Sardegna: protesta dei pastori e deficit nell’innovazione

7 Marzo 2019
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Gianfranco Sabattini

Di recente, sulla crisi del prezzo latte ovi-caprino, Carlo Arthemalle, sindacalista professionale e profondo conoscitore dei problemi dell’Isola, ha pubblicato sul Blog “Democrazia oggi” del 28 febbraio un articolo interessante, dal titolo “Riflessioni sul rapporto tra la pastorizia e la Sardegna”; nell’articolo, Arthemalle rileva, giustamente, come le proteste degli operatori del comparto produttivo ovi-caprino siano state sempre casuali, episodiche, opportunistiche e mai inserite in una prospettiva di azione politica volta a collocare i problemi del comparto all’interno di scelte pubbliche regionali generali ed aperte alle problematiche territoriali. Egli rileva che, dal punto di vista economico, il “peso” esercitato dal comparto sull’economia regionale è molto relativo, se considerato in relazione al suo scarso contributo alla formazione del prodotto interno regionale, e che le sue ricorrenti crisi sono dipese anche dai molti e diffusi deficit organizzativi, propri degli allevatori: scarsa propensione all’associazionismo, mancato spirito innovativo nella conduzione delle aziende di allevamento, poca attenzione nella diversificazione dell’offerta dei prodotti della trasformazione del latte, scarsa dimensione aziendale, ed altro ancora. Sono, questi, i deficit che hanno determinato la bassa competitività delle aziende di allevamento della Sardegna, aggravatasi soprattutto negli ultimi anni, per via delle tecniche di allevamento oggi disponibili a costi di impianto relativamente bassi, che hanno consentito l’acquisizione di una maggiore competitività nella produzione del latte ovi-caprino a Paesi europei tradizionalmente estranei a questo tipo di attività economica.
La considerazione della chiusura degli allevatori regionali verso l’innovazione è uno degli aspetti, forse il più importante, che consente di evidenziare perché la soluzione dei problemi propri del comparto ovi-caprino regionale non possa avvenire attraverso la tradizionale politica regionale, fondata sulla erogazione di provvidenze, utili solo ad affievolire il malcontento strutturale e a porre rimedio alle ricorrenti “jacqueries” con cui gli addetti del comparto hanno teso a conseguire il miglioramento della loro condizione economica e sociale. Occorre, evidentemente, una nuova politica che rappresenti una radicale discontinuità rispetto a quella sin qui praticata; deve trattarsi di una politica innovativa, non più fondata su procedure decisionali centralistiche, ma su nuove procedure, basate su una reale riforma dell’organizzazione dell’impianto istituzionale regionale, che consenta di spostare il centro delle decisioni riguardanti la crescita e lo sviluppo futuri dell’Isola sulla partecipazione al processo decisionale delle comunità locali.
E’ questa la condizione che può consentire il ricupero economico di un comparto produttivo, quale quello pastorale, legato com’è alle specifiche condizioni ambientali dei singoli territori isolani e depositario di un “sapere locale” sulla pratica dell’attività di allevamento da valorizzare nell’interesse dell’intera Isola. Ciò, però, implica un modo di manifestare il disagio economico-sociale degli operatori del comparto completamente diverso da quello irrazionale, col quale sono state effettuate le recenti manifestazioni di protesta. Ciò significa che gli allevatori devono indirizzare in modo differente il senso della protesta; il punto di partenza dovrebbe essere, in linea di principio, la consapevolezza del come si configura oggi la “Questione Sarda”.
La Sardegna ha sperimentato negli ultimi settant’anni una politica di intervento che ha considerato irrilevanti rispetto alla crescita ed allo sviluppo le attività produttive ad effetti diffusivi endogeni, quali sono principalmente le attività tradizionali dell’allevamento ovi-caprino; l’insuccesso di tale politica è dipeso dal fatto che il modello privilegiato di “industrializzazione forte” (basato sulla presunta azione positiva delle famose “cattedrali nel deserto”, ad alto rapporto capitale/lavoro) non ha prodotto gli esiti attesi sul piano economico e su quello sociale, perché ha escluso a priori ogni possibilità che le “cattedrali” avviassero rapporti di interconnessione produttiva con le attività tradizionali della Sardegna. Oggi, il paradigma dello sviluppo locale rappresenta la discontinuità rispetto al passato e alle ipotesi poco realistiche sulle quali sono state pensate ed attuate le politiche d’intervento a supporto di una crescita e di uno sviluppo regionali che il modello di “industrializzazione forte” non è riuscito a promuovere; occorre invece perseguire il superamento dei divari territoriali esistenti nell’Isola, attraverso la valorizzazione razionale delle attività tradizionali, inquadrata in un nuovo modello di crescita fondato sullo sviluppo locale.
