Scuola. E se il futuro ri-partisse dai diritti?

20 Aprile 2020
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Caterina Gammaldi del CIDI Nazionale

Scalpita il mondo economico e produttivo chiedendo la riapertura delle attività  e non si interroga sui diritti costituzionalmente garantiti senza i quali non ci può essere sviluppo. Parlo del diritto al lavoro, alla salute, all’istruzione in sicurezza,  oggi decisamente compromessi. Parlo di quei diritti che i Padri e le Madri costituenti considerarono fondamentali per ricostruire il paese dopo l’esperienza tragica della guerra e la liberazione dal nazifascismo. Sommessamente quei diritti sono per chi ha oggi la responsabilità politica gli ambiti su cui è indispensabile intervenire, ricostruendo le condizioni del vivere comune.
Non ho competenza per analisi complesse. So da ex insegnante che la dignità del lavoro, un sistema pubblico nazionale che garantisca la salute e la conoscenza a tutti i cittadini, nessuno escluso, è necessario oggi come allora a chi vive nel nostro paese. Penso che abbiamo tutti sottovalutato i rischi e lasciato vivere la privatizzazione del pubblico, con sofferenza soprattutto dei più fragili che hanno diritto alle medesime condizioni per vivere in dignità.  La perdita del lavoro di tanti, i contagi e i decessi dei più deboli e di quelli che se prendono cura, i senza scuola dovrebbero farci riflettere sulle nuove/vecchie disuguaglianze a cui non si è posto rimedio e che solo ora sembrano emergere e chiedere voce. Invece…
In assenza di una dimensione progettuale nel medio e lungo periodo, sappiamo dai quotidiani e dalla Tv che sono allo studio misure che dovrebbero permettersi di convivere con Covid 19 nei mesi prossimi. Stando alla scuola, che è lo specifico si cui ho qualche competenza,  non riaprirà entro il 18 maggio, né dopo. Già si parla per la scuola di settembre 2020, dei primi mesi del nuovo anno scolastico in cui sarebbe necessario il “recupero”, di una DaD assicurata dagli insegnanti nella nuova fase, ove non fosse possibile praticare una didattica in presenza, di turni a garanzia del distanziamento sociale.  Si dice che devono essere messe in sicurezza le “diverse età della scuola” (scuola dell’infanzia, primaria, secondaria di primo e secondo grado) e intanto si studia i un piano di innovazione tecnologica, estraneo a una riflessione sul fare scuola, che investe sulla presunta supremazia dei dispositivi elettronici e sulla  descolarizzazione della società.
Una ipotesi che, se concretizzata, non garantirebbe nessuno, né chi apprende, né chi insegna, né un paese democratico che ha bisogno di cittadini competenti e consapevoli.  Personalmente ho in mente, ancora una volta, senza retorica, un progetto di scuola secondo Costituzione che ha bisogno di essere sostenuto dal mondo della politica e  cultura, da tutti i cittadini, anche da chi non ha figli in età scolare come avrebbe detto Tullio De Mauro.
Invece non un sussulto quando si parla di completare il programma, di interrogazioni, di esami e di voti on line, dimentichi che la stagione dei Programmi si è conclusa dettando alle scuole Indicazioni nazionali per la costruzione del percorsi curricolari in autonomia.
Prevale un’idea di scuola selettiva, definita “rigorosa e seria”, resa possibile dalla DaD.  Che ne è della cura e della relazione educativa, del processo di insegnamento-apprendimento? Della costruzione delle conoscenze nell’interazione, dell’inclusione, della centralità del soggetto che apprende? Rimangono invisibili i bambini più piccoli, quelli della  scuola dell’infanzia, della scuola primaria, gli adolescenti delle classi di passaggio, gli studenti in situazione di disabilità o con bisogni educativi speciali.  Del tutto assente il tema della qualità dei contesti educativi, a misura di apprendimento.
Eppure i dati disponibili sul sistema educativo sono tanti (Invalsi, OCSE, Scuola in chiaro…), dati che potrebbero aiutare i decisori politici a capire  di che cosa ha davvero bisogno la scuola  per guardare al futuro con gli occhi di chi si trova in una situazione di apprendimento formale  o nei servizi educativi destinati alla prima infanzia così difformi sul territorio nazionale.
In questa situazione penso che il tempo presente potrebbe essere propizio per gli adulti che  hanno la responsabilità culturale e politica, per ricostruire un bene comune – l’educazione per tutti e per ciascuno - a partire dalle condizioni date, in primis quelle strutturali.
Penso spesso a chi è o a chi dovrebbe essere in situazione di apprendimento formale e non va a scuola o si perde, al tempo sottratto agli studenti, bambini e adolescenti e vorrei essere capace di dare risposte di senso per questa fase e per quella che verrà.  Ci provo avendo nella mente e nel cuore le strutture, l’ordinamento, l’apprendimento e la didattica che conosco.
