Il mio ‘68 a Cagliari

3 Maggio 2018
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Andrea Pubusa

Del ‘68 parlano tutti, molti a sproposito. Ho assistito ad una trasmissione sul quel fatidico anno con persone che, in ragione della loro età, al più possono riferire de relata, ciò che loro è stato riferito. Io c’ero e mi riconosco poco in quelle ricostruzioni, anche perché molti confondono gli anni ‘70 col ‘68 ed altri lo anticipano al ‘67 o anche prima. Certo, nella storia tutto è legato, il  ‘68, però, è stato un anno speciale, che è durato solo pochi mesi, lo spazio di una bella ed entusiasmante primavera, poi è stato altro. E anche prima è stato altro.
Nel 1967, a Cagliari, ci furono come altrove i primi “moti”, ma erano ancora intrisi del vecchio in fase di superamento. Cosa c’era prima nelle università? C’era la goliardia e, a livello politico, una proiezione di partiti o degli schieramenti, che formavano anche un parlamentino. C’era l’Ugi, che raccoglieva la sinistra (PCI-PSI), l’Agi, invece riuniva i cattolici e così via. L’Unuri era il parlamentino. In queste organizzazioni si ripeteva il rito politico dei “grandi” e ci si preparava ai cimenti nei partiti e nella aule parlamentari dopo qualche anno. Occhetto, Craxi e tutti gli altri son passati di lì. Bene. Nel 1967 queste strutture esistevano ancora, ma erano ormai prive di effettività perché la spinta dal basso tendeva a spazzarle via. S’imponeva l’idea e la prassi dell’assemblea contro le deleghe, partecipazione diretta contro rappresentanza. Tuttavia, nelle assemblee rimaneva ancora memoria delle vecchie appartenenze, così in viale Fra Ignazio Gianfranco Macciotta, Luigi Cogodi, Jacopo Onnis, Pietro Maurandi, Giuliano Murgia. Tore Pau ed altri (fra i quali chi scrive) animavano le assemblee infuocate, ma agivano ancora come esponenti dell’Ugi. Ci fu anche una breve occupazione di leggi ed economia, ma più che altro fu un asserragliamento all’interno della facoltà con chiusura dell’ingresso con un robusto catenaccio per tener fuori gli studenti di destra, liberali e neofascisti, tant’è che venne il Rettore Peretti a farci aprire e toccò a me schiuderigli il cancello e prendermi un cazziettone. Insomma, allora, il movimento era ancora debole e minoritario. Gli studenti moderati, almeno nel polo giuridico-economico, erano ancora prevalenti.
Il ‘68 invece fu come un fiume in piena. Le vecchie appartenenze non contavano più, al centro c’era il movimento e l’assemblea. Come per magia, tutti volevano partecipare, ognuno voleva dire la sua, l’attività era continua. Ci fu l’occupazione, l’assemblea permanente, che poi si articolò in gruppi di studio. Gran parte degli studenti ne faceva parte. Non pochi studenti disimpegnati o moderati furono conquistati dal movimento e divennero attivi, cambiando per sempre anche il loro modo di pensare. E’ inspiegabile la molla interna che spingeva a intervenire a volerci essere, a essere protagonisti. Si aveva la sensazione di partecipare ad un avvenimento storico, come in realtà fu, si era convinti di cambiare radicalmente il mondo. Era sotto attacco, sottoposta a critica puntigliosa la didattica, allora molto dogmatica. Si contestava lo studio degli istituti e delle discipline giuridiche, senza indagarne la valenza generale. Circolavano così testi di grandi intellettuali globali, come Berle e Means, il cui volume su The modern corporation and private property (1932, trad. it. 1966), ci aprì gli occhi sulle banalità che ci venivano insegnate sulle società per azioni e sui poteri di comando al loro interno. Girava ovviamente Herbert Marcuse, uno degli scrittori più letti e  citati per il suo pensiero anti-autoritario, che offriva strumenti di riflessione contro la struttura fortemente gerarchizzata delle università e della società. Allora gli atenei e le facoltà erano rette esclusivamente dai professori ordinari, con eslusione delle altre