Quale prospettiva di azione si offre oggi al movimento di protesta dei pastori per rendere possibile un reale miglioramento della loro situazione, congiuntamente a quello dell’intera comunità regionale? La continuazione delle politiche praticate dai governi regionali succedutisi alla guida della Regione dall’inizio del dopoguerra ad oggi sarebbe una prospettiva debole e problematica, oltre che fallimentare. I governi del passato hanno mostrato di essere affetti da una sorta di “delirio accentratore”, che ha generato un insieme di effetti negativi: mancata creazione di condizioni per un’effettiva politica di crescita e sviluppo dei singoli territori; mancata definizione delle modalità organizzative per il coinvolgimento dei singoli attori locali nella messa a punto delle politiche di crescita e di sviluppo; scoraggiamento di ogni forma di partecipazione responsabile di questi operatori alla formulazione delle politiche pubbliche; mancato rafforzamento della capacità degli attori locali di auto-organizzarsi e scoraggiamento della loro volontà di contribuire a cambiare le condizioni arretrate delle loro comunità.
Per tutte queste ragioni, il movimento di protesta degli operatori del comporto ovi-caprino deve qualificare in senso politico la propria azione, considerando giunto il momento di cambiare l’orientamento dei governi regionali, al fine di inaugurare nuove modalità d’intervento, idonee a rilanciare la crescita e lo sviluppo del sistema economico-sociale dell’Isola in tutte le sue articolazioni territoriali. Deve trattarsi di modalità aperte all’introduzione nell’Isola della pratica dell’allevamento intensivo e di quello stabulato. Le tecniche di allevamento intensivo e stabulato sono oggi largamente praticate in molti Paesi europei, come ad esempio la Spagna, attraverso l’allevamento di greggi di pecore e di capre selezionate.
Le ricerche genetiche condotte in Spagna sugli allevamenti ovi-caprini hanno consentito di selezionare per l’allevamento ovino la “razza Assaf.e”, che si presta ad essere allevata in sistemi intensivi, con ottime performance produttive per tutto il ciclo annuale, poiché si tratta di una pecora resistente ad ogni condizione ambientale con un’altissima produzione lattifera e un’altrettanto alta prolificità. Questa razza consente inoltre, con la sincronizzazione dei parti, la produzione di latte durante tutto l’anno, contribuendo conseguentemente alla sua “destagionalizzazione”. Queste caratteristiche rendono la “razza Assaf.e” perfettamente integrabile con l’allevamento tradizionale praticato in Sardegna, in quanto permetterebbe di colmare i “vuoti produttivi” dei periodi estivo-autunnali e consentirebbe la sostituzione, lenta ma continua nel tempo, della “pecora rustica”, esito di una selezione naturale. L’esistenza di allevamenti intensivi, gestiti su basi cooperative, con soggetti della “razza Assaf.e” potrebbe essere utilmente combinata con la conservazione di greggi composte da soggetti rustici, in numero proporzionale alla resa dei terreni comuni marginali destinati a pascolo.
Un interesse particolare riveste la tecnica dell’allevamento stabulato delle capre, essendo oggi la crescita della domanda di prodotti caprini supportata dal fatto che il latte di capra è quello che si avvicina maggiormente al latte materno umano; la possibilità di localizzare in Sardegna gli allevamenti caprini stabulati (peraltro già in fase di rapida espansione) consentirebbe di compensare l’attuale momento di profonda crisi del comparto ovino-caprino. Le ricerche condotte in Spagna hanno evidenziato che la capra di razza Murciana è quella che meglio si presta ad essere stabulata, perché in questa particolare condizione di allevamento presenta le migliori performance di produttività in termini quanto-qualitativi. La stalla stabulata consente le migliori soluzioni tecnologiche dei problemi connessi con la conduzione dell’allevamento caprino, quali il controllo dell’aerazione e ventilazione degli ambienti, la distribuzione computerizzata della razione alimentare, il controllo della salubrità del latte con l’utilizzo di tecnologie informatiche, la verifica in tempo reale delle performance produttive attraverso software specifici. Inoltre, la stalla può essere progettata in modo tale da poter allocare sul terreno un struttura integrata con la produzione di energia fotovoltaica, che permetterebbe all’allevatore di abbattere convenientemente i costi energetici.
In attesa di una riforma di più lungo periodo della politica regionale, per promuovere la diffusione delle tecniche avanzate di allevamento sarà necessaria nell’immediato una maggior diffusione dello spirito cooperativistico, da realizzarsi, non solo attraverso la costituzione di cooperative di allevatori, ma anche attraverso l’integrazione dell’attività di produzione del latte con quelle di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti. Sarà anche necessario attuare dei “progetti-pilota”, per facilitare l’accettazione nelle comunità pastorali di una cultura dell’innovazione, rispetto alla quale, sinora, è sempre prevalso un atteggiamento di chiusura.
Tutto ciò, però, richiederà che il quadro normativo regionale esistente cessi d’essere orientato al sostegno delle forme tradizionali con cui sono praticate le attività di allevamento ovi-caprino; in particolare, dovranno essere sostenuti gli operatori giovani, quelli maggiormente in grado di contribuire ad allargare il processo di diffusione (peraltro, come si è detto, già in atto) delle nuove tecnologie di conduzione degli allevamenti. Solo così, un comparto produttivo, sinora considerato residuale, può diventare una componente importante di una nuova politica di crescita dell’Isola, fondata sulla prevalente valorizzazione delle risorse presenti nelle sue diverse articolazioni territoriali.

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