Massimino for president

4 Ottobre 2018
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Amsicora

Non ci crederete. Ieri mattina ho incontrato un vecchio compagno comunista, che, più per abitudine che per adesione, frequenta la sede di via Emilia. Ma non è questa la notizia incredibile. Qualche vecchio pensionato che non sa che fare nella sede del PD ci va. Ci siamo salutati cordialmente, e anche questo non è strano, anzi è normale. Al di là delle appartenenze attuali, con quasi tutti il rapporto è sempre più che amichevole. Gli dico: “dunque Massimo si candida alla Presidenza della Regione…“. Mi preparo a fargli delle domande e delle osservazioni perché mi aspetto da lui un articolato discorso politico, come si usava ai tempi nel PCI. Che so io? “Non è una cosa facile. Ci sono tante cose da vedere. Intanto, i prinzipales interni sono d’accordo? Soru che ne pensa? Si sa che blocca Maninchedda, ma con Massimo non dovrebbero esserci ruggini. E Cabras-Fadda si sentono rassicurati da Zedda o vogliono piazzare uno dei loro? Si parla di un fronte dei sindaci a sostengo di Massimo, ma è molto variegato a ognuno risponde alle logiche proprie di corrente. Difficile pensare ad una convergenza per l’attuale primo cittadino di Cagliari. E Maninchedda in corsa per la candidatura, a seguito di primarie un po’ addomesticate, è disposto a partecipare a primarie vere? E lo è Massimo? Ci sono nodi generali da sciogliere. Maninchedda, come un vecchio capo indiano, ha tracciato il perimetro della riserva: solo chi crede nella nazione sarda può partecipare alla tenzone, non i bianchi dalla lingua biforcuta. Come dice Luciano, fra nazione e popolo non c’è differenza sostanziale? Sono solo sfumature nominalistiche, quisquiglie, che non giustificano  una divisione elettorale?”.  Bah, sarà!, penso io. Ma per noi della sinistra il concetto di popolo non equivale a classe in senso stretto, è più ampio perché comprende tutti i ceti popolari oltre agli operai dell’industria. Nazione è una cosa diversa. E’ l’intero popolo, dai padroni, ai grandi proprietari, a tutti i ceti sociali, uniti dalla storia, dalla lingua e dalla religione. Insomma, non proprio la stessa cosa. Ma Uras non è schizzinoso. Dopo aver concorso al prosciugamento della sinistra sarda (per egocentrismo) ora, pur di sfangarla, alle elezioni vorrebbe allearsi anche con FI. Grande fronte nell’interesse dell’isola. Cosa volete che sia un’alleanza con Maninchedda. Bazzeccole!
Poi mi aspettavo un complesso discorso programmatico. C’è da ribaltare tutta la piatta politica di Pigliaru. Riprendere un percorso di autonomia, di confronto serio e fermo col governo nazionale e così via.
Niente di tutto questo. E ora ecco la sorpresa! E non ditemi che non è stupefacente quanto sto per riferirvi. Quel vecchio compagno, pensoso, mi ha detto. “Massimino sta meditando, è tentato di accettare la candidatura. Sai, ha 42 anni. Non ha arte né parte. Quando finisce la sindacatura è un disoccupato. La candidatura alla presidenza, almeno l’elezione al Consiglio gliela dà con certezza. Al PD si pensa di eleggere 3/4 consiglieri, e il candidato alla presidenza viene prima degli altri. Certo non ha più il vitalizio, ma l’indennità sì… e, alla fine, la pensione calcolata col metodo contributivo. Insomma  non deve ridursi a vivere col reddito di cittadinanza“. Rimango basito, perché questo è un compagno serio, che ha svolto funzioni dirigenti nel sindacto e nel partito. Non so che dire. Cerco di tirar sù il livello. Farfuglio qualcosa, ma anch’io non so andare oltre le cose di superficie. Posso dire che Massimo è un cervello? O che si è sempre distinto per brillanti idee programmatiche? E allora dico: “E’ un vincente, ha una bella faccia, il silenzio lo fa apparire saggio, di pensiero profondo trattenuto, non esternato, ma solido“. Ma il mio interlocutore, insiste. Per lui ora l’unica preoccupazione è il futuro di Massimo: stipendio e pensione. Sono imbarazzato…annuisco, “cose vitali, esistenziali” dico. e per nobilitare il suo dire: “Al PCI avevamo i rivoluzionari di professione, stipendiati dal partito…il partito non li lasciava a terra, li ripagava per la militanza generosa a scapito dell’inserimento sociale (in realtà, col tempo, da ricoluzionari molti si sono trasformati in burocrati di professione). Poi non so che fare, che dire. “Devo scappare…, ci sentiamo“, faccio, salutandolo e fingendo premura. E lui: “Certo, ti farò sapere…lo so che la sorte di Massimino interessa anche a te, in fondo è un bravo ragazzo…“. “…Gli vogliamo tutti bene…“, grido io, allontanandomi.

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