coomponenti, studenti compresi, molto più numerose. Il rifiuto di Marcuse di ogni forma di repressione, il suo secco no alla civiltà tecnologica (in entrambe le declinazioni liberal-capitalistica e comunista-sovietica), lo resero particolarmente congeniale a quella ventata di contestazione verso ogni forma di repressione e autoritarismo. Egli, inoltre, di fronte all’apparente appanamento delle previsioni di Marx, con l’attenuarsi dello scontro di classe in occidente, intuì che la lotta si spostava nel terzo mondo contro l’imperialismo occidentale, con una qualche complicità dei ceti subalterni del “primo mondo” che si accontentava così delle briciole del banchetto capitalista. Erano i tempi del Vietnam, che diede una coscienza anticapitalistica a milioni di giovani e non.
Marcuse in quel ‘68 fu  molto importante per la sua “liberazione dell’eros”, inteso non solo come liberazione sessuale, ma come liberazione delle energie creative dell’uomo dal condizionamento della società repressiva. Affascinava l’idea di una società aperta, fatta di uomini liberi e solidali tra loro. Eros contro dominio della società tecnologica;  “società come opera d’arte”, ovvero una società più autentica, veramente libera, dominata dalla fantasia e dall’arte come dimensione fondamentale di ogni forma di convivenza.
Naturalmente circolava il Manifesto di Marx ed Engels con quella sua potente evocazione della globalizzazione e, nei più colti, affiorava il pensiero liberatore di Rosa Luxemburg e antistalinista di Gramsci.
C’erano poi i documenti che venivano da Torino e da Milano, le parole d’ordine del maggio francese e tedesco, che erano una vulgata e la traduzione dentro le facoltà del pensiero antiautoiritario e libertario.
A Cagliari le occupazioni sopratutto nelle facoltà letterarie ebbero molti simpatizzanti anche fra i prof, che spesso parteciparono alle assemblee. In leggi non ci fu questa commistione, ma giovani prof. come Umberto Allegretti o Franco Ledda furono colpiti da questa ventata partecipativa e anche qualche prof più stagionato non vide di traverso quel lavorio dei gruppi di studio, che formulava materiali fortemente critici, ma intrisi di vera ricerca e di cultura nuova e antidogmatica. Fra l’altro, nelle nostre facoltà i dirigenti del movimento erano anche gli studenti più bravi, verso i quali anche i prof avevano molto rispetto e simpatia.
Ricordo un invito a prendere un thè al Mediterraneo di un gruppo di giovani prof. a Luigi Cogodi, Jacopo Onnis, Giuliano Murgia, me e altri per chiacchierare delle nostre attività all’interno dell’assemblea permanente. Ci sembrò inizialmente una trappola, e andammo guardinghi, con qualche preoccupazione per quel thè e pasticcini (cosa ne avrebbero pensato gli altri studenti?). Invece scoprimmo che quei docenti erano curiosi di sapere delle nostre elaborazioni e, in fondo, non erano estranei alla nostra battaglia antidogamtica e antiautoritaria, che anch’essi, formatisi dopo il fascismo, condividevano, animati com’erano da viva adesione ai principi e valori della nostra Costituzione.
Il ‘68 fu un momento, magico, alto ed entusiamante, di crescita democratica, di rivoluzione culturale. Il ‘69 già era diverso. Iniziavano a comparire i gruppi, legati a leaders nazionali. Non si tornava al 1967 perché le nuove formazioni in fieri erano severamente critiche verso il PSI e il PCI, non c’erano né s’invocavano organismi rappresentativi, ma si avviava un periodo di forti divisioni, di ritorno a forme grottesche di dogmatismo (es. i gruppi marxisti-leninisti), emersero gruppuscoli settari, intolleranti e talora violenti (il 18 politico e simili castronerie vennero dopo il ‘68). Poi, negli anni ‘70, mentre alcuni gruppi tendevano a trasformarsi in partitini, alcune frange degradarono verso la formazione di nuclei armati. Ma questo non fu il ‘68, fu il suo esatto opposto.

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