Piano per la scuola: si costruisce con chi la rappresenta

27 Aprile 2020
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Caterina Gammaldi

I provvedimenti emanati nei giorni scorsi dal ministro Azzolina, da ultimo la nomina di un Comitato di esperti a cui è stato affidato il compito “di formulare e presentare idee e proposte per la scuola con riferimento all’emergenza sanitaria in atto, ma anche guardando al miglioramento del sistema di istruzione nazionale” meritano di essere analizzati con grande attenzione dal mondo della scuola. Rappresentano possibili scelte che potranno determinare cambiamenti senza ritorno nella costruzione dei contesti educativi dopo l’emergenza.
Pur nella parzialità di un punto di vista non sfugge che, ancora una volta, è eluso il confronto sulle scelte con il mondo che, a vario titolo, rappresenta la scuola. Riorganizzare il sistema scolastico nazionale, ricorrendo ad alcune ipotesi che fanno perno sull’innovazione tecnologica, appare in controtendenza con quanto da più parti (studenti, genitori, insegnanti, dirigenti scolastici, cittadini) è richiamato all’attenzione dei decisori politici.
Sfugge il senso della proposta: un Piano per la scuola si costruisce affrontando temi e problemi irrisolti sia quelli che si sono palesati con l’emergenza sanitaria sia  quelli che si ritiene di dover richiamare in una prospettiva di sviluppo degli ambienti educativi. Non possiamo non dire della rilevanza della didattica in presenza, più complessivamente di un agire educativo che sappia corrispondere alla complessità del nostro tempo.
Una prospettiva che richiama l’attenzione degli adulti, degli educatori in particolare, all’incertezza che governa la vita di chi oggi è in situazione di apprendimento e che domani dovrà costruire relazioni di lavoro, politiche, culturali, professionali.
Nella situazione descritta faccio fatica a capire cosa è possibile prevedere per l’avvio dell’anno scolastico anche perché allo stato attuale la comunità scientifica non si è ancora espressa sulla situazione sanitaria complessiva, se sia stato o meno sconfitto il virus con il suo carico di morti e contagi.
Convivere con il virus sarà possibile se sarà garantita la sicurezza nei luoghi di lavoro e di studio, nei luoghi della socialità e dei consumi culturali e di intrattenimento. Non mi pare che siamo nella condizione di dare risposte che ci mettano tranquilli e ci possano far ritornare a un mondo regolato fino a qualche mese fa dal profitto e dal mercato.
Siamo in una situazione pericolosa in cui si intravedono, per ammissione degli stessi decisori politici, strumenti e scelte che sembrano non tener conto  dei diritti dei cittadini (lavoro, salute, istruzione)
Nello specifico la scuola non rappresenta un ambiente sicuro né a misura di apprendimento per chi lo frequenta. Penso all’insieme degli istituti scolastici - strutture - che, nonostante le ristrutturazioni e gli abbellimenti, sono stati costruiti nel secolo scorso per iniziativa degli enti locali a seguito dell’espansione dei diritti in materia di istruzione. Oggi essi sono spesso inadeguati. Si è preferito, per effetto del dimensionamento, fare scuole di più di mille alunni, centrati sulle classi talora numerose, carenti di spazi comuni e laboratori. In tale situazione non c’è chi non veda che così come sono non possono accogliere gli studenti in momenti alternati, anche riducendo il numero degli alunni per classi.
Temi e questioni che avrebbero meritato altra attenzione e confronto con i soggetti che, a vario titolo, rappresentano la scuola, anzitutto quella che ricerca, sperimenta e riflette e quel mondo - gli enti locali - che garantisce la qualità del sistema scuola sul territorio.
La qualità dei contesti educativi, il miglioramento del sistema nel suo complesso partono da considerazioni parziali sul senso e sulla portata dell’innovazione, rimessa esclusivamente all’esperienza della  DaD, all’innovazione tecnologica, alla valutazione del profitto, alla validità dell’anno scolastico, in buona sostanza alla scuola seria dei voti e degli esami. Scelte sacrosante  fatte in emergenza  rischiano di diventare la quotidianità con la riapertura delle scuole. Non c’è traccia, né intenzione di tener conto dell’esperienza che, sia pure a macchia di leopardo, ha finora accompagnato la comunità professionale nel sostenere gli apprendimenti alle diverse età. Prevale lo sguardo sulla scuola superiore, sulla formazione professionale, e sembrano prospettate scelte che sembrano escludere l’attenzione ai tempi e gli spazi dell’apprendimento formale pensati per i minori, anzitutto nelle diverse età dell’infanzia e dell’obbligo scolastico/di istruzione fino alla maggiore età. Non tener conto dei dati disponibili, documentati i studi e ricerche, cui hanno contributo enti e soggetti diversi, rischia di formulare ipotesi che non tengono conto delle differenze territoriali.
C’è una scuola che ricerca, sperimenta, riflette che non ha voce, vicina al mondo delle associazioni professionali, dei genitori, degli studenti che andrebbe ascoltata, una scuola che ogni giorno si domanda se si può ancora costruire una scuola secondo Costituzione. A meno che non si ritenga esaurita la dimensione curricolare e la didattica laboratoriale, fondate sugli ambienti di apprendimento in presenza garantisce che sia rappresentata  la scuola dei piccoli e quella obbligatoria fino a 16 anni, con una evidente sovraesposizione di una scuola di per sé trasmissiva, ancorata alla selezione, alla competizione Per essere più chiari: la priorità è rappresentata dalle condizioni che si intendono garantire agli studenti che dalla scuola dell’infanzia alla scuola superiore costruiscono il proprio rapporto con il sapere.
Al 4 maggio, con la riapertura delle attività economiche e produttive, i minori vivranno l’esperienza della solitudine e le difficoltà dell’imparare quel che possono usufruendo di quel che sono riusciti ad avere in questi mesi. I genitori non saranno in casa, i nonni non possono garantire presenza e cura. Non si può dire che non si parlerà di scuola fino a settembre. Il problema è ora; inoltre se si pensa di anticipare l’anno scolastico al primo settembre con azioni di ”recupero di debiti” non appare possibile nel primo ciclo. Quali i debiti devono recuperare gli studenti della scuola primaria e secondaria di primo grado, stante una progettazione triennale dell’offerta formativa in capo alla scuola, fondata sul curricolo e non sui programmi?
È davvero serio il problema educativo. Richiede scelte opportune. Spero che in questa situazione nessuno pensi che sarà ricordato per l’ennesima riforma epocale.

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