Verso un consolidamento giurisprudenziale del vigente, discutibile e discusso “diritto dell’emergenza”?

9 Maggio 2020
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Tonino Dessì

Il TAR Calabria ha accolto il ricorso del Governo contro l’ordinanza “riaperturista” della Presidente di quella Regione.
Ho ricevuto il testo ufficiale completo della sentenza n. 841/2020, che, almeno a una prima lettura, se conferma in gran parte le tesi finora da me sostenute, conferma nel contempo anche tutte le mie preoccupazioni su quella che percepisco come una tendenza in atto a eludere l’osservanza più rigorosa della Costituzione.
Per un verso la (fulminea!) sentenza dei giudici di Catanzaro conferma che le Regioni, in base al decreto-legge n. 19/2020, possono adottare esclusivamente provvedimenti più restrittivi di quelli contenuti nei DPCM statali, precisando addirittura che l’aggravamento della situazione locale che consentirebbe tali ulteriori restrizioni non è riferibile rigidamente al confronto con i parametri nazionali, ma può essere prudenzialmente apprezzato in relazione alle particolari, specifiche condizioni di un territorio regionale.
Non possono invece in alcun modo adottare, le Regioni, provvedimenti meno restrittivi in deroga alle disposizioni dello Stato.
Per un altro verso il TAR ha confutato e respinto le argomentazioni di natura costituzionale (non sollevate dalla Regione nè fuori da questo giudizio in forma di conflitto di attribuzioni nè in questo giudizio come eccezione incidentale, tuttavia introdotte negli atti della discussione) relative alla possibile illegittimità costituzionale del decreto-legge e degli atti amministrativi statali (ma anche regionali) conseguenti per presunta violazione delle numerose riserve di legge che la Carta reca in materia di libertà fondamentali.
Il TAR Calabria ha fatto propria la tesi della prevalenza su tutti del principio costituzionale della tutela della salute pubblica e ha ritenuto che, da un lato, il decreto-legge assolva all’onere formale e sostanziale di cui alla riserva di legge, dall’altro che non sia ravvisabile alcuna deroga a detta riserva nell’attribuire, col medesimo decreto-legge, alle autorità esecutive e in particolare al Governo (ma, se conformemente osservanti dei DPCM, anche ai Presidenti delle Regioni) poteri restrittivi delle libertà di movimento dei cittadini e delle libertà economiche dell’impresa.
Come temevo, il giudice amministrativo calabrese sembra avallare più o meno in toto il “diritto dell’emergenza” in atto, sul quale da più parti invece sono state sollevate preoccupazioni che ho condiviso e che condivido tuttora.
Per quanto concerne la Sardegna, se il TAR cagliaritano si orientasse in modo analogo al collegio calabrese, l’ordinanza regionale sarda n. 19 del 13 aprile scorso sarebbe senz’altro fatta salva (a meno che non emerga qualche rilievo sull’incertezza delle forme di espressione dei pareri del Comitato tecnico insediato dal Presidente della Regione).
Ma il paradosso sarebbe che verrebbe fatta salva anche la successiva ordinanza n. 20 emanata il 2 maggio, per il fatto che, pur avendo dato la direttiva ai Sindaci di riaprire anticipatamente alcune attività, condizionatamente all’accertamento di determinati valori di contagio a livello comunale, la generale impossibilità per la Regione stessa di dichiarare per oltre trecentocinquanta dei trecentosettantasette comuni sardi detti valori e l’essersene riscontrati nei pochi casi accertati alcuni superiori al livello minimo, ha finito per far assumere alla nuova ordinanza un carattere di allineamento col DPCM del 26 aprile, o un carattere addirittura più restrittivo.
Il che spiegherebbe (un po’ irridentenente) perché ancora non si hanno notizie di ricorsi del Governo avverso le ordinanze della Regione Autonoma della Sardegna.
Non invidio affatto i Sindaci sardi, davvero.

 

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