Coronavirus: disciplina sì, ma occhio alla Costituzione

20 Marzo 2020
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Andrea Pubusa


Col Coronavirus torna d’attualità la questione della costituzionalità dei decreti del presidente dell Consiglio. Conte dispone limitazioni delle libertà individuali e collettive con suo decreto. Ma è corretto tutto questo? Non è esente da dubbi di legittimità costituzionale? E’ un lusso porsi questi interrogativi nella grave situazione attuale? Pasquino  si domanda se un’emergenza di lunga durata accompagnata dalla costante presenza di un solo decisore politico, non possa costituire un pericolo per la democrazia. E osserva: “cittadini-elettori abituati al fatidico “uomo solo al comando” potrebbero affidarvisi anche una volta che l’emergenza sia terminata”.  Dal canto suo Marco Olivetti in un articolo sull’Avvenire dei giorni scorsi evidenzia il rischio di cadere nello “stato di eccezione”, nella sospensione delle libertà fondamentali.  E mette in luce come lo stato di eccezione sia sempre presente negli ordinamenti civilizzati, fin dai romani, che facevano ricorso alla Dittatura  “in situazioni di pericolo per la Repubblica, introducendo in quel caso una figura giuridica – il dictator, appunto – che per sei mesi sostituiva i consoli“. In epoca più recente non fu sulla possibilità dello stato di eccezione che s’infranse la bella Costituzione di Weimar?
Interrogativi comuni a tanti costituzionalisti da Flick a Pertici, e (ben riassunti da  Riccardo Mastrorillo) e una comune considerazione sintetizzata così da Pasquino: “terminata l’emergenza e sconfitto il coronavirus ci saranno molte scelte difficili da fare. Si dovrà stilare una scala di priorità. Risorse scarse dovranno essere motivatamente assegnate a attività da privilegiare. Non basterà l’autorevolezza di un uomo solo. Soltanto una società che abbia mantenuto l’attenzione alle regole, alle procedure, alla necessità di un confronto potrà agire in maniera soddisfacentemente democratica. Meglio riflettervi già adesso“. Insomma, senza allarmismi, manteniamo l’occhio vigile sulla nostra già troppo maltrattata Carta.
Vediamo più in dettaglio la questione. L’assemblea costituente ha negato la possibilità di dichiarare lo stato d’eccezione nel nostro ordinamento. Nel corso dei lavori preparatori della Costituzione fu proposto dall’on. Crispo un articolo secondo il quale “l’esercizio dei diritti di libertà può essere limitato o sospeso per necessità di difesa, determinate dal tempo e dallo stato di guerra, nonché per motivi di ordine pubblico, durante lo stato d’assedio. Nei casi suddetti le Camere, anche se sciolte, saranno immediatamente convocate per ratificare o respingere la proclamazione dello stato d’assedio e i provvedimenti relativi”. Questo testo, benché accolto dalla Commissione che aveva predisposto il progetto, non fu mai posto in votazione e non entrò quindi a far parte della Costituzione: è pertanto manifestamente inaccettabile la tesi secondo cui esso potrebbe trovare egualmente applicazione. La Costituzione contiene invece all’art. 78 la previsione dello stato di guerra esterna, che è deliberato dalle Camere le quali conferiscono altresì al governo i poteri necessari. Ne deriva - ha osservato un autorevole costituzionalista come Alessandro Pizzorusso - che una dichiarazione di ’stato d’assedio’ avente una portata del tipo di quelle che si ebbero durante la monarchia costituzionale o di quelle previste da ordinamenti di altri paesi non è ipotizzabile in Italia e che le situazioni che potrebbero giustificare provvedimenti siffatti debbono essere fronteggiate con provvedimenti ordinari, a cominciare dai decreti legge, disciplinati dall’art. 77 della Costituzione e dall’art. 15 della legge del 23 agosto 1988, n. 400, i quali non possono peraltro derogare alle norme costituzionali che garantiscono i diritti fondamentali di libertà e la forma di governo attualmente vigente. E, se merita attenzione la tesi secondo la quale l’art. 78 potrebbe venir applicato a situazioni di emergenza del tipo di quelle derivanti da una guerra esterna ma dovute ad altre cause (come oggi il Coronavirus - n.d.r.) , sembra per contro comunque certa la competenza del Parlamento ad adottare ogni decisione definitiva in proposito.
Quindi, si può osservare che se la sospensione delle libertà non è ammesso in caso di guerra a maggior ragione non lo è in caso di pandemia.
