Dea moneta, chi è costei?

18 Agosto 2018
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Gianfranco Sabattini

Di solito, nei manuali di economia, della moneta viene detto che essa è “intermediario degli scambi”, “riserva di valore”, nonché “misura del valore dei beni economici scambiati”, e che senza di essa non possono funzionare, né il mercato, né l’intero sistema economico. Raramente i manuali narrano dell’origine della moneta, limitandosi a sottolineare che agli albori del vivere insieme sono stati utilizzati come moneta diversi beni, tra i quali, solo attraverso l’esperienza, si è giunti a scegliere quelli che, in virtù delle loro caratteristiche merceologiche e strutturali, potevano meglio assolvere alla triplice funzione indicata. Ancora meno, i manuali riportano qualche considerazione sull’origine del nome, tacendo sulla sua natura sociale.
Riguardo all’origine del sostantivo moneta si fa spesso riferimento alla dea Giunone, sorella e moglie di Zeus, chiamata anche “Dea Moneta”, ovvero “Dea consigliera” o “Dea ammonitrice”. Il sostantivo ha la stessa radice del latino “monitor”, utilizzato, tra i molti suoi impieghi linguistici, per denominare uno dei più prestigiosi giornali economici del mondo, “The Monitor”, il cui colore salmone è diventato un parametro esteriore che connota tutti i “fogli” salmon colored” che, in tutte le lingue, “dispensano consigli” utili agli operatori economici; ma, identico è anche il suo utilizzo per denominare il piccolo schermo del televisore, oppure del computer: nel primo caso, nel senso di fornitore di informazioni riguardo al modo migliore di apprendere i messaggi trasmessi per immagini via cablo (o via etere); nel secondo caso, nel senso di fornitore di consigli sul modo migliore di utilizzare gli archivi informatici, al cui interno siano state “stoccate” le notizie raccolte su singoli aspetti del mondo reale.
Che tipo di collegamento esiste tra il sostantivo moneta, inteso come mezzo di pagamento, l’aggettivo moneta riferito alla Dea Giunone, il nome “The Monitor” del giornale economico di lingua inglese ed il sostantivo monitor dello schermo televisivo e del computer? Si tratta di un collegamento stretto, in quanto i sostantivi, l’aggettivo ed il nome indicati hanno in comune il verbo latino “monère”, che significa appunto consigliare o suggerire. La moneta, perciò, prosaicamente identificabile con tutto ciò che gli operatori economici possono utilizzare per svolgere funzioni strumentali rispetto al perseguimento dei loro obiettivi, è riconducibile alla stessa radice, perché, come la Dea moneta, come The Monitor, e come il monitor del televisore e del computer, esprime la proprietà d’essere “dispensatrice” di consigli riguardanti il modo in cui un operatore può assumere utili decisioni rispetto agli obiettivi perseguiti.
In che modo la moneta assolve la funzione di dispensatrice di consigli per l’assunzione di utili decisioni nei confronti degli operatori economici? Per rispondere all’interrogativo, occorre collocarsi all’interno dell’istituzione economica mercato, dove la moneta svolge per gli agenti economici un ruolo ed una funzione comuni a quelli della Dea moneta, del “The Monitor” e del monitor dello schermo televisivo e del computer. Così come il computer, attraverso il proprio monitor (come la Dea Giunone o il giornale “The Monitor”, ecc.), consente l’”utilizzazione” degli archivi conservati nella “sua” memoria artificiale, fornendo utili consigli strumentali al conseguimento di un qualunque scopo all’agente che di esso si avvale, nello stesso modo il mercato, quando sia organizzato secondo i caratteri propri della competitività, raccoglie ed organizza gli archivi informativi su tutti gli aspetti che concorrono a definirlo e, attraverso opportuni indici chiamati prezzi (espressi in moneta), traduce sinteticamente le informazioni su tutti i beni e servizi potenzialmente scambiabili, dispensandole agli operatori.
Gli indici sono espressi in termini di ciò che gli operatori decidono di adottare come mezzo di pagamento, per cui i prezzi espressi in moneta sono il tramite mediante il quale sono offerti i consigli somministrati dal mercato agli operatori, al fine di orientare la loro azione verso risultati giudicati ottimali. Gli operatori, in tale modo, utilizzano il mercato nello stesso modo in cui possono utilizzare un qualsiasi strumento di monitoraggio, per cui i prezzi espressi in moneta, “consigliano” un operatore, prima che egli decida cosa comprare o vendere e a che prezzo comprare o vendere, scorrendo la “videata” che il mercato gli fornisce riguardo alle reali condizioni di domanda e di offerta dei beni e dei servizi oggetto di scambio. Tutto qui? C’è dell’altro.
