbligo di preavviso tre giorni prima. La comunicazione dovrebbe essere fatta dalla Chiesa o dall’Associazione che promuove. Com’è noto, il preavviso non è una richiesta di autorizzazione, ma è solo finalizzata ad informare la Questura, onde consentire alle forze di P.S. di garantire l’ordinato svolgimento della manifestazione a tutela della sicurezza e dell’incolumità pubblica.
Di solito in queste occasioni vengono emesse ordinanze dai Sindaci, in modo da articolare la disciplina statale alla particolarità delle singole manifestazioni onde  consentirne lo svolgimento in sicurezza e senza gli intralci burocratici, che finirebbero per stravolgerne i caratteri tradizionali. Infatti, le nuove prescrizioni ministeriali rischiano di snaturarle.  Il  TULPS dà al Questore  il potere di adottare prescrizioni  a tutela della sicurezza e dell’incolumità pubblica. Tuttavia, queste prescrizioni debbono ragionevolmente essere concordate coi Sindaci, che già intervengono con le loro ordinanze, e sopratutto con gli organismi che da secoli presiedono a queste feste. Insomma, stante il fatto che le manifestazionia affondano le loro radici nella notte dei tempi, non devono essere snaturate con barocchismi e appesantimenti burocratici. In proposito, anche il Trattato europeo dà centralità al rispetto dei “riti religiosi, tradizioni culturali ed eredità regionali”. C’è poi il Decreto Martini. che, all’art. 1, comma 3, fa riferimento alle manifestazioni tradizionali con equidi e fantini, e, a loro tutela, prevede una procedura semplificata articolata in una relazione tecnica dell’Ente o Comitato organizzatore sul rispetto dei requisiti e delle condizioni essenziali di sicurezza per i fantini e gli equidi e in una verifica della Commissione. Questo è un adempimento agevole e anche opportuno a scanso di responsabilità.
Infine, bisogna assicurare anche il benessere animale come prescrive l’art. 13 del Trattato istitutivo della Comunità Europea; esso nel procedimento dovrebbe essere garantito dall’applicazione del Decreto Martini. D’altronde, il menzionato art. 13, pur muovendo dal giusto riconoscimento delle “necessità animali”, quali “esseri senzienti”, prescrive che la tutela debba avvenire “sempre rispettando i provvedimenti amministrativi e legislativi degli Stati Membri relativi in particolare ai riti religiosi, tradizioni culturali ed eredità regionali“. Quest’ultimo inciso assume rilievo centrale nelle nostre feste storiche, nel senso che le misure di protezione devono “rispettare” i riti religiosi e le tradizioni. Il che significa che, nel caso de S’Ardia, la Sartiglia e simili, l’applicazione del decreto Martini, ma in generale, tutti gli interventi delle Autorità amministrative devono considerare come interesse primario, nella loro valutazione discrezionale, il rispetto dei “riti religiosi, tradizioni culturali ed eredità regionali”. Insomma, anche per il Trattato questo è un valore oggetto di tutela primaria. E certamente nel novero dei riti e delle tradizioni culturali della Sardegna La Sartiglia come S’Ardia e alri ancora occupano un posto di assoluta preminenza. I Questori ricordino che non possono essere così burocraticamente zelanti da sopprimere le tradizioni. Ci vuole buon senso, giusta interlocuzione e fiducia nelle storiche associazioni che da secoli organizzano e si occupano dela sicurezza e dell’incolumità dei partecipanti, del pubblico e degli animali. Lo fanno da quando i Questori neanche esistevano e le cose sono andate sempre bene, a memoria d’uomo e anche oltre. Quindi i i Questori devono fare affidamento su di loro. Chi del resto tiene più dei cavalieri ai cavalli? E chi più degli organizzatori bada alla sicurezza della festa? Il legislatore dovrebbe tenerne conto. Non si possono trattare feste centenarie allo stesso modo di estemporanei raduni come quello di Piazza S. Carlo. In questi manca quel rituale fatto di organismi e regole che negli eventi storici ci sono e sono collaudati .dal tempo.  Nel frattempo gli organi amministrativi dovrebbero agire con rispetto e discrezione. Se no, queste belIe tradizioni vanno a farsi benedire. Niente Sartiglia, niente Ardia, niente Palii vari. Si può sull’altare della burocrazia? Chi ha orecchie da intendere…

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