Il 25 aprile è fondamentale per l’Italia democratica, anche per il futuro prossimo venturo

27 Aprile 2020
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Alfiero Grandi

Il 25 aprile è una data fondamentale dell’Italia democratica e repubblicana. La sconfitta del nazifascismo dovuta agli alleati e alla Resistenza italiana, che ha riscattato la vergogna del regime fascista, che aveva portato il nostro paese in guerra a fianco dei nazisti, è una data da ricordare oggi più che mai. L’orgoglio della vittoria del 25 aprile del 1945 deve vivere nella coscienza delle persone tanto più ora che si ripresentano tentativi negazionisti che cercano di mettere sullo stesso piano chi era dalla parte giusta e chi stava dalla parte sbagliata. La pietà per i caduti è una cosa, la negazione della verità è una menzogna, che in realtà punta a tentativi di riabilitazione e rinascita neofascista. Senza dimenticare che dalla Liberazione, il 25 aprile 1945, è nata la fase politica costituente della nostra democrazia, il cui architrave è la Costituzione entrata in vigore il 1 gennaio 1948, che sancisce i principi di fondo della nostra convivenza politica e sociale, la cui importanza dovrebbe essere riconosciuta da tutti con ben altro vigore.  ]…]
La pandemia ha colpito pesantemente la salute dei cittadini italiani e ha portato ad un numero di morti altissimo e non è finita, a cui si aggiungeranno quelli per ora catalogati diversamente perchè sono morti nelle residenze per anziani. Il commissario Arcuri ha ricordato che nei 5 anni della seconda guerra mondiale a Milano morirono 2000 persone sotto i bombardamenti, mentre finora in Lombardia ne sono morte già 12500. Le conseguenze economiche di questa pandemia sul nostro paese sono enormi: disoccupazione, povertà in rapida espansione, redditi evaporati, imprese chiuse, attività economiche in ginocchio. Per questo l’Europa è di fronte ad una prova decisiva. Diversi paesi hanno avuto conseguenze pesantissime dalla pandemia e quelli che hanno deficit pubblici più alti hanno bisogno di un sostegno forte per affrontare una prova così impegnativa. Ha ragione chi ha sostenuto che se l’Europa non riuscisse a dare un segnale di solidarietà e di sostegno a chi più ha bisogno si aprirebbe una fase difficile, che potrebbe finire con il mettere in causa l’esistenza stessa dell’Unione, perché è di fronte a prove come questa che occorre dare risposte all’altezza. La riunione dei capi dei governi europei di giovedi 23 aprile ha segnato dei passi avanti, rendendo disponibili all’inizio di giugno le risorse di 4 filoni di intervento come la Banca europea degli investimenti, come il Sure, come il Mes, meccanismo che era stato immaginato per salvare gli stati in difficoltà finanziarie, e come la Bce la cui potenza di intervento è attualmente la maggiore, ma ha bisogno per funzionare appieno di intrecciarsi con gli altri strumenti e soprattutto con la formula del recovery fund.
Si tratta di 540 miliardi di euro di prestiti europei, disponibili dal 1 giugno, per i paesi più in difficoltà.
Il recovery fund è la mediazione trovata per altri più consistenti interventi a fianco di quelli precedenti, visto che c’è una contrarietà di alcuni paesi agli eurobonds anche nella versione light, tuttavia è un’ipotesi ancora da costruire. Questa volta si è andati oltre la formula pressochè incomprensibile scritta nel documento dell’eurogruppo il 9 aprile scorso. Questa volta si cita esplicitamente il recovery fund, sottolineando che è necessario ed urgente, deve essere forte e rivolto ai settori e alle aree geografiche più colpite dalle conseguenze della pandemia. La proposta è quindi un intervento forte, la cui definizione è affidata alla Commissione europea, visto che il suo finanziamento dovrebbe venire proprio da un uso delle risorse del bilancio dell’Unione. La Commissione europea dovrà definire quindi il volume di intervento ricorrendo direttamente al mercato sulla base del bilancio europeo, che nel frattempo andrà aumentato con il contributo degli stati membri, e quanto verrà dato a fondo perduto e quanto come prestito. La Presidente della Commissione ha parlato di un salomonico 50 e 50. C’è ancora il tempo per comporre tutte le misure in un quadro unitario, almeno di decisioni, tra le disponibilità a breve del Mes, del Sure e della Bei, gli interventi della Bce, che ha reso più forte la rete di protezione con l’accettazione dei titoli a bassa valutazione, e infine il recovery fund.
Se il quadro dei diversi strumenti verrà composto unitariamente potranno essere date le risposte alle varie preoccupazioni in forza dei legami individuati. Altrimenti tutto sarà più complicato.
Il 6 maggio è abbastanza vicino e il consiglio europeo ha ancora il tempo di chiarire quello che per ora non è chiarito. Tuttavia c’è una preoccupazione in questa attesa delle decisioni conclusive dell’Europa. Si rischia una torsione impropria. E’ ovvia la loro importanza, tuttavia questo ci impone di dare risposte chiare a livello nazionale, che non possono essere solo l’attesa delle decisioni europee. Si è detto che dopo la pandemia non ci sarà un mero ritorno al prima, tuttavia questo impone di delineare il dopo, altrimenti ci si affiderebbe alla capacità automatica del sistema che, soprattutto oggi, non sarebbe sufficiente.
Qualche esempio.
C’è bisogno comunque di risorse che vanno prese da chi ha disponibilità per essere messe a disposizione di chi ne ha bisogno e all’interno c’è bisogno di un intervento importante per contrastare il rischio che si allarghi a dismisura la povertà. Una parte sono risorse da evasione, un’altra parte possono essere prestiti, altre ancora sono risorse da recuperare con una tassazione su redditi alti e ricchezze. Scansare l’argomento è un errore. In altre parole occorre mettere mano al sistema fiscale e costruire una diversa modalità di gestione del debito pubblico sul modello tedesco.
C’è bisogno di una guida pubblica per realizzare le innovazioni come gli investimenti pubblici su ambiente, le strutture scolastiche da preparare e sistemare, il territorio. In passato c’era un ministero per la programmazione, oggi chi si occuperà di indicare il quadro degli obiettivi ? Pensiamo ad un punto contenuto nelle conclusioni europee di ieri: dotarsi delle produzioni necessarie nel territorio europeo, oggi decentrate altrove, a partire dalle attrezzature sanitarie. Riportare attività in Italia è una scelta di fondo. Conviene inoltre pensare ad una struttura dedicata al governo unitario delle partecipazioni pubbliche, uscendo da una fase di detto, non detto, di ambiguità. Bisogna decidere cosa serve e attuarlo.
C’è bisogno di identificare i beni pubblici essenziali: strutture di cura, non solo ospedali, rilanciando un Servizio Sanitario Nazionale pubblico, unico e solidale, garantire l’istruzione fino al massimo livello, operare per una vecchiaia serena, sconvolta drammaticamente dalla pandemia, così ambiente, cura del territorio, ecc.
Ci sono anche altri punti come il riordino del settore pubblico con l’obiettivo di ottenere efficacia adeguata, del resto i sanitari che si sono battuti in prima linea contro la pandemia sono il riferimento di impegno e abnegazione necessari.
Quello che conta è prendere coscienza che non possiamo restare solo in attesa della decisione europea, per quanto decisiva. Occorre preparare la ripresa su basi di qualità nuova, per delineare un’Italia diversa e migliore in un’Europa diversa e migliore, più vicina al sogno europeo di Ventotene.

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