Niente ridotte. Alla sinistra occorre un grande progetto

30 Marzo 2009
3 Commenti


Pietro Maurandi

 I risultati delle elezioni regionali spingono a reazioni e riflessioni che riguardano il presente e il futuro della Sardegna e dell’Italia. E’ auspicabile che nell’analizzare le cause della dura sconfitta del centrosinistra non si accenda una inutile polemica che contrapponga le responsabilità di Soru e quelle delle forze politiche. Non farebbe che ripetersi uno schema che è andato avanti per molti mesi nel corso della legislatura, mentre ora c’è bisogno di una lettura non ideologica dei risultati elettorali, per comprendere i messaggi che inequivocabilmente provengono dagli elettori. Hanno perso tutti, i partiti del centrosinistra e il candidato del centrosinistra. Ma non ci si può esimere dal registrare che Soru - negli ultimi anni di legislatura- non ha cercato nella coesione della maggioranza la carta vincente, ma ha puntato piuttosto su un rinnovamento fatto di strappi e di scontri interni al suo partito e alla coalizione. In questo modo ha commesso un duplice errore: sul piano tattico perché ha portato divisione e scompiglio nel campo che lo doveva sostenere, sul piano strategico perché ha dato corpo ad una concezione del governo e della leadership fondata sul presidenzialismo forte e in contrasto con la cultura e la tradizione autonomistica diffusa nell’opinione pubblica e nell’elettorato di centrosinistra.
Sulle elezioni regionali voglio però limitarmi ad altre due considerazioni. La prima è che l’elettorato di centrosinistra, infliggendo a Soru una perdita di 7,19 punti percentuali rispetto al 2004, ha sostanzialmente respinto una concezione autoritaria della democrazia e che il rifiuto di quella concezione ha travolto anche il progetto di rinnovamento del 2004, con la riconsegna del governo della Sardegna al centrodestra. Contemporaneamente, infliggendo alla coalizione una perdita di 6,95 punti rispetto al 2004 ha respinto un’alleanza frantumata e partiti incapaci di presentarsi con un progetto credibile agli elettori. Come se, di fronte a quel miscuglio di candidato e di coalizione, avesse manifestato una reazione di rigetto.
La seconda considerazione riguarda la più volte lamentata inconsistenza dei partiti. Che inconsistenza vi sia è sotto gli occhi di tutti e da tempo, assenza di sedi di elaborazione e di maturazione delle scelte politiche e assenza di modalità di selezione e di formazione di quadri dirigenti. Non solo, ma proprio questa situazione ha fatto sì che alcuni partiti del centrosinistra si affidassero in maniera acritica alle idee, alle elaborazioni e alle decisioni del Presidente, che per la verità non sono mancate, quando erano giuste e quando erano sbagliate o discutibili. Due circostanze che si sono condizionate a vicenda: partiti deboli hanno prodotto un Presidente forte e il Presidente forte ha scaricato i partiti della responsabilità di elaborare idee.
La circostanza che l’elettorato di centrosinistra abbia respinto questa miscela indigesta, consente – pur nell’amarezza per la sconfitta – di voltare pagina, riprendendo un progetto di governo che pure ha bisogno di essere ripensato e aggiornato, nella consapevolezza che il suo contenuto innovatore sta in piedi solo se è connesso indissolubilmente ad una forte e rinnovata pratica della ricerca della condivisone e del consenso.
Detto questo sulle elezioni regionali, è opportuno affrontare il problema specifico dello stato della sinistra, in Italia e in Sardegna, prendendo spunto dal dibattito che si è aperto in vista delle prossime elezioni europee.
Per affrontare questo tema mi sembra indispensabile definire una questione preliminare: per quale futuro lavoriamo o quale futuro ci rappresentiamo ? Io ritengo che siano possibili due scenari:
Che il PD permanga come partito di centro, che comprende anche e imbriglia storie, culture, biografie della sinistra, sia essa cattolica, comunista, socialista e laica; e che accanto ad esso vi sia una sinistra rappresentata da partiti piccoli e ininfluenti nella vita politica complessiva del paese; che siano uniti o divisi ha poca importanza, quello che importa è che sono (sarebbero) ininfluenti e che il gioco e il confronto politico sarebbe ristretto a due forze politiche di centro, una con ascendenze di destra e l’altra con ascendenze di sinistra.
Che nel panorama politico italiano nasca un partito della Sinistra, in prospettiva un grande partito, che prenda atto che il Novecento è finito e con esso è finita la Sinistra del Novecento, con le sue glorie e le sue nefandezze, i suoi meriti e le sue colpe; che bisogna far nascere e vivere una sinistra nuova, che abbia come bussola quella della sinistra di sempre: portare le classi deboli ed emarginate sulla scena della politica e della storia; ma con la capacità di declinarla nelle nuove condizioni del mondo e dei soggetti deboli del mondo.
Con lo scenario A io credo che ci siano poche speranze per l’Italia, un paese destinato al declino, con una classe dirigente non vecchia ma vetusta, e non parlo di anagrafe e non parlo solo di classe politica, un paese di mezzo, non povero e neanche ricco, un po’ efficiente e un po’ cialtrone, che funziona più per caso che per merito, che è esposto più di altri alle crisi che investono il mondo perché subalterno a quello che accade altrove.
Tuttavia, se avessimo in mente di lavorare per lo scenario A, allora bisognerebbe mettere insieme più che si può a sinistra, per fare massa e sperare di resistere. Alle elezioni europee si dovrebbe fare un cartello elettorale per non essere cancellati anche dal Parlamento europeo. Insomma l’obiettivo da presentare tutti insieme agli elettori sarebbe quello di sfondare lo sbarramento del 4% con la ripetizione dell’Arcobaleno, sperando in (lavorando per) un risultato migliore. In realtà sarebbe una scelta più incoerente di quella dell’arcobaleno, perché allora il PRC non aveva ancora scelto di consolidare se stesso e il PDCI non aveva ancora scelto l’unità dei comunisti.
Io penso invece che bisogna lavorare per lo scenario B; credo di potermi esimere in questa sede dallo spiegarne le ragioni.
Se si lavora per B bisogna mettere insieme tutti quelli che hanno il progetto politico della nascita del partito della Sinistra, siano essi partiti, movimenti, associazioni, singoli uomini e donne, senza preoccuparsi da dove vengono, ma avendo ben chiaro dove vogliono andare. Alle elezioni europee si può andare con queste forze, che stanno in luoghi politici diversi non perché vogliono fare un cartello elettorale ma perché il partito ancora non c’è, ma vanno nella stessa direzione. Chi ha un progetto diverso, come quello di rifondare il PCI oppure di consolidare il PD, è giusto che faccia altre scelte, ma nessuno deve sentirsi addosso la colpa di non voler unire tutta la sinistra; si uniscono quelli che hanno lo stesso progetto politico.
A questa necessità di coerenza e di chiarezza risponde la scelta di far nascere la lista di Sinistra e Libertà per le elezioni europee.
L’assillo delle elezioni, per chi lavora per lo scenario B, non è quello di sfondare il 4% - naturalmente bisogna lavorare al meglio per sfondarlo – ma quello di trasmettere un messaggio: che i componenti della lista (partiti, movimenti, correnti, frazioni, uomini e donne) l’indomani delle elezioni non tornano nei loro piccoli nidi ma vanno avanti per costruire il partito; che non si è lì, nelle liste, per non essere cancellati, asserragliati in una ridotta, ma per un grande progetto che deve modificare il futuro di questo paese e dare speranza a chi l’ha perduta; che non si chiede solo il voto ma l’adesione ad un progetto per la sinistra.
Non sappiamo se questo disegno avrà successo, se effettivamente in Italia c’è spazio per un partito della Sinistra rinnovata, uno spazio che vada al di là dei nostri pensieri. Ma per capirlo dobbiamo provare e per provare davvero, perché la prova abbia consistenza, dobbiamo essere coerenti, l’unica arma forte che abbiamo è la chiarezza di intenti e la coerenza nel perseguirli, la cosa che non dobbiamo fare è creare confusione e disorientamento. Ce n’è già tanto sotto il cielo della sinistra che non c’è proprio bisogno di inventarne dell’altro.

