Karl Popper, liberale o socialista?

10 Aprile 2018
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Gianfranco Sabattini

  

  Dario Antiseri, uno dei maggiori filosofi italiani, ha pubblicato un libro stimolante e coinvolgente, dedicato a un tema a lui caro, ovvero al pensiero politico di Karl Popper, il grande filosofo ed epistemologo austriaco, riproponendo il vecchio dilemma, se Popper possa essere stato liberale oppure socialista.
Nel libro, intitolato “Karl Popper. La ragione nella politica”, Antiseri traccia un quadro sintetico dell’evoluzione del pensiero politico popperiano, dove il filo conduttore della narrazione sembra essere quello di dimostrare come il filosofo austriaco sia stato contrario all’ideologia socialista e ai partiti che ad essa si ispiravano, perché ritenuti utopistici e illiberali. Popper aveva abbracciato in età giovanile il marxismo; sono diventato marxista – egli racconta – “nel 1915, all’età di 13 anni, e antimarxista nel 1919, quando ne avevo 17. Ma rimasi socialista sino all’età di 30 anni, sebbene nutrissi dubbi crescenti sulla possibilità di vedere associati libertà e socialismo”, e aggiunge che se “ci fosse stato qualcosa come un socialismo combinato con la libertà individuale, sarei ancora oggi un socialista. [ ] Mi ci volle un po’ di tempo per riconoscere che ciò non era altro che un sogno meraviglioso; che la libertà è più importante dell’uguaglianza; che il tentativo di attuare l’uguaglianza è di pregiudizio alla libertà; e che se va perduta la libertà, tra non liberi, non c’è nemmeno uguaglianza”, anche se “la libertà non potrà essere conservata senza migliorare la giustizia distributiva”.
E’ noto come la prevenzione di Popper nei confronti del socialismo genericamente inteso fosse determinata da quella particolare forma di socialismo che si stava affermando nella Russia post-rivoluzionaria con la costruzione del “socialismo reale”; criticandone le modalità organizzative, il filosofo austriaco ha scritto una della opere che poi lo ha reso famoso, ovvero “La società aperta e i suoi nemici”; l’opera è stata portata a termine da Popper nella condizione di rifugiato politico in Nuova Zelanda, dalla quale egli rientrerà dopo la fine della guerra, per l’interessamento del suo amico Friedrich August von Hayek, che lo ha fatto chiamare a insegnare alla London School of Economics.
In “La società aperta”, Popper sostiene che i governanti di ogni società autenticamente liberale, pur non essendo possibile il raggiungimento della perfezione, devono condurre la loro azione in modo razionale, mostrandosi disponibili ad essere criticati e desiderosi essi stessi di criticarsi. L’assunzione di questo atteggiamento deve essere la conseguenza della consapevolezza, da parte di chi governa la società, certo dell’imperfezione e della flessibilità della conoscenza umana e del fatto che, per la soluzione di problemi sociali, occorre il confronto e la discussione pubblica; ciò perché, senza confronto e discussione, non ci può essere democrazia, la quale può funzionare solo quando nessuno, all’interno dalla società, si arroga la pretesa d’essere portatore di verità assolute sull’uomo, sulla storia, sulla politica.
Per Popper, quindi, non esiste un metodo razionale per conseguire l’obiettivo della realizzazione della società perfetta; ciò però non esclude che sia possibile convenire su quali siano i mali più intollerabili della società e sulle riforme sociali da intraprendere con la maggiore urgenza per la loro rimozione. Di questi mali – afferma Popper – ne hanno esperienza le persone immiserite e umiliate dalla povertà, dalla disoccupazione, dalle persecuzioni, dalle guerre e dalle malattie. Di qui, in una società libera e democratica, la necessità che tutti i corpi intermedi, a iniziare dai partiti, si impegnino, adottando un’”ingegneria sociale gradualistica” e non utopistica, a rimuovere quei mali.
Da queste affermazioni, nasce, secondo Antiseri, il dilemma ”che ha alimentato ed alimenta un interrogativo ancora vivo, se Popper sia stato un liberale o un socialista”; un interrogativo, questo, ricorda Antiseri, che Rudolf Carnap, il famoso logico tedesco naturalizzato americano ed influente esponente del neopositivismo, si era posto dopo aver letto “La società aperta e i suoi nemici”.
