Riflessioni in libertà su Puddu (M5S) e dintorni

19 Ottobre 2018
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Andrea Pubusa

Dunque Puddu è stato condannato e probabilmente dovrà rinunciare alla candidatura alla presidenza della Regione, creando al M5S un contraccolpo d’immagine e un problema di sostituzione. Anche se i pentastellati salvano l’immagine in questi casi nel modo più semplice e democraticamente corretto: chi è condannato, anche se solo in primo grado e, dunque, ancora “presunto non colpevole” fino a sentenza definitiva, deve farsi da parte. In un paese in cui  Parlamento e Consigli  sono ormai zeppi di condannati, i grillini rappresentano sempre un esempio di moralità pubblica che conforta le normali persone per bene. Sulla scelta del nuovo candidato Di Maio dovrà decidere se indire una nuova consultazione online ovvero provvedere, eccezionalmente, dall’alto, sottoponendo semmai il prescelto al vaglio della base, tramite la piattaforma Rousseau. Si vedrà.
Anche se apparentemente si tratta di una comparazione impossibile, mi viene da avvicinare la posizione di Puddu a quella di Zedda. Beninteso, sul piano strettamente giuridico, Zedda è stato pienamente assolto, ormai con sentenza passata in giudicato, e le sentenze si rispettano. Ma, andando alla sostanza politica, le due vicende si assomigliano e sollevano interrogativi. Puddu avrebbe esercitato le sue prerogative oltre il perimetro che consente agli organi politici solo gli atti d’indirizzo, avrebbe cioè direttamente inciso sulla pianta organica e sulle nomine, atti di competenza dirigenziale. E certo, se lo ha fatto, non poteva farlo. D’altronde, dovendo effettuare una scelta fra diversi concorrenti, va da sé che la nomina dell’uno svantaggia gli altri. C’è un vantaggio a favore di una persona e uno svantaggio a scapito di un’altra, che integra indubbiamente l’abuso d’ufficio. Rimarrebbe da esaminare l’elemento psicologico. Questa valutazione, ad esempio,  ha consentito a Soru di sfangarla nel caso Saatchi. Ha violato norme sulla competenza presidenziale - hanno detto i giudici - ma senza volerlo, senza dolo. Nel caso di Zedda i giudici sono andati anche oltre, quasi facendogli un elogio e chiedendo scusa. Tuttavia, il Giudice amministrativo ha annullato la nomina della sig.ra Crivellenti, rinvenendo nella designazione fuori procedura da parte di Zedda un classico esempio di eccesso di potere. Un caso di scuola, che spesso io stesso propongo agli studenti o agli specializzandi nelle esercitazioni.
Come si ricordera’, il Consiglio di amministrazione della Fondazione Teatro Lirico aveva deliberato una procedura per la nomina del Sovrintendente a cui si poteva accedere previa domanda entro un termine perentorio. Si stabiliva espressamente che chi avesse presentato la domanda di partecipazione fuori termine era escluso dalla procedura. Su questo punto non c’era dubbio e su questo il Giudice amministrativo ha fondato l’annullamento. La domanda della Crivellenti fu presentata non dall’interessata nei modi e tempi prestabiliti, ma  dallo stesso Sindaco, quale presidente del Consiglio di amministrazione, alla seduta fissata per l’esame delle domande. Certo che la nominata fu avvantaggiata e gli altri aspiranti regolari danneggiati. Ora senza mettere in discussione la sentenza, ma stando alla correttezza amministrativa, che rileva comunque nel giudizio politico, non c’è dubbio che Zedda non ha tenuto una condotta corretta. E non ci vuol molto a capire che la correttezza, la linearità nella politica e nell’amministrazione sono valori che prescindono e travalicano l’aspetto penale.
Insomma, per farla breve, in Sardegna ci troviamo di fronte a due casi simili sul piano sostanziale  con due esiti opposti. Nell’uno (Puddu) si ha la rinuncia alla candidatura (benché la sentenza non sia definitiva), nell’altro (Zedda) la candidatura viene sollecitata da parte dei sostenitori (il che spiega anche perché il M5S è cresciuto e la sinistra si è ridotta al lumicino, ma questa è un’altra storia).
Dato che sono in vena di comparazioni sentite questa. L’ex presidente della Regione Sardegna, Ugo Cappellacci (Fi), nel 2016 è stato condannato a 2 anni e sei mesi nel processo per il crac della Sept Italia, società specializzata nella produzione di vernici con sede a Cagliari fallita nel 2010. Al suo coimputato Simeone, sindaco di Carloforte, sono stati disposti gli arresti domiciliari. Per Cappellacci nulla…e per Lucano, prima i domiciliari e poi l’ostarcismo.
La magistratura come ordine va difeso come la pupilla dei nostri occhi, ma le singole decisioni spesso sono indigeribili. In politica l’etica pubblica latita nella c.d. sinistra, che prima ne rivendicava il rigoroso rispetto. E’ una delle cause del suo declino. O no?

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