Da Marilotti più di una chiusura. Ma la società civile più sensibile è in movimento

5 Settembre 2018
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Tonino Dessì

Prosegue il dibattito sulla situazione politica anche in vista delle elezioni regionali. Tonino Dessì, con questo intervento, replica a Gianni Marilotti. Domani l’intervento di Roberto Mirasola. Attendiamo altre opinioni.  

Gianni Marilotti chiude il dibattito aperto da Andrea Pubusa nei giorni scorsi su Democrazia Oggi.
Lo chiude innanzitutto sulla proposta di una alleanza fra il M5S e una o più ipotetiche liste democratico-progressiste in occasione delle prossime elezioni regionali.
Non poteva essere diversamente.
Il M5S è e ha necessità di restare un brand inconfondibile in un’offerta politica e di rappresentanza che premia le identità forti.
E a ben vedere anche tecnicamente forse è la scelta che può consentire al M5S di sfondare le tagliole della legge elettorale regionale, la cui premialità forzosa a favore delle coalizioni può cedere solo all’urto del massiccio consenso ottenuto da un corpo politico che si sia posto e si ponga sulla scia del rigetto di una parte consistente della società italiana e sarda nei confronti dei rassembramenti oligarchici tradizionali.
Male andando (ma non lo darei per scontato), arriverebbe secondo e nella trappola ci cadrebbe almeno uno degli altri due competitors, fra cdx e csx.
Perciò non sono affatto stupito. Devo anche ammettere che a me l’ipotesi di liste, più che alleate, fiancheggiatrici, poco mi sembrava attraente.
E qui veniamo a una chiusura che mi pare più netta.
Non perché trovi netto il confine ideale e politico di Gianni, ma anzi proprio perché lo trovo troppo liquido (abuso anch’io della terminologia baumaniana) e al di sotto delle domande che sono emerse anche in questo embrione di discussione.
Ho stima di Gianni.
E ha tutta la mia comprensione per l’immedesimazione che profonde nell’esperienza politica e istituzionale alla quale la sua curiosità, il suo coraggio e gli eventi favorevoli gli hanno consentito di approdare.
Il fatto è che non mi ci immedesimo io e non solo per carattere e per biografia.
A me non si può porre davanti il discorso del superamento delle categorie di destra e di sinistra.
Se sono da tempo “oltre” questa discussione non è per motivi ideologici.
È perché ho per tempo avvertito che in questa fase della storia mondiale (non solo italiana) la destra ha vinto e tutti siamo immersi, più che in un fantasmatico “pensiero unico”, nella multiforme “dimensione unica” di un capitalismo planetario che ha sconfitto ogni suo antagonista distruggendone molecolarmente le stesse categorie di identità sociali e culturali potenzialmente alternative.
Quel che resta delle sinistre politiche, soprattutto occidentali, è la terminale manifestazione della loro non reversibile, perché profondamente introiettata, deriva a destra.
Non credo tuttavia di poter porre io nè di intravvedere attualmente in pensatori ben più capaci di me le basi per una elaborazione teorica di quella che potrebbe essere una nuova sinistra.
Non mi pongo nemmeno più il problema, in uno scorcio di vita che non me ne darebbe e non me ne darà il tempo.
Tuttavia, proprio perché non vivo il mio tempo passivamente, non posso non pormi l’esigenza di un solido ancoraggio, più che a una narrazione, a un sistema positivo di valori e a un quadro concreto e “validato” di principi, capaci qui e ora e in una prospettiva temporale realistica di esser di guida per valutare l’agire politico e di governo altrui e ove possibile ispirare il mio.
Viviamo un’epoca nella quale cresce la moltiplicazione delle diseguaglianze e insieme la sottrazione degli strumenti democratici che almeno in questi settant’anni del secondo dopoguerra hanno consentito di rivendicare collettivamente migliori condizioni economico-sociali per vaste masse popolari in una dimensione, se non egalitaria, almeno orizzontalmente ridistributiva delle ricchezze, dei servizi, delle opportunità, dei diritti e dei poteri.
Tanto incide questa moltiplicazione delle diseguaglianze da produrre una degenerazione profonda delle storicamente sperimentate pulsioni positive alla coesione e alla solidarietà sociali e umane.