Il Governo italiano, in questi giorni, ha considerato la situazione di emergenza generata dal coronavirus come un evento igienico–sanitario idoneo a far scattare l’apparato della Protezione civile e ha dichiarato a tal fine lo stato di emergenza sanitaria. In conseguenza, ha adottato un decreto legge (il n. 6 del 2020), che ha individuato una serie di interventi limitativi delle libertà e di altri diritti fondamentali e ne ha rimesso l’attuazione a decreti del Presidente del Consiglio dei ministri. In questo quadro, tre dpcm (sigla che, appunto, indica i decreti del Presidente del Consiglio) si sono susseguiti in pochi giorni, per far fronte all’emergenza. Manca l’intervento del Parlamento. Con il sistema attuale il Presidente del Consiglio viene di fatto abilitato a stabilire quali limitazioni dei diritti fondamentali possono essere adottate. Uno schema problematico proprio per l’assenza di una base legislativa.
C’è un’elusione del principio di legalità. Il decreto legge  autorizza limitazioni assai invasive ai diritti fondamentali, ma lo fa in modo generico, sicché tutte le regole sono delegificate, in quanto il loro contenuto è rimesso a decreti del Presidente del Consiglio. Questi ultimi sono sottratti a qualsiasi controllo preventivo, dato che non sono emanati dal Presidente della Repubblica (come decreti legge e regolamenti) e non sono sottoposti a conversione in legge come i decreti legge e quindi non sono soggetti a esame successivo delle Camere. Il Presidente del Consiglio diventa quindi il temuto “uomo solo al comando”, abilitato a stabilire effettivamente quali limitazioni dei diritti fondamentali possono essere adottate. Questo schema appare costituzionalmente problematico perché il principio di legalità richiede che tutti gli atti degli organi politici e amministrativi abbiano un loro fondamento specifico nella legge, espressione della rappresentanza parlamentare. Occorre, dunque, che la strumentazione per le situazioni emergenziali coniughi le esigenze di efficacia con soluzioni procedurali più compatibili con la struttura costituzionale italiana. Per esempio una legge che dichiari l’emergenza igienico sanitaria e indichi precisi principi e direttive al governo, sul modello del decreto legislativo.
Per l’attuazione di interventi di emergenza si assume a riferimento la legge sulla protezione civile (n. 225/1992). Ma anche questa è problematica. Essa ammette che si provveda “anche a mezzo di ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente, e nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento giuridico”. Tali ordinanze “devono contenere l’indicazione delle principali norme a cui si intende derogare e devono essere motivate.” Esse, infine, “sono pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, nonché trasmesse ai sindaci interessati affinché vengano pubblicate” nell’albo pretorio dei comuni.
Come si vede, colpisce anzitutto il potere di deroga delle leggi sulla base di atti amministrativi. Le legge che prevede queste ordinanze, infatti, non contiene e non può contenere principi specifici sulla situazione che non è in atto nè è prevedibile nelle sue caratteristiche. Viene violato, dunque, il principio di legalità, che - si ripete - richiede vincoli legislativi specifici e puntuali. Tuttavia, si deve subito considerare che le “ordinanze in deroga ad ogni disposizione vigente” “devono essere adottate “nel rispetto dei princìpi generali dell’ordinamento” e, dunque anzitutto dei principi costituzionali. E fra questi ci sono i diritti fondamentali, le prerogative del parlamento e c’è anche quello di autonomia. Dei diritti e delle prerogative del parlamento vale quanto già detto. La deroga con atto di governo che s’imponga anche alle autonomie significa che queste, dichiarato lo stato d’emergenza, non esistono. Non vi sembra troppo? Qui la deroga non è alle leggi, ma alla Costituzione e allo Statuto speciale (che è legge costituzionale). Questo non è ammissibile e non è detto nella legge 225/92. Non a caso di solito si precisa che le ordinanze in deroga devono essere assunte “d’intesa col Presidente della Regione”. E dunque quest’ultimo che deve farsi garante del rispetto della autonomia e della legge regionale e non deve dare l’intesa ove questa glielo vieti.
Discutere di questi temi oggi - come hanno detto tanti, da Pasquino a Flick - può apparire un lusso. Ma attenzione a non fuoriuscire dai binari della legittimità costituzionale e della legalità perché si scade, senza accorgercene, alle “vie di fatto“, ossia si fuoriesce dalla legalità. Ed allora, attenzione, un potere che si esprime con le vie di fatto è sempre abusivo e pericoloso. Siamo fuori dallo Stato di diritto e dalle garanzie che esso ci offre. Oggi lo si fa per il coronavirus, domani chissà… E poi oggi c’è Conte, democraticamente affidabile, domani chissà! Con certi personaggi in circolazione non c’è da star tranquilli!…Vien da preferire il rischio del contagio!  Su queste questioni non c’è spazio per disattenzioni o pigrizie: dobbiamo essere esigenti.

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