Dopo Genova. Se non ora, quando?

20 Agosto 2018
5 Commenti


Tonino Dessì

Potrei, come altri, cimentarmi sugli aspetti più strettamente tecnico-giuridici delle questioni connesse alla concessione fra Stato e Autostrade Italiane.
Non servirebbe a gran che, intanto perché ormai tutti gli atti convenzionali sono conosciuti e visto poi che gli eventi amministrativo-istituzionali sono in corso secondo una procedura che non è quella che si cerca tuttora di far passare per un provvedimento istantaneo di revoca.
Potrei, forse più di altri, dedicarmi anch’io a ricostruire le vicende delle privatizzazioni di ampi spezzoni di infrastrutture e di tutto l’apparato produttivo pubblico italiano dalla fine degli anni ‘80 in poi.
Questo forse mi intrigherebbe di più, perché tanti sostenitori politici di oggi delle ri-nazionalizzazioni erano allora di tutt’altra opinione e a esprimere dubbi furono (fummo) davvero in pochi: non parliamo poi di quanto pochi siano stati i contrari nelle maggioranze di tutte le coalizioni che fino a oggi si sono succedute in Parlamento.
Mi preme piuttosto puntualizzare alcune cose.
Il Ministero delle Infrastrutture ha inviato ieri una comunicazione di avvio di procedimento nei confronti del concessionario (https://www.agi.it/politica/lettera_governo_revoca_concessione_autostrade-4284329/news/2018-08-19/), a termini di legge e di convenzione, con la contestazione della responsabilità generale del medesimo in quanto gestore e custode dell’opera nonchè con la riserva del risarcimento dei danni e della denunzia-decadenza (preannunciare una revoca tout court sarebbe in questa circostanza improprio e incauto: infatti nella comunicazione il termine non è usato) della concessione.
La comunicazione contiene l’intimazione a fornire entro quindici giorni tutti i documenti atti a certificare i comportamenti posti in essere dal concessionario obbligato per scongiurare la possibilità del verificarsi dell’evento.
È un atto dovuto, che instaura un contraddittorio formale necessario in base ai principi e alle norme del nostro ordinamento.
Aggiungo che a questo punto la questione non è affatto “se” si possa rescindere o meno il rapporto di concessione.
La rescissione potrebbe infatti rivelarsi un atto dovuto anch’essa, solo relativamente discrezionale (andrebbe cioè congruamente motivato), qualora l’accertamento che emergesse in questa sfera procedimentale amministrativa inducesse il Ministero a ritenere il concessionario non solo inadempiente, ma anche inaffidabile.
Ciò a prescindere dal procedimento penale, dai suoi tempi e dai suoi esiti.
Più difficile è ipotizzare se e in quanto tempo dal provvedimento amministrativo di rescissione si potrebbe passare all’effettiva estromissione del concessionario dalla gestione e al subentro di altro soggetto, privato o pubblico, da individuare come idoneo.
Sul provvedimento amministrativo infatti è prevedibile che si innesteranno un contenzioso giurisdizionale amministrativo avente per oggetto la legittimità del medesimo e uno civile sulle conseguenze patrimoniali.
Insisto nel richiamare l’attenzione sul fatto che non sarà ininfluente (non lo sarà nemmeno nel parallelo iter giudiziario penale) l’accertamento della corresponsabilità del concedente titolare della vigilanza, del controllo e persino del potere di approvazione degli interventi del concessionario sull’opera.
A me questo aspetto preme assai.
Perché può darsi che mi sbagli sulle intenzioni e spero di sbagliarmi sul prosieguo, ma al di là degli aspetti politici, propagandistici e comunicativi, concentrare tutta l’attenzione sulle responsabilità del concessionario finora ha comportato mettere in sordina le responsabilità dello Stato e dei suoi apparati e non quelle storiche, bensì quelle attuali e contingenti.
Avrei preferito l’istituzione immediata di una Commissione tecnico-amministrativa indipendente, in una situazione nella quale le ordinarie strutture ministeriali sono parte in causa e non è scontato che lo siano (state) dalla parte giusta.
Non sarebbe la prima volta che grandi burocrazie e nuovi governanti trovano un compromesso di reciproca convenienza sacrificando un pezzo consistente non solo delle esigenze di giustizia, ma anche del complessivo interesse pubblico.
Finora anzi direi che in Italia è stata la regola, praticamente priva di eccezioni.
E a tal proposito, vorrei sfiorare il tema della gestione di servizi pubblici o di pubblica utilità da parte di soggetti economici privati e per converso quello della gestione diretta di attività economiche da parte dello Stato.
Prima dell’espansione della normativa europea nel nostro ordinamento interno, la Costituzione della Repubblica ammetteva tanto la prima quanto (sia pure entro certi limiti) la seconda.
Sul piano costituzionale non è cambiato granchè, salvo il fatto che la successiva normativa europea ha progressivamente imposto tanto nell’un caso quanto nell’altro di valutare le migliori opportunità derivanti dall’applicazione dei principi di adeguatezza, di sussidiarietà e di prossimità e, per le attività economico-produttive, di assicurare forme adeguate di concorrenza.
Ben prima della riforma dell’articolo 81 della Costituzione (e lo dico a conferma della non necessità oltre che dell’erroneità di quella riforma), già questo aveva conseguenze, vigente il testo precedente, nell’ordinamento contabile italiano, perché ogni decisione che importasse oneri a carico del bilancio pubblico doveva essere giustificata sulla base delle opportunità o delle convenienze per l’erario derivanti dal contemperamento di quei principi.
Si può fare ogni discussione su questo impianto e sostenere anche che sia più conforme a un indirizzo di politica pubblica liberale (liberista in senso stretto direi di no), che a un indirizzo più intensamente interventista.
Restano indiscutibili due fatti storici.
Il primo è che la precedente gestione pubblica delle infrastrutture e di attività produttive in Italia era percepita pressoché unanimemente come insostenibile, corrotta, inefficiente, obsoleta, incontrollata e incontrollabile.
Il secondo è che non la generica “privatizzazione”, ossia la riconduzione a criteri giuridici e gestionali “non privilegiati”, ma le modalità italiane di cessione della gestione delle infrastrutture e, per gli impianti, della proprietà a soggetti privati non hanno nemmeno corrisposto a quelle regole (le leggi e le convenzioni hanno anzi creato un regime giuridico privilegiato ad hoc), hanno trasferito profitti e ridotto investimenti, hanno instaurato oligopoli, si sono caratterizzate per un sistema di controlli pubblici non solo inefficiente, ma colluso e connivente.
Perciò quello che ci si deve attendere, appena il livello del conflitto politico e della reazione emotiva si sarà decantato, è proprio un livello alto e non confuso di proposta politica, non collocata sul futuribile, che fornisca risposte trasparenti, indicazioni condivise e soluzioni praticabili su questo universo di problemi.
La ricostruzione di uno spirito pubblico e la realizzazione di una svolta non retrograda, ma avanzata proprio sul ruolo dell’indirizzo e del controllo pubblico sui meccanismi economici e produttivi dovrebbe essere al centro di ogni riflessione d’ora in poi.
Non troverei accettabile se tanto il livello politico-istituzionale quanto l’opinione pubblica si acconciassero a un continuo e inconcludente rumoreggiamento intorno a questioni così rilevanti.

