Coronavirus: e se ai virus-vacanzieri applicassimo il codice barbaricino?

21 Marzo 2020
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Amsicora

Squilla il telefono. Minchia, è Bruno! Quel compagno che l’altro giorno mi ha detto che evocare Eleonora o Dante per sanzionare i continentali che hanno pensato di farsi una bella vacanza nelle nostre spiagge è antistorico. Uffa! Cosa vorrà ora? Sto leggendo i giornali… “Pronto, Bruno!” “Come va?“, risponde lui. Dopo gli immacabili “bene, ma ai domiciliari“, “potrebbe andar peggio” oppure “non ci possiamo riunire neanche all’Anpi”, “non ho neanche un cane per saltare fuori di casa tranquillo…” e simili, mi dice a bruciapelo: “Secondo te, come mai al Nord il coronavirus impazza?“. “Che ne so“, faccio io, “non sono un esperto e sono molto preoccupato“. E lui, secco: “ci vuole poco a capirlo“. “Beato te!, boh, ho la sensazione che non ne capisca niente nessuno“. E lui, didattico: “Come mai in Cina non ci sono più infetti“. “Beh, lì hanno bloccato ermeticamente tutto e tutti, il virus lo hanno isolato e paralizzato“. “E allora?“, prosegue lui, col tono che si usa coi bambini scemi. “Senti, Bruno, non so cosa risponderti, ti ho già detto che la situazione mi preoccupa, mi sembra sfuggita di mano“. E, per svincolarmi, gli giro la domanda: “e tu come lo spieghi?“. “Semplice - fa lui, sicuro - i cinesi hanno seguito le istruzioni in modo ferreo e si sono bloccati. I lombardi, i veneti, gli emiliani e un po’ i piemontesi se ne sono fregati. Secondo loro le disgrazie toccano agli altri, a quegli sfigati e pelandroni di meridionali. Ai nordici, che sono il meglio di tutti, non può succedere nulla. Questo hanno pensato. E così hanno continuato a girare e farsi i fine settimana alle montagne o al mare e a spargere e prendere il virus da ogni parte. Hai capito perché Fontana si è incazzato? Perché finalmente ha capito che i suoi corregionali sono un po’ callonis“, sono indisciplinati. “E sì forse  - bofonchio - è come dici tu, con lo stesso spirito sono scesi in massa nelle seconde case al sud e in Sardegna“.
Mai l’avessi detto! Ecco che torna sull’argomento: “
Beh, Amsicora, hai pensato a un’altra sanzione applicabile a questi egoisti presuntuosi? Una pena tutta sarda, s’intende“. Ahimè!, in effetti non ci ho rifllettuto e cerco di scansare: “con tutto quello che sta succedendo al nord, ti sembra che dobbiamo continuare a pensare a queste cose? Sarebbe meglio lasciar perdere, in fondo stanno già pagando duramente, poveracci…“. Ma Bruno insiste: “buttiamola sul culturale, tanto tempo ne abbiamo“.
Bruno, in fondo, ha ragione, ai domiciliari tempo per cazzeggiare ce n’è a iosa. Bisogna pur alleggerire la mente! E così, lì per lì, mi viene  una pensata e gliela comunico, tra la proposta e la domanda: “
si potrebbe applicare l’ordinamento barbaricino“. E Bruno: “beh siamo sempre un po’ a su connottu, ma già va meglio“. Meno male, penso fra me e me, gli propino due cosette con aria professorale e torno a leggermi i giornali. Ma ora viene il bello devo declinargli sui due piedi l’applicazione delle regole dell’ordinamento barbaricino alla fattispecie. Con tono tronfio: “Vendetta, caro Bruno, niente di più, ma niente di meno  che vendetta“. E gli sciorino i fondamentali. Per il barbaricino è un dovere, se non si vendica, una volta offeso, non è uomo, risulta inaffidabile alla sua comunità, alla sua famiglia, infedele al suo stesso sangue, alle sue amicizie, a tutte le fondamentali ragioni della sua stessa esistenza, non è un balente, non è capace di farsi valere, est unu remitanu, un miserabile, un uomo privo di onore. Per questa sua debolezza non merita rispetto, può essere offeso. Può essere oggetto di satira sociale, di stalking, diremmo oggi. Se non vuole lui una sanzione sociale così severa, deve disporsi a lanciarsi contro il nemico  “a su inimigu parare“, è un portato di una legge morale dei sardi.
Bruno sembra interessato e compiaciuto, sto toccando le sue corde con questo richiamo identitario, e chiede, curioso: “e in cosa consisterebbe in questo caso la vendetta?”.  E io con tono saccente: Beh, la vendetta dev’essere proporzionata e prudente. La sanzione non deve arrecare un danno maggiore, ma analogo a quello fatto”. “Bene“, dice Bruno, “mi piace, risponde al senso di giustizia dei sardi. E allora come li puniamo? Come bilanciamo severità e prudenza?“. Ed io con aria sentenziosa: “loro son venuti dae su mare, senza mettere in conto che potevano infettarci; hanno egoisticamente pensato solo a se stessi, individualismo allo stato puro, assoluta mancanza di solidarietà”. “Parole sante, caro Amsicora - dice Bruno dall’altro capo del filo -, in antico si diceva “furat su chi benit dae su mare“, oggi mettono a rischio la nostra salute. E allora come li puniamo alla sardesca?”.  E io riprendo il tono salomonico: “Direi che la vendetta adeguata è  il contrppasso: li assegnamo agli ospedali sardi dove ci sono infettati, li mandiamo lì a svolgere funzioni di servizio e di assistenza“. E Bruno, manifestamente soddisfatto: “Va proprio bene, un bel contrappasso contro il loro egoismo iniettiamo una bella dose di altruismo, una bella lezione! Ma in Sardegna siamo pochi gli infettati, molti virus-vacanzieri rimarranno inutilizzati…“. “Neanche per sogno! - rispondo pronto - gli altri li mandiamo negli ospedali del loro Comune di residenza, lo ha detto anche Fontana: lì serve gente. Che te ne pare?“. “Va benissimo“, risponde Bruno, entusiasta. Tiro un sospiro di sollievo. Meno male! Questa storia mi ha già preso molto tempo, mi ha rotto. Anche se, a pensarci bene, questi virus-vacanzieri l’han fatta proprio grossa. Con la loro superficialità e supponenza hanno fatto dilagare il virus in casa loro e lo hanno esportato anche al sud. Chissà se l’hanno capito.
Saluto Bruno e riprendo i giornali… a lui non l’ho detto: secondo il codice barbaricino l’offesa dev’essere vendicata, ma c’è un’eccezione, si può rinunciare per un  superiore motivo morale. E io mi appello a questo. A Bruno no, ma a voi posso confidarlo: rinuncio.

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