Il disagio, anzi, il malessere va disperdendo le proprie energie di difesa e di ricerca di sbocchi politici in un contesto di risentimento di tutti contro tutti.
Se vogliamo, anche il dettaglio registrato da Gianni Marilotti sulla percezione che un giovane tirocinante precario italiano gli ha manifestato, di una presunta discriminazione derivantegli dalla presenza di un altro contatto di tirocinio a favore dell’inserimento lavorativo di profughi stranieri aventi lo status di rifugiati politici, testimonia anch’esso di questa situazione di confusione.
Un Senatore della Repubblica però non può registrare un fatto del genere come giustificazione del risentimento montante contro profughi e migranti alimentato dal Governo che lui sostiene.
A me non sfugge che l’esagerata molteplicità di istituti formativi e contrattuali esistenti in Italia ha dato luogo (non solo da parte dei datori di lavoro privati!) a modalità di utilizzo di questi istituti in frode alla legge, nell’inclinazione ad abusarne e ad abusare dei relativi incentivi per sfruttare condizioni di precariato in sostituzione di regolari contratti di lavoro a tempo indeterminato o determinato.
L’obiettivo di ripristinare un unico regime legale del lavoro dovrebbe esser posto fra gli obiettivi prioritari di qualunque governo riformatore.
Ma da qui a sostenere che il Progetto Lift faccia parte di una politica europea e nazionale finalizzata a sostituire manodopera italiana con manodopera straniera ce ne corre.
Trovo però sintomatico che Gianni sia ricorso a questa citazione per avallare la narrazione distorta di un aspetto che pare esser diventato ossessivamente cruciale nella quotidiana propaganda governativa.
E si può comprendere perché su questo terreno si sia aperta persino anticipatamente una frattura al momento non ricomponibile fra una parte sensibile dell’opinione pubblica e della società italiane e la maggioranza politica che governa questo Paese.
Frattura che inviterei di nuovo a non esorcizzare e a non sottovalutare.
Va infatti manifestandosi un’opposizione sociale consistente, in queste settimane, nonostante l’imbarazzo che creano il passato e il presente delle opposizioni parlamentari.
Non darei per scontato che questa resistenza non finisca per riservare sorprese, benché non abbia (e al momento non cerchi nemmeno) una rappresentanza politico-elettorale.
Certo è che al posto del M5S non mi arroccherei rigettandone le istanze (come sta avvenendo finora se si eccettua il Presidente della Camera Fico) e da persone come Gianni auspicherei appunto qualcosa di più incisivo che non l’allineamento disciplinato e in qualche modo rassegnato che manifesta nel suo articolo.
Io non credo che il Paese reggerà alla lunga un Governo che appare quotidianamente caratterizzato dalla propaganda neofascista, xenofoba, razzista di Salvini.
Il M5S deve decidere se continuare ad accodarvisi o meno, se finire o meno per dare l’impressione di volersi costituire, insieme alla Lega, come nuovo assetto di regime: in Italia (Renzi da ultimo docet) l’allergia per quel che sappia di regime è piuttosto radicata.
Ciò detto e in conclusione, un affettuoso, ma, me lo consenta, fermissimo appello ad Andrea Pubusa.
Abbiamo fin da dopo il referendum costituzionale ragionato sull’opportunità di preservare lo spirito democratico unitario coagulatosi in quell’esperienza da ogni pur comprensibile tentazione “pro bono” di investirlo in tutto o in parte nelle contingenze delle vicende elettorali italiane o sarde.
Se è vero che la risorsa e la riserva profonda che resta viva e positiva, anche in un periodo di crisi delle narrazioni ideologiche “sistemiche”, è il sistema di principi, di valori, di indirizzi programmatici della Costituzione repubblicana, antifascista, democratica, solidarista, umanitaria, autonomista e internazionalista, cioè tutto l’opposto di quel confuso sovranismo con tratti reazionari che sta diffondendosi in Italia e in Europa, beh, teniamo fermo quel punto di riferimento come parametro per guidare non solo la nostra funzione di “riserva democratica” e le azioni conseguenti, ma anche per giudicare e se possibile per influenzare da una posizione di autonomia l’operato di chi governa (e non meno di chi vi si oppone), qual che ne sia il colore politico temporaneo.

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