Facce da cellofanare per l’arredo urbano

31 Agosto 2018
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3 Marzo 2009
Francesco Cocco

 

Sono passate ormai due settimane dalla consultazione elettorale per il rinnovo del consiglio regionale e gli spazi predisposti dall’ amministrazione comunale di Cagliari per la propaganda elettorale sono ancora lì, con il loro carico di manifesti che hanno resistito al vento ed alla pioggia battente.
Non c’è alcuna urgenza per toglierli. In questo caso non giudicheremo il ritardo una delle solite manifestazioni della sciatteria della pubblica amministrazione. Anzi vogliamo consideralo in positivo, perché è di per sé un richiamo alla riflessione su come la propaganda politica, anche in questo, è andata profondamente modificandosi.
Sino a qualche decennio fa a nessun candidato sarebbe venuto in mente (specie a sinistra, ma non solo) di far affiggere la propria gigantografia in uno spazio elettorale. Non era solo un fatto di pudore, era soprattutto la sostanza della competizione politica che faceva prevalere i programmi sulle ambizioni dei candidati. Non che le persone candidate non contassero, anzi più di oggi dovevano avere “arte e parte” ed avevano il ruolo di garantire che il partito ed il relativo programma (il vero soggetto della competizione) erano in buone mani.
Questo mutamento di segno (il prevalere non già della persona ma del personalismo sul programma) diventa visibile negli spazi per le affissioni elettorali: non più simboli di partito, slogan o sintetici programmi. Oggi i manifesti sono quasi tutti gigantografie con visi sorridenti. Assistiamo persino al miracolo della fotografia e delle tecniche di stampa a colori che riescono a trasformare facce non sempre simpatiche in volti ammiccanti.
Allora mi sento di suggerire (ma è proposta da non prendere sul serio) che quelle gigantografie restino a lungo affisse (magari cellofanate per proteggerle dalle intemperie) a ricordarci che la lotta politica sta perdendo progressivamente la sua natura di battaglia di idee e di programmi, per farsi lotta di piccole ambizioni che rifiutano - secondo l’insegnamento gramsciano ricordatoci di recente in un suo acuto articolo da Gianluca Scroccu - le grandi ambizioni collegate alla crescita collettiva degli uomini. Quelle gigantografie con volti ammiccanti in fondo non sono più degradanti per l’arredo urbano dei graffiti scomposti ed imbrattanti che infestano la città, e soprattutto potremo accettarle pensando al monito che da esse ci può venire.

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