La natura sociale della moneta (o denaro, come anche viene chiamata), consente, in termini più generali di quanto sia possibile sulla base delle sole considerazioni economiche, di capire quale sia la scaturigine del valore del mezzo di pagamento normalmente utilizzato da tutti. Su questo punto gli economisti non vanno al di là delle spiegazione derivata dalla considerazione della moneta come un qualsiasi altro bene economico, ovvero del fatto che essa è un bene utile e disponibile in quantità limitate. Troppo poco, se si considera che la moneta, o denaro che sia, ha anche, oltre che una natura economica, una natura sociale, che è poi, quest’ultima, il fondamento perché si possa capire come essa acquisisca e conservi valore. Su questo punto il discorso economico deve fare spazio ad altre considerazioni di natura extraeconomica.
Al riguardo, sovviene un recente libro: “Il denaro e i suoi inganni”, includente due saggi, rispettivamente di John Searle e Maurizio Ferraris. In particolare, il saggio del primo, filosofo all’Università californiana di Berkeley, spiega la scaturigine del valore della moneta attraverso l’uso del concetto di “intenzionalità”, inteso nel senso di “intento” col quale all’interno di un contesto sociale un determinato significato, stabilito su basi convenzionali, è collegato ad un oggetto. Quali sono le ragioni – si chiede Searle – per cui un pezzo di carta, considerato moneta, è dotato di valore? Secondo il filosofo, ciò avviene perché il “pezzo di carta” assolve ad una “funzione di status”, intesa come capacità degli esseri umani di creare, su basi convenzionali “una realtà fatta di relazioni di potere”. Queste relazioni, si stabiliscono sulla base dell’assegnazione di un certo status alla materia di cui è fatta la moneta, attraverso cui viene assegnata a quella materia una “funzione”, che la rende idonea a svolgere un ruolo sociale utile, solo “in virtù dell’accettazione collettiva di quello status”.
Per giustificare la natura ontologica della funzione di status della moneta occorre, afferma Searle, innanzitutto una volontà collettiva; in secondo luogo, la capacità di assegnare a un oggetto una funzione, accettata, non in virtù della sua struttura fisica, ma solo perché esiste il riconoscimento da parte della comunità per cui l’oggetto prescelto come moneta possieda un dato status e, per via di questo, possieda una funzione “che può essere creata grazie all’accettazione collettiva” del fatto che l’oggetto prescelto ha un dato status.
La ragione per cui si creano funzioni di status è dovuta alla circostanza che, attraverso esse, è possibile dotare i componenti di una comunità di un potere, che non implica relazioni di dominio tra i componenti del sistema sociale, ma solo “relazioni deontiche”; la peculiarità di queste ultime consiste nel fatto che, per chiunque le accetti, esse “producono delle ragioni per agire che sono indipendenti dalle inclinazioni o dai desideri dell’agente”. La creazione delle funzioni di status (che assegnano potere agli associati) presuppone l’esistenza di istituzioni fondate su “regole costitutive” universalmente accettate dai componenti la comunità. L’insieme delle funzioni di status così create consente di costituire degli “insiemi di poteri deontici”, che forniscono le condizioni e le ragioni per l’azione dei componenti il sistema sociale. Ma, per esistere, l’insieme dei poteri deontici abbisogna di una rappresentazione, resa possibile dal linguaggio, che esprime la pre-condizione dell’esistenza dell’insieme delle funzioni di status istituzionalizzate.
Tenuto conto di tutte queste premesse, Searl definsce cosa sia la moneta e perché essa acquisisce e conserva valore in seno al sistema sociale. La moneta, per il filosofo, è quindi una funzione di status, il cui valore nasce col potere deontico che essa assegna a chi ne è il portatore; in considerazione di ciò, Searl afferma che il soggetto “che non ha denaro non ha potere”, mentre quello “che ha denaro ha potere”. In che senso?