5 commenti

  • 1 admin
    20 Agosto 2018 - 18:46

    Caro Tonino,

    Non posso non rilevare il paradosso di un governo che riesuma la parola “nazionaizzazione”:e viene tacciato d’essere di destra da chi ha cosi’ irresponsabilmente privatizzato beni sgovrani.
    Andrea

  • 2 T. D.
    21 Agosto 2018 - 00:35

    Caro Andrea, come sai (l’ho scritto più volte anche su Democrazia Oggi), è da tempo che non vedo in Italia (ma forse nel mondo) una sinistra della quale uno di sinistra come me possa sentirsi parte. Aggiungo che oggi all’opposizione politico-parlamentare di questo governo non c’è nessun soggetto che possa fregiarsi della qualificazione di “sinistra”. Ed è diventato disagevole per chi abbia, fuori dalla politica ufficialmente rappresentata, posizioni critiche verso lo stesso governo, rischiare di esser confuso con qualsiasi di quei soggetti. Tuttavia un’opinione pubblica critica c’è e a me pare più articolata, puntuale e resistente di quanto si ritenga. Non sono sicuro che questo governo nazionalizzerà alcunchè, sinceramente. Del resto la Lega (ha fatto in tempo perfino Salvini da parlamentare italiano) le privatizzazioni selvagge le ha sostenute e votate quanto altri. Temo però il pastrocchio. Già in queste ore emerge l’enorme contraddizione dell’incarico dato, per costituire la Commissione tecnica del Ministero delle Infrastrutture, a dirigenti degli uffici che dovevano vigilare tanto sulla convenzione e sugli adempimenti dei concessionari, quanto sull’autostrada in se stessa. Qui si rischia di non cavarne ragno dal buco, temo. Perciò credo sarà opportuno star puntualmente attenti ai problemi per come giorno per giorno emergono e si manifestano e sollecitare tutti a dare risposte serie e avanzate.
    Il resto mi pare che al di là delle claques stia finendo per esser percepito come la solita cattiva politica.
    Ciao.

  • 3 Tonino Dessì
    21 Agosto 2018 - 07:32

    Caro Andrea, non c’è imbarazzo più grande, in questi mesi, per chi non si identifichi con la maggioranza e col governo attuali e intenda mantenere anche nei loro confronti una vigilanza critica, del rischio di essere associati all’esecrato passato e al miserevole presente delle attuali opposizioni parlamentari.
    Detto questo, per ri-nazionalizzare qualsiasi servizio o comparto non bastano intenzioni e proclami: ci vorranno una o più leggi del Parlamento.
    Spero che ci si arrivi con la chiarezza e col senso di responsabilità che tutti auspichiamo.

  • 4 Aladin
    21 Agosto 2018 - 10:17

    Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=86111

  • 5 admin
    21 Agosto 2018 - 11:07

    Caro Tonino,
    Quanto tu dici abbiamo cercato di farlo sempre, prima nel Manifesto di Pintor e Magri, poi nel PCI, spesso invisi agli allineati in servizio permanente. E continuiamo a farlo oggi, avendo come bussola i nostri saldi principi della sinistra comunista italiana. E cosi’ ci siamo mantenuti lontani dal PD liberista, anticostituzionale e corrotto, cosi’ abbiamo colto novita’ e limiti del M5S.
    Per quanto mi riguarda, e’ positivo che lo Stato rientri in gioco sulle questioni del lavoro e dell’economia, senza ovviamente illudermi , ma anche senza svalutare queste novita’. E’, il nostro, un impegno arduo, sempre a rischio di fraintendimento, ma talvolta con buoni risultati, come nella difesa della Costituzione e nella attivita’ di stimolo del dibattito democratico. Non penso di cambiare rotta, non c’e’ aria; occorrepero’, sforzarci per favorire un’evoluzione positiva del M5S nell’interesse della democrazia italiana.
    Caro Tonino, non e’ il caso che ti confermi la mia stima e considerazione, lasciami dire pero’ che nei momenti difficili e’ un conforto saperti attento e vigile.
    Ciao. Andrea

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