3 commenti

  • 1 Sergio Ravaioli
    30 Marzo 2009 - 12:43

    Un progetto si differenzia da un sogno perché basato su disponibilità di risorse, sua accettazione da parte del contesto, tempi di realizzazione definiti e una direzione dei lavori che sappia coordinare i vari attori. Ciò nonostante anche alcuni progetti falliscono, con conseguenze tanto più dannose (costose) quanto più si tarda a prendere atto degli errori.
    La sinistra, a mio avviso, tarda in modo imperdonabile a rendersi conto che il suo cosiddetto “progetto politico” non è un progetto ma solo argomento per i talk-show televisivi (sempre meno seguiti) e come veicolo per garantire ad alcune persone (sempre meno) i privilegi della casta.
    Detta in termini classici: la sinistra da troppo tempo non produce trasformazione. Con le sole analisi si possono costruire carriere universitarie (campo di reclutamento preferito dall’attuale sinistra) od anche individuali carriere politiche, ma non si produce trasformazione.
    E chi ha bisogno di trasformazione per uscire da una condizione di difficoltà ha abbandonato la sinistra (dopo averci creduto per 50 anni e più), anche se per seguire pifferai che non risolveranno alcunché.
    La sinistra, e soprattutto la ex sinistra, dovrebbe convincersi che in Sardegna ci sono le condizioni numeriche per non lasciare il governo in mano alla destra (vedi precedenti interventi su questo blog: solo un Sardo su sei vota PDL). Per trasformare le potenzialità in realtà a mio avviso sono indispensabili due cose, anche se probabilmente non sufficienti:
    1- Rendersi indipendenti dalle organizzazione politiche italiane che, attraverso i plenipotenziari di Roma o di Milano decidono quali sono i candidati che dovranno essere votati dai Sardi. Quindi concorrere a diffondere l’identità nazionale Sarda, come politicamente costruita attraverso il Sardismo nella sua lunga storia democratica.
    2- Saper impegnare se stessa e le Istituzioni in un processo di riforma non solo ordinamentale ma anche gestionale, facendo propri i valori dell’efficienza, economicità e meritocrazia senza per questo abbandonare quelli storici della solidarietà e della partecipazione alle decisioni.
    Non si tratta certamente di cose facili, ma anche le cose difficili si possono fare. Non per nulla la politica è definita come Ars Regia.

  • 2 Marcello Desole
    30 Marzo 2009 - 13:38

    Ravaioli, grazie.

  • 3 Enea Dessì
    30 Marzo 2009 - 19:08

    Caro Maurandi le classi deboli ed emergianate votano Berlusconi. Per quel padre di famiglia che è la televisione non c’è sinistra che tenga. Io abito nel centro nord Italia e ti posso dire che se c’è qualcuno che ha capito la situazione è la Lega. Se ne sono accorti anche Cacciari e Chiamparino: Territorio, territorio, territorio; e per la Sardegna: Sardegna, Sardegna, Sardegna ma non autonomista, bensì sovrana e indipendente. Un grazie anche mio a Sergio Ravaioli

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