Carnap, infatti, dopo aver letto “La società aperta” e numerosi articoli di Popper, chiedeva all’autore in che misura egli si considerasse socialista, ponendogli contemporaneamente la domanda se fosse d’accordo con lui sul fatto che, per la soluzione dei mali che affiggevano le società economicamente avanzate, fosse necessario trasferire la maggior parte dei mezzi di produzione dalla sfera privata a quella pubblica. Alle domande di Carnap, Popper ha risposto che, in ambito politico, i problemi devono essere risolti, non in termini utopistici, ma su basi ragionevoli, precisando che il limite del socialismo è l’elemento utopistico che lo spinge in “una direzione totalitaria”. Popper ha anche aggiunto che, al fine di evitare tale pericolo, la libertà deve essere la condizione dalla quale non è possibile prescindere nella ricerca, attraverso il metodo di “ingegneria sociale gradualistica, delle soluzioni dei “mali”, essendo egli convinto che la libertà “non possa essere conservata senza migliorare la giustizia sociale” e che tale convincimento potrebbe essere condiviso dai liberali e dai socialisti. A parere di Popper, era questa la via per introdurre ragione e ragionevolezza nella teoria e nella pratica dell’azione politica contro tutte le pretese dogmatiche.
Cosa si può fondatamente evincere dalla risposta di Popper a Carnap? E’ stato Popper un socialista, oppure è stato un liberale? Una risposta diretta Popper non l’ha data, ma neppure è neppure possibile ricavarla dalla narrazione che Antiseri effettua della complessa vicenda relativa all’evoluzione del pensiero politico popperiano. Si può, però, ricavare una risposta plausibile, se si considera l’evoluzione dell’ideologia socialista in una prospettiva storica.
Ciò che nel succedersi delle riflessioni di Antiseri, riguardo al pensiero politico di Popper, lascia perplessi, è che egli (Antiseri) abbia trascurato di inquadrare il pensiero politico popperiano nella prospettiva di una sia pure breve evoluzione dell’ideologia socialista, mancando così di considerare che non tutta tale ideologia si è conservata utopistica e illiberale. La dimenticanza appare così come un artifizio narrativo, utile solo a ricondurre il pensiero di Popper, in modo non del tutto velato, all’ideologia neoliberista della Mont Pelerin Society, fondata dall’economista austriaco Friedrich August von Hayek, l’amico che, dopo la guerra, si era adoperato per fare rientrare Popper dalla Nuova Zelanda, assicurandogli un incarico di insegnamento alla London School of Economics.
Il socialismo è un’ideologia che sostiene la necessità di “trasformare” la società in direzione dell’uguaglianza di tutti i suoi membri sul piano politico, sociale ed economico. Tradizionalmente, tutti i movimenti d’ispirazione socialista hanno teso a conseguire i propri obiettivi attraverso il superamento delle classi sociali e la soppressione, totale o parziale, della proprietà privata dei mezzi di produzione; ciò fino al 1848, perché in quell’anno, nel “Manifesto del Partito Comunista”, gli autori Marx ed Engels hanno introdotto la distinzione tra “socialismo utopistico” e “socialismo scientifico”, basando quest’ultimo su una presunta analisi più accurata della realtà sociale, ed evidenziando così polemicamente le differenze dal primo.
Tuttavia, il termine comunismo ha continuato ad essere usato come un sinonimo di socialismo per tutto l’Ottocento e per una prima parte del Novecento; la distinzione tra i due termini è avvenuta, per iniziativa di Lenin dopo la Rivoluzione bolscevica del 1917 e la costituzione della Terza internazionale nel 1919. La parte rivoluzionaria del movimento socialista si è distaccata, organizzandosi nei partiti comunisti, per rimarcare la propria identificazione nel comunismo di Marx ed Engels e nell’ideale prosecuzione dell’esperienza della Comune di Parigi del 1871. Al contrario, la parte del movimento socialista, orientato in senso riformista e inserita nei sistemi democratico-borghesi dei diversi Paesi, ha preso progressivamente le distanze dal socialismo marxista e dalle dogmatiche pretese rivoluzionarie, recuperando in parte le istanze liberali dell’utopismo socialista pre-marxista, dando così vita al socialismo democratico riformista, ovvero alla socialdemocrazia.
In una prospettiva di analisi storica, il socialismo riformista quindi, mentre considera l’età feudale come caratterizzata dall’egemonia dell’aristocrazia e del clero, e il periodo successivo alle Rivoluzioni francese ed americana egemonizzato dall’ascesa al potere politico sociale ed economico della borghesia (e quindi del liberalismo e del capitalismo), il socialismo democratico e riformista, invece, individua nello stadio successivo, caratterizzato dal prevalere delle classi popolari, che, grazie alla loro forza politica, hanno potuto perseguire l’obiettivo della realizzazione di una società giusta ed “equa” sul piano distributivo, come poi avverrà, dopo il 1945, con la realizzazione della democratizzazione del sistema sociale, attraverso la costruzione dello Stato sociale di diritto.