Negli ultimi anni i dati disponibili hanno  segnalato che la scuola si è impoverita.  Considerata una spesa, non un investimento, anche quando apparentemente le sono stati destinati  fondi per nuove assunzioni, per la formazione degli insegnanti, per l’edilizia scolastica, per ambienti di apprendimento tecnologici.. Scelte legislative che negli ultimi venti anni hanno contrapposto governi di centrodestra e di centrosinistra, portatori di visioni di scuola, in qualche caso pensate  esclusivamente per contenere la spesa pubblica. Una scelta che ha portato con sé la  riduzione del tempo pieno nella scuola primaria e del tempo prolungato nelle scuole medie, la saturazione delle cattedre a diciotto ore, la sostituzione del team con il maestro unico - prevalente, in realtà una sommatoria di insegnanti a cifra individuale, il ritorno al voto. Non il team, né il modulo, non il laboratorio, non la collegialità, non l’unitarietà. Lo stesso obbligo di istruzione elevato a 16 anni é risultato una farsa, stante l’ordinamento della scuola superiore, frantumato in indirizzi con una apertura di credito sul terreno dell’obbligo a una formazione professionale inadeguata. Quando si poteva dare concretezza a un diverso modo di pensare l’ ordinamento si è preferito frantumare, riducendo  la portata di alcuni insegnamenti senza i quali è difficile dare compiutezza alle competenze culturali di cittadinanza attese in una società in continua trasformazione, complessa.
Oggi, di fronte alla prospettiva di una ripartenza nelle condizioni date, esprimo serie preoccupazioni se ad esempio  i metri quadri disponibili per un gruppo-classe sono insufficienti, se si continuerà a lesinare sugli spazi e sui tempi necessari per l’apprendimento, se l’impianto curriculare rimarrà legato alla quantità degli argomenti svolti.
Se a questa generazione non saranno assicurate le condizioni strutturali e culturali per rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che impediscono l’uguaglianza sostanziale non so di che cosa parliamo.
Se l’unica misura proposta sarà quella di garantire  il distanziamento sociale, nello specifico assai difficile da praticare, mi sembra che non  si possa ripartire in sicurezza. .
Sono ancora molte le scuole senza un cortile,  un giardino,  un locale mensa idoneo a vivere insieme l’esperienza del pranzare insieme, una palestra. La scuola delle cinque/otto ore seduti nel banco è ancora molto praticata. Ironia della sorte assomiglia, nonostante la generosità e la competenza degli insegnanti, al  tempo di clausura  in cui oggi si è costretti a vivere restando a  casa. Occorre allora ripartire dagli spazi e dai tempi disponibili per renderli funzionali al dopo l’emergenza. Forse è l’unica risposta possibile alle mille domande che i bambini e i ragazzi si fanno e ci fanno. Noi sappiamo da adulti quante scuole sono state svuotate per effetto della denatalità  e del dimensionamento. Un bene pubblico in rovina o inutilizzato su cui tanti Enti locali avevano investito negli anni 60 – 70.. Soprattutto sappiamo quanti comuni hanno perso l’unico luogo in cui praticare cultura e democrazia per effetto di operazioni  di dimensionamento davvero inopportune. Forse queste strutture possono oggi rivivere per una nuova sfida: l’alfabetizzazione culturale necessaria per vivere consapevolmente questo tempo e il futuro. Nel contempo dovremo garantire una volta per tutto l’obbligo a scuola almeno fino a 16 anni e rinunciare una volta per tutte a dividere gli adolescenti  fra i tanti indirizzi, proponendo  esiti difformi che fanno proprie le differenze sostanziali esistenti fra gli studenti d i licei e degli istituti tecnici e professionali. Bisognerà poi  scegliere  nel futuro con determinazione una scuola obbligatoria per tutti almeno fino a 18 anni e mettere in sicurezza i percorsi formativi successivi. Non possiamo garantire una istruzione a tempo. Sono tanti gli adulti che necessitano di un rientro nel sistema formativo per  convivere con la flessibilità, la precarietà del lavoro, la disoccupazione. Sono indispensabili spazi e tempi per un sapere che non lasci indietro nessuno.
L’apprendimento a scuola è bene ricordarlo, vive, a tutte le età, nella cura e nella relazione educative, un approccio costruttivo che nelle migliori esperienze  ha segnato i percorsi di insegnamento/apprendimento. Nella situazione data mi è difficile immaginare la dimensione curricolare e laboratoriale insieme, che richiede di posizionarsi sui soggetti, sul problema, di formulare ipotesi, prospettare soluzioni, nella faticosa esperienza  che mette insieme un adulto e chi apprende. Una modalità  quella dell’apprendimento in situazione che non può essere sostituita da una lezione, anche efficace,  a distanza. A chi insegna è ancora una volta richiesto una sapiente scelta di contenuti, non di argomenti e decisione, per  sollecitare, con un alto grado di intenzionalità formativa, una conoscenza agita, ovvero una competenza.
Il tempo presente non può più farne a meno se il fine ultimo  é un nuovo umanesimo in cui sempre più vivremo inquieti nell’incertezza. Vivere nel dubbio richiede ancora una volta un uso sapiente del sapere disciplinare in senso formativo, strumenti per comprendere il mondo.  Mi preoccupa l’invasione di campo di soggetti diversi in sostituzione degli insegnanti e del sapere della scuola, si chiamino essi canali televisivi, volontariato, educatori. Se vanno garantiti traguardi di competenza per tutti bisogna mettere al riparo l’essenziale.
Torniamo pure a parlare di didattica, ma nella sua dimensione  originaria, senza rinunciare al tempo della scuola che è tempo di vita.

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