Se si possiede moneta, si possiede potere d’acquisto da esercitare attraverso il mercato; questo potere è il carattere essenziale della moneta, essendo gli altri caratteri (fondo di riserva e misura del valore) corollari del primo. Il potere d’acquisto espresso dalla moneta ha un fondamento sociale, perché può essere esercitato solo tra persone, tra istituzioni o tra persone e istituzioni; un soggetto isolato, al pari, ad esempio, di Robinson Crusoe, non avrebbe alcuna ragione e possibilità di usare la moneta, in quanto non potrebbe essere parte contraente in una relazione di scambio con altri soggetti. Se nel suo fondamento sociale risiede la fonte del valore assegnato alla moneta, la sua esistenza però richiede che sia socialmente accettata l’istituzione della proprietà; questa istituzione è resa necessaria dal fatto che la moneta, per svolgere la funzione attribuitale dal sistema sociale, deve essere posseduta, ovvero deve essere moneta di qualcuno, “anche quando quel ‘qualcuno’ – afferma Searl – è un’entità astratta come una società per azioni o un governo”.
La funzione di status della moneta ha conosciuto nel tempo un’evoluzione, espressa nei tre passaggi che hanno caratterizzato la transizione dall’organizzazione economica delle società, fondata sul baratto, a quella moderna, fondata sullo scambio di beni mediato dalla moneta. I tre passaggi, secondo Searl, sono rappresentati, rispettivamente, dalla “moneta merce”, dalla “moneta fondata su un contratto” e dalla “moneta-fiat”; ognuna di queste configurazioni di moneta rappresenta stadi successivi delle modalità di circolazione della moneta.
Il primo stadio è stato caratterizzato dalla circolazione della “moneta-merce”; in questo caso, alcuni beni (conchiglie, sale, oro, ecc.) erano usati come moneta, alimentando la circolazione di un’organizzazione economica della società fondata sul baratto.
Il secondo stadio è stato caratterizzato dalla circolazione della “moneta fondata su un contratto” o su un accordo, in virtù del quale gli operatori economici agivano accettando la convenzione che la moneta potesse essere rappresentata da certificati rilasciati da istituzioni (le banche), in sostituzione del bene o dei beni prescelti come moneta (oro o altri metalli preziosi), costituiti in depositi presso le banche. Questo stadio era però caratterizzato dal pericolo che le banche, come poi è realmente accaduto, potessero emettere certificati eccedenti il valore dei beni depositati presso di loro a titolo di garanzia.
Questo pericolo è stato successivamente rimosso, con l’adozione, nel terzo stadio, della “moneta-fiat” o “moneta senza fondamento o garanzia”: una “moneta a corso legale” non coperta da riserve di altri beni (oro o di altri metalli preziosi in genere) e, quindi, priva di valore intrinseco. La moneta legale (tipicamente sotto forma di banconote) è stata accettata dal “pubblico” in quanto emessa da un’istituzione (lo Stato) che le ha assegnato un determinato valore; non a caso il termine “fiat” è una voce del verbo latino fiĕri, che significa “farsi”, “divenire”, esprimente l’autoreferenzialità del valore rappresentato dalla moneta. La circolazione monetaria nei moderni sistemi economici è stata così espressa dalla moneta legale, le cui garanzie sono diventate solo parziali; ragione questa per cui oggi c’è più moneta in circolazione che beni depositati a garanzia del suo valore.
Com’è possibile che certificati senza garanzia possano svolgere il ruolo di moneta? Questo genere di moneta, conclude Searl, è “il risultato di un’assegnazione di una funzione di status”, realizzata attraverso una dichiarazione, condivisa e accettata da tutti, della massima istituzione del sistema sociale, lo Stato.
Di tale fatto, ovvero della natura convenzionale della moneta, farebbe bene a tenerne conto chi usa accumulare il denaro per acquisire potere di natura non deontica, esercitato unicamente per condizionare il regolare e normale funzionamento delle istituzioni economiche e politiche a fini di arricchimento personale. Poiché la “moneta-fiat” è denaro che non ha un supporto di base o un fondamento completo, chi, motivato dall’“auri sacra fames”, è spinto ad accumulare denaro senza limiti potrebbe essere chiamato a pagare un alto prezzo, se coloro che ne subiscono gli effetti negativi decidessero improvvisamente di non tenere più in alcuna considerazione il “fiat”, cioè lo status della moneta corrente, riducendo l’“ingordo” accumulatore a stringere nelle proprie mani solo un “pugno di mosche”

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