Prescrizione dei reati: senza o con limiti?

7 Novembre 2018
2 Commenti


 Andrea Pubusa

Sabato scorso il Movimento 5 Stelle ha presentato un emendamento alla sua legge contro la corruzione (quella che sta chiamando “spazza corrotti”) che introduce il blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, anche in caso di assoluzione. Significa che, se l’emendamento sarà approvato, una volta superato il primo grado, i reati non potranno più andare in prescrizione, indipendentemente dalla lunghezza del processo.
La prescrizione è un istituto giuridico fondato sul decorso del tempo e sull’ovvia considerazione che il tempo cancella o attenua ogni cosa. E, dunque, trascorso un periodo di tempo fissato, caso per caso, dalla legge la situazione di diritto si conforma a quella di fatto, anche se questa è contra legem. Così, chi, senza titolo, possiede un immobile ininterrottamente per vent’anni, pacificamente e pubblicamente e con l’animo del proprietario, diviene proprietario per usucapione.
In campo penale la precrizione estingue i reati dopo un certo periodo di tempo dal fatto:  la convinzione su cui si fonda è elementare: dopo un certo numero di anni non è più nell’interesse della comunità perseguire i reati. Alcuni paesi affrontano la questione vincolando gli uffici dell’accusa a tempi definiti, in altri stabilendo dei limiti di legge. In Italia i tempi di prescrizione si calcolano in base alle pene massime previste per i diversi reati, mentre non c’è prescrizione per i reati che prevedono come pena massima l’ergastolo.
Ora se però esaminiamo bene l’istituto e la ratio possiamo già rendere più articolato il nostro giudizio: per esempio, ha senso spendere tempo e risorse per emanare sentenza definitiva contro un imputato per un furto d’auto avvenuto 20 anni fa? Secondo il comune sentire la risposta è negativa. Ma è altrettanto negativa se parliamo di uno stupro o di una violenza su un minore o per reati contro la pubblica amministrazione? Se un amministratore si è arricchito con mazzette, rilasciando permessi di costruzione dubbi o non intervendo per la demolizione, è giusto che goda il frutto dei suoi reati e l’azione penale venga paralizzata per il decorso del tempo, anche se è intervenuta la sentenza di primo grado? Orbene, se teniamo conto che gli istituti giuridici basati sul decorso del tempo si fondano sostanzialmente sull’oblio della situazione pregressa, è evidente che ci sono fatti che rimangono nella coscienza della comunità e suscitano una domanda di giustizia anche a distanza di molti anni.
Ci sono poi altri aspetti, che però paiono secondari. Per esempio, secondo taluni, la prescrizione è un rimedio alla frequente lunghezza dei procedimenti. Ancora, impedisce che una persona sia soggetta alla procedura per troppi anni, con gli annessi patemi d’animo, il disdoro sociale e simili. Ma anche questo è solo parzialmente vero. Da avvocato consiglio l’appello o il ricorso in Cassazione dopo la sentenza di primo o secondo grado, quando, codice alla mano, so che sta per maturare la prescrizione. Quindi la lungaggine e l’intralcio degli uffici giudiziari superiori è causato proprio dal desiderio di acchiappare la prescrizione!
