Fumo nero dai camini della centrale Sarlux

15 Luglio 2020
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Tonino Dessì

Per giorni l’emissione di un’immensa fumata nera è stata scorta, nella zona industriale di Cagliari, sopra gli impianti della SARAS. Le immagini hanno girato viralmente sui social, a testimonianza di un allarme diffuso.
Infine si è appreso che la nube non era emessa dalla raffineria, ma dalla centrale elettrica Sarlux.
Non so se tutti sappiano di cosa si tratti.
È una delle più grandi centrali di produzione di energia elettrica sarde (sono tre: due private, Sarlux qui e Fiume Santo a Porto Torres; una Enel, la “Grazia Deledda”, a Portoscuso).
Sarlux afferma di essere addirittura la più grande del Mediterraneo, come del resto è la raffineria anch’essa di proprietà della famiglia Moratti (Milano).
Ha una potenza di 570 MW e produce annualmente 4 miliardi di KWH, una quantità pari al 42 per cento dell’energia elettrica consumata in Sardegna.
Buona parte tuttavia entra nella rete elettrica nazionale e nella relativa distribuzione.
La caratteristica principale di Sarlux è che si tratta di una centrale IGCC (Integrated Gasification Combined Cycle), un processo di produzione di energia elettrica tramite gassificazione degli idrocarburi derivanti dalla raffinazione del petrolio.
Per la precisione Sarlux gassifica i residui ad alto contenuto di zolfo (TAR) e altri residui pesanti della raffinazione (peci clorurate, fanghi petroliferi etc.).
È strettamente funzionale allo smaltimento di quei residui, sia perché altrimenti Saras dovrebbe sostenere costi elevatissimi per il loro trattamento e confinamento sia perché da circa un ventennio nemmeno gli oli pesanti (ATZ), che potevano contenere alte percentuali di quei residui, hanno più un mercato: non li acquistano nemmeno nei Paesi più arretrati e in Europa ne è vietato l’uso.
La centrale ha goduto per la sua realizzazione e gode per la sua gestione produttiva di agevolazioni pubbliche, il Cip-6, il cui costo è spalmato sulla bolletta elettrica di tutti gli utenti italiani.
Un “aiuto” pubblico per alleggerire da un gravame la Saras, col corrispettivo di un processo di produzione energetica relativamente più “pulito”, quanto a emissioni e a scarti finali, di quello delle normali centrali a olio combustibile.
Ora, senza addentrarci in ulteriori particolari, proviamo a immaginare il contenuto e la composizione della nube che ininterrottamente è stata sparsa in atmosfera per giorni nell’area cagliaritana in conseguenza del “fermo impianti” causato dall’incidente tecnico infine dichiarato dalla Saras.
Non mi parrebbe affatto un’illazione ritenere che il processo di gassificazione si sia inceppato e che le emissioni in atmosfera derivino, anche solo per fini di “spurgo”, dalla combustione pura e semplice delle materie prime (o meglio, dei residui pesanti di raffineria) aventi la composizione che sommariamente abbiamo descritto.
Il