Catalogna: la repressione chiama gli indipendentisti alla mobilitazione

15 Ottobre 2019
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Mano pesante sella Corte suprema sui leader separatisti catalani. 13 anni a Junqueras. Emesso anche nuovo mandato d’arresto internazionale per Carles Puigdemont. Junqueras è il leader del partito Esquerra Republicana ed era il vice del presidente catalano Carles Puigdemont. Questi dall’esilio in Belgio, ha definito la sentenza una “barbarie”. La sentenza, emessa dal giudice Manuel Marchena, arriva dopo il processo iniziato lo scorso febbraio per le vicende legate al referendum indipendentista del 1 ottobre del 2017. I leader indipendentisti sono stati riconosciuti colpevoli di sedizione e appropriazione indebita, ovvero di attacco all’ordine pubblico. Escluso il reato più grave quindi, quello di attentato alla Costituzione spagnola (art 472 del codice penale), che era chiesto dalla Procura e prevede tra i 16 e i 25 anni di carcere. Pene di 12 anni per gli ex ministri Raul Romeva, Jordi Turull e Dolors Bassa, mentre gli altri due ministri Josep Rull e Joaquim Forn a 10 anni e mezzo. Turrul in un post su Twitter ha scritto in catalano: “Viva la Catalogna libera”.
Questa sentenza non fa che riaccendere lo scontro che sembrava sopito. E’ vero che il giudic è la vox legis, la voce della legge, che è tenuto ad applicare, ma i codici contengono molti marchingegni che consentono di mitigare o elevare le pene a seconda delle situazioni. Qui, trattandosi di una questione politica fra l’altro annosa, si doveva decidere se dare un segnale distensivo o se se intimare un monito severo. Si è scelta questa seconda strada, che tuttavia non pare la più ragionevole.
E infatti la reazione è stata immediata e ferma. “Non ci fermeranno fino a quando non raggiungeremo finché non annulleremo tutti gli effetti della repressione e respireremo la libertà”. Lo ha detto il leader catalano Carles Puigdemont in diretta Facebook da Waterloo, in Belgio. L’ex presidente della Generalitat ha inviato i catalani ad una nuova mobilitazione anche in vista delle elezioni del 10 novembre. “Non c’è altra via che un nuovo referendum nel quale possiamo dire ciò che vogliamo e come lo vogliamo. Devono sapere che non accettiamo una soluzione basata su repressione e condanne”, ha detto.
Un appello al quale gli indipendentisti hanno subito risposto. Immediatamente dopo l’annuncio delle pesanti condanne, infatti, a Barcellona sono iniziate manifestazioni e mobilitazioni di protesta. Gli studenti universitari hanno interrotto le lezioni e dai diversi atenei della città sono partiti cortei diretti a Plaza Cataluna. Sono in corso altre iniziative spontanee nella città catalana, dove l’appuntamento principale è stato dato, da sindacati, partiti ed associazioni, a Plaza Sant Jaume, dove si trova la sede della Generalitat, il governo autonomo della Catalogna. “Dimostramo all’Europa ed al mondo il nostro rifiuto delle sentenze”, dicono i manifestanti. Disordini si sono registrati soprattutto all’aeroporto dove la polizia catalana in assetto anti-sommossa, i Mossos de Esquadra, ha usato i manganelli per respingere la folla che si stava dirigendo dall’uscita della metropolitana al terminal principale. La linea delle metro che porta allo scalo è stata interrotta. La folla, però, non si è fermata: ha invaso le strade per marciare in direzione dello scalo internazionale.
La tensione tra Madrid e Barcellona è tornata ai livelli di due anni fa. E infatti il premier spagnolo Pedro Sanchez ha commentato la sentenza predicando calma: “Abbiamo bisogno di aprire un nuovo capitolo basato sulla coesistenza pacifica in Catalogna attraverso il dialogo nei limiti della legge e della Costituzione spagnola – ha detto – Nessuno è al di sopra della legge e in Spagna non ci sono prigionieri politici ma piuttosto alcuni politici in prigione per aver violato leggi democratiche”. Un invito al dialogo, senza vera apertura.

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