Nella Costituzione c’è la risposta

30 Marzo 2018
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Luisa Sassu 

 

scuolacostituzione

Continuiamo la pubblicazione dei contributi all’incontro “Prima di tutto il lavoro e la scuola” , organizzaeo  il 13 scurso dall’ANPI e dal Costat. Eccu l’introduzione.


Fin dall’avvio della campagna referendaria del 2016, le associazioni che oggi hanno organizzato questa assemblea, hanno promosso, quasi a cadenza settimanale, le letture della Costituzione, intendendo la Costituzione come la via maestra.
I risultati di quegli incontri registrarono una positiva e inaspettata partecipazione e, nonostante i molteplici impegni personali e referendari di molti, quella partecipazione fu costante e metodica.
Perché di partecipazione attiva c’è, evidentemente, un gran bisogno.
Anche per questa ragione, il percorso delle letture è continuato dopo il 4 dicembre 2016 e ad esso abbiamo riconosciuto la funzione di momento aggregante (militante si sarebbe detto un secolo fa) e non soltanto di mero esercizio, pur pregevole e necessario, di approfondimento  culturale e giuridico del testo costituzionale.
In realtà esprimiamo la consapevolezza che la Costituzione proponga un modello attualissimo e necessario di civiltà,  di società e di convivenza civile. Tanto più necessario in questa lunga stagione di crisi di rappresentanza della politica e di smarrimento di un solido ancoraggio valoriale da offrire alle cittadine e ai cittadini del nostro Paese. Ecco, la Costituzione rappresenta, di nuovo e ancora,  un solido ancoraggio: un sistema di diritti, di principi,  di valori che potrebbero riempire di contenuto la piattaforma programmatica delle forze politiche.
Osservando i dati socioeconomici del nostro Paese  (ieri sono stati resi noti quelli di Banca d’Italia) si conferma un preoccupante aumento delle povertà e delle disuguaglianze e si registra un ulteriore incremento del rischio di povertà per un numero crescente di persone.
Questi rilievi “macrosociali” si collegano ai dati sconfortanti sull’occupazione, sull’accesso all’istruzione di ogni ordine  e grado (a cui aggiungerei anche il dato critico del difficile accesso agli asili nido, se si intendono gli asili nido anche come luoghi che, in basi a studi recenti, possono favorire il successo scolastico nelle scuole propriamente dette), sul numero sempre crescente di persone che, per ragioni economiche, rinunciano alle cure mediche e sanitarie. Quest’ultimo dato non rientra nel tema che tratteremo oggi, ma va citato perché segna la recessione del sistema complessivo dei diritti sociali e del principio di universalità della loro fruizione.
Ecco, una possibile risposta, anche programmatica a questo enorme problema di disagio sociale che determina solitudine delle persone e un progressivo e generalizzato impoverimento anche del tessuto sociale complessivamente inteso, è contenuta nel sistema dei diritti sociali e dei principi richiamati nella Costituzione. Aggiungo una indicazione metodologica: sebbene ciascun diritto ascrivibile alla categoria dei diritti sociali sia previsto e circostanziato nella propria specificità, la sua piena espansione si collega all’intero sistema e quindi all’intero articolato dei diritti  e dei principi costituzionali.
Pensiamo al diritto al lavoro e al rilievo che questo diritto assume attraverso il principio contenuto nell’art. 1, che qualifica il lavoro come fondamento della repubblica; pensiamo al modo in cui il diritto allo studio prospetta un percorso di arricchimento culturale e professionale agendo come ascensore sociale  e quindi come strumento di rimozione di quegli ostacoli di tipo economico e sociale che impediscono al principio di uguaglianza sostanziale di esprimere tutti i suoi effetti; e pensiamo a come il lavoro e lo studio si pongono come percorsi fondamentali per l’acquisizione di una cittadinanza attiva e consapevole.
Questo modello, il modello costituzionale, delinea un sistema coerente di diritti e di principi che intrecciano la loro portata normativa e ideale,  e che ha trovato una sua virtuosa realizzazione, almeno fino alla seconda metà degli anni 80 (del secolo scorso), soprattutto nel collegamento tra la politiche del lavoro e quelle dell’istruzione e ad una legislazione ordinaria tesa a favorire un approdo lineare tra il percorso scolastico o universitario e quello lavorativo.
I primi segnali di un cedimento del modello sociale descritto dalla nostra Costituzione (ma presente anche in altre Costituzioni europee) si avvertono nella affermazione di una cultura, poi divenuta egemonica anche fra i partiti progressisti, che affermava l’illusione della “comunità di destino” tra datori di lavoro e lavoratori e quindi ignorava quelle differenze sostanziali che avevano rappresentato il fondamento dei diritti del lavoro, partendo dal presupposto che il potere contrattuale del datore di lavoro è innegabilmente superiore a quello del lavoratore.
La comunità di destino si costruiva interamente sull’obiettivo di un accrescimento della competitività delle imprese attraverso la compressione dei diritti del lavoro e sul presupposto che tale accresciuta competitività avrebbe restituito più occupazione e più benessere per tutti. Il mito della flessibilità che mascherava precarietà e il primato dell’economia sul diritto: i risultati deludenti e socialmente esplosivi di questa cultura e di queste politiche sono amaramente sintetizzabili nel titolo di un saggio di Marco Revelli: “la lotta di classe esiste, e l’hanno vinta i ricchi”.
Alla aziendalizzazione dei diritti del lavoro ha poi fatto seguito una progressiva aziendalizzazione della scuola e di tutto il sistema dell’istruzione, riscontrabile in modo evidente nella sequenza quasi compulsiva di “riforme” che, in Italia, lo hanno investito fin dagli anni 90.
Tale aziendalizzazione rappresenta il chiaro segnale di un superamento del modello costituzionale e della sua vocazione verso l’uguaglianza sostanziale. Non sfugge ad una analisi attenta il fatto che collegare in modo indissolubile la fruizione del diritto allo studio (e delle opportunità che ne derivano) ad una visione aziendalistica significa negarne la natura universale e, specularmente, ignorare che le differenze economiche e sociali incidono sull’accesso alla scuola,  sul rendimento e sul possibile abbandono scolastico e, infine, sul futuro lavorativo delle ragazze e dei ragazzi di questo Paese sempre più povero e disuguale.
Anche qui, come nella sfera dei diritti del lavoro,  si è realizzata una sostanziale recessione dei principi di uguaglianza, solidarietà e cittadinanza.
Perfino, il linguaggio delle numerose riforme della scuola si omologa a quello aziendale ed è davvero inquietante che, sulla base di precise indicazioni ministeriali, le scuole si “mettano sul mercato” utilizzando come indicatori di competitività la scarsa presenza nella popolazione scolastica di alunni disabili, stranieri e poveri: una notizia diffusa nelle scorse settimane alla quale sono seguite le consuete polemiche e una gamma di giustificazioni burocratiche che dimostrano soltanto la definitiva affermazione di un modello classista totalmente estraneo alla nostra Costituzione.
Ecco, con questa introduzione ho voluto consegnare alla nostra assemblea una trama per sviluppare liberamente e, spero,  in modo propositivo, il tema del nostro convegno.
Buon lavoro
  
 

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