Detto questo, sposterei l’attenzione sul merito della riforma. Ecco il quesito: può essere individuata una disciplina che, ancorché non soddisfi appieno le contrapposte esigenze, quantomeno le concili in modo accettabile? A me pare che dovrebbe badarsi alla natura del reato o, il che è lo stesso, alla misura della pena. Si potrebbe stabilire che per i reati lievi si applichi la disciplina vigente, mentre quella proposta dal M5S trovi applicazione nei reati più gravi. Un tempo, quando tutto era più semplice, avrei lasciato l’attuale disciplina per i reati di competenza del Pretore (pena massima fino a tre anni), mentre avrei introdotto l’emendamendo pentastellato per quelli di competenza degli altri giudici: Tribunale e Corte d’assise. La ragionevolezza di questa partizione nasce anche dal fatto che per i reati più lievi da molte parti si propone una depenalizzazione. Naturalmente, si può anche tener conto dell’interesse delle vittime, introducendo regole a salvaguarduia del risarcimento. Insomma, rimanendo nell’ottica dei 5 Stelle la riforma può essere affinata.
Mi paiono eccessive invece le reazioni che sparano ad alzo zero. Come, per esempio, quella dell’avvocato Giulia Bongiorno, ministro della Pubblica amministrazione e noto penalista, che ha definito la proposta pentastellata  una “bomba atomica” pronta a scoppiare sul processo penale. La Bongiorno, fra l’altro, ben sa che della prescrizione di solito fruiscono gli imputati che possono permettersi una buona difesa e per lungo tempo. E’ dunque uno strumento che di fatto contrasta col principio dell’eguaglianza sostanziale degli imputati davanti alla legge.
Un’altra questione è quella della individuazione del momento in cui il decorso della prescrizione dev’essere interrotto. Il Giudice Di Matteo (non da solo), ad esempio, ha sostenuto che l’interruzione debba operare dalla richiesta di rinvio a giudizio del Pubblico Ministero e non dalla sentenza di primo grado. Questa proposta si fonda su un  dato spesso trascurato, e cioè che la maggior parte dei processi va in prescrizione prima della sentenza di primo grado, addirittura durante la fase delle indagini. Tra il 60 e il 70 per cento del totale dei processi prescritti, infatti, non riesce nemmeno ad arrivare alla prima udienza.
Molte delle questioni sollevate dalla prescrizione pongono un problema: la necessità d’intervenire a fondo sull’organizzazione della giustizia. Il guardasigilli Alfonso Bonafede ha indicato la via: nuovi investimenti nella giustizia per accelerare lo svolgimento dei processi.  Con più risorse, in termini di magistrati e personale amministrativo, i processi saranno più veloci. Parole sante e ovvie, ripetute tante volte da ministri e addetti ai lavori, ma sempre disattese o quasi. Speriamo sia la volta buona.