In questo modo, il socialismo riformista e democratico ha potuto porsi tra il socialismo marxista e il riformismo liberale “laissezfairista”; esso, infatti, pur inquadrando in un primo tempo la propria azione in una prospettiva critica nei confronti del capitalismo, la riflessione politica, sociale ed economica successiva lo ha reso portatore di un “compromesso” tra il riformismo liberale e quello del socialismo riformista e democratico; compromesso, questo, che, per merito del contributo di John Maynard Keynes, prenderà corpo, sul piano teorico, durante gli anni tra i due conflitti mondiali, e, sul piano pratico, attraverso la messa a punto di in un modello democratico e riformista di governo del sistema sociale, alternativo ai due “modelli illiberali” esistenti nel periodo pre-bellico, quali quello sovietico e quello fascista.
Dopo la caduta delle dittature, il modello democratico e riformista è stato edificato con successo in gran parte dei Paesi europei, ma dopo la crisi dell’economia mondiale iniziata nel 2007/2008, notevoli forze politiche e sociali, ispirate all’ideologia neoliberista, si sono opposte alla sua conservazione; un’ideologia nata per iniziativa di un’associazione di economisti, di chiara fama mondiale, che da allora, sotto la guida di Heyek, l’amico di Popper, ha prodotto una riflessione concretizzatasi in opere sul piano politico, sociale ed economico che hanno influito sull’attività politica non solo dei Paesi europei, ma addirittura di tutto il mondo.
Nel 1947, Hayek, finanziato per iniziativa di un uomo d’affari svizzero, ha riunito in associazione un insieme di intellettuali interessati alla ridefinizione del liberalismo, convocando in un hotel situato in una amena località svizzera, dominata dal Mont Pelerin, che darà il nome all’associazione (la Mont Pelerin Society, appunto. Alla prima riunione hanno partecipato trentanove studiosi provenienti da dieci Paesi a regime democratico. In precedenza, Hayek aveva invitato Popper a diventare membro dell’associazione, ma il filosofo austriaco, pur accettando l’invito, non ha mancato di osservare ad Hayek che tutti gli studiosi invitati erano notoriamente liberali, suggerendo perciò che sarebbe stato necessario assicurare sin dall’inizio “la partecipazione di persone note per essere socialiste o vicine al socialismo”, motivando il suo suggerimento con l’osservazione che, in quel momento, nell’Europa centrale, gli unici democratici a risultare influenti erano i socialdemocratici e i democratici cristiani.
Tra i nomi suggeriti da Popper vi erano quelli di Bertrand Russel, George Orwell, Barbara Wootton e Henry Douglas Dickinson e di altri ancora; la loro presenza, a suo parere, avrebbe evitato di allargare il fossato tra coloro che amano la libertà e coloro che perseguono l’obiettivo di realizzare una maggiore giustizia sociale. Forte dei suoi convincimenti, di fronte alla crescente successo propagandistico che riscuoteva il socialismo reale dell’Unione Sovietica e – afferma Antiseri – “alla turba di intellettuali occidentali convinti apostoli dell’ideologia (o, meglio, mitologia) marxista, Popper si fa convinto sostenitori di un’alleanza con i socialisti non intrappolati nella gabbia del comunismo”. Dunque, in conclusione, Popper era un liberale o un socialista? La risposta non può essere che una: egli era un liberal-socialista, ovvero un socialista riformista democratico, il cui pensiero risultava coerentemente inquadrabile nel modello di governo della società formulato da Keynes e attuato dopo la fine del conflitto.
L’economista di Cambridge, infatti, ha contribuito a realizzare, soprattutto all’interno dei Paesi europei occidentali, retti da governi democratici, la prassi di un’attività politica fondata sull’equilibrio tra “libertà, efficiente uso delle risorse ed equità distributiva”, implicante per l’attività politica la funzione di riformare tale equilibrio, costantemente e su basi democratiche, per adattarlo alla dinamica delle modalità di funzionamento del sistema produttivo e a quella del sistema valoriale della società, complessivamente considerata.
Il modello di governo della società di Keynes richiama per intero il senso del bene pubblico che stava così a cuore a Popper, assumendo che le istituzioni pubbliche, oltre a regolare il mercato, devono contribuire anche a migliorarne il funzionamento. In questo contesto, la razionalità cui egli fa di continuo riferimento non è altro che la ragione della quale parla Popper a proposito dell’azione politica volta a risolvere i problemi sociali; ragione, che diventa ragionevolezza quando devono essere affrontate situazioni in cui comportamenti apparentemente razionali dal punto di vista politico, sociale ed economico, possono originare esisti negativi. Popper come Keynes, quindi, sono stati degli autentici socialisti, liberali, riformisti e democratici, il cui pensiero dopo gli anni Ottanta del secolo scorso, è stato totalmente “postergato”, in quanto ritenuto estraneo alle strategie politiche, sociali ed economiche degli affiliati alla Mont Pelerin Society di Hayek.

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