2 commenti

  • 1 Aladinews
    7 Novembre 2018 - 08:53

    Anche su Aladinews: http://www.aladinpensiero.it/?p=89619

  • 2 Tonino Dessì
    7 Novembre 2018 - 15:34

    Caro Andrea, il fatto è che con un emendamento il M5S intende bloccare seccamente la prescrizione dopo una sentenza penale di condanna in primo grado, che di fatto diverrebbe immediatamente produttiva degli effetti sanzionatori, compresi quelli della carcerazione. La fretta di parare la perdita di consenso a destra a mio avviso sta portando il M5S a scavalcare a destra la stessa Lega, addirittura facendo sembrare Salvini un (per quanto improbabile) garantista. A fronte di un Presidente dell’ANM o del PM Davigo schierati a favore del frettoloso emendamento, o a un Di Pietro che preferirebbe addirittura abolire il grado d’appello, si è pronunziata contro l’emendamento la Presidenza dell’Unione delle Camere Penali tramite il suo presidente Caiazza, ma anche fra i magistrati domenica, su La Repubblica, si è pronunciato molto criticamente l’ex Capo della Procura di Milano Bruti Liberati e ieri in TV, a La7, l’ex PM anche lui della Procura di Milano, Gherardo Colombo. Le fondamentali obiezioni di sistema vertono sul rischio di anticipare l’esecuzione della pena per fatti la cui responsabilità potrebbe essere esclusa in secondo grado, sulla conseguenza che i tempi per giungere a una sentenza definitiva si dilaterebbero abnormemente, che si inibirebbe esageratamente il ricorso difensivo all’impugnazione. Come hai scritto tu, l’istituto della prescrizione andrebbe in realtà modulato in relazione alla gravità dei delitti e, aggiungo io, alla verosimile pericolosità delle persone imputate. Ma vi sarebbero intanto altre soluzioni, volte più che ad anticipare la soddisfazione della pretesa punitiva (che a me pare la vera motivazione emotiva dell’opinione pubblica che si vorrebbe soddisfare), a precludere all’imputato e ancor più al condannato in primo grado la possibilità di reiterare il reato o comunque di compierne altri nelle more della conclusione dei tre gradi di giudizio. Se poi si riguardasse prevalentemente all’effetto di sgravio che l’interruzione della prescrizione produrrebbe sul carico di lavoro del sistema giudiziario, forse sarebbe meglio iniziare a riconsiderare la scelta del legislatore di affidare alla legge penale la gestione di ogni devianza, anche bagatellare, andando viceversa a una corposa depenalizzazione. Le carceri son piene di poveracci, più che di efferati criminali. Così come anche nei casi di condanne con la condizionale, spesso si tratta di una modalità punitiva che affligge persone condannate per la commissione di illeciti di poca importanza, che potrebbero esser perseguiti e sanzionati in forme e con strumenti differenti. Infine molte fattispecie potrebbero esser trattate con riti alternativi più semplificati e celeri. Non da ultimo, poi, il potenziamento degli organici e delle strutture dell’apparato giudiziario dovrebbe costituire una priorità finalmente praticata e non meramente evocata. A me pare vi sarebbero tutte le ragioni per affidare l’argomento a uno strumento più ragionato e più organico di un emendamento la cui portata effettiva finirebbe davvero per ridurre a uno solo il grado del giudizio fornito di efficacia immediata, introducendo nell’ordinamento penale un principio di sommarietà che contrasta con la ragionevolezza, prima ancora che con le garanzie costituzionali del diritto a un giusto processo.

    Risposta

    Caro Tonino,
    concordo sul fatto che la riforma della prescrizione più che di un emendamento debba essere frutto di una riflessione meditata. Ma la presentazione dell’emendamento, anche in ragione del dibattito sollevato, può essere il classico sasso nello stagno che smuove le acque.
    Quanto ai pro e ai contra sono tutti di grande peso. Rispetto a quanto tu dici osservo che non vedo, però, alcun collegamento fra l’interruzione del decorso della prescrizione dopo la condanna di primo grado e l’immediata esecuzione della sentenza. Il regime giuridico rimane immutato così come non vedo un pericolo di inibizione inaccettabile delle impugnazioni. Anche il regime delle impugnazioni rimane immutato. L’unico vero pericolo è la lungaggine del processo. Ma qui tieni conto che, con la nuova disciplina, verrebbero segati tuttl i giudizi seguenti il primo grado motivati esclusivamente dalla possibilità di acchiappare la prescrizione. Non solo, anche l’attività difensiva diverrebbe più essenziale, nel senso che oggi i difensori tendono a proporre un’attività difensiva sovrabbondante (es., banalmente, nel numero dei testi citati etc.) proprio al fine di tirarla per le lunghe e guadagnare la prescrizione.
    Non vedo nella modifica dell’attuale regime della prescrizione una bomba atomica sul processo nè una violazione di diritti costituzionali. E’ una scelta di politica giudiziaria che tende a privilegiare la punibilità dei colpevoli sulla predeterminazione dei tempi del processo. E queste due mi paiono entrambe esigenze del tutto legittime. Non evocherei conseguenze catastrofiche nell’opzione per l’una o l’altra. Forse una disciplina differenziata a seconda della lievità o gravità dei reati mitigherebbe il contrasto. Nei reati gravi l’esigenza di giustizia e della pena è, in certo senso, permanente. Poi, con una drastica depenalizzazione e con un consistente aumento di organici, addirittura si potrebbe eliminare ogni criticità alla riforma pentastellata. Ma, ahinoi!, questa riconsiderazione “dei delitti e delle pene” e una misura organizzativa, banali e ovvie in teoria, si scontrano con le solite vischiosità legislative e con l’eterno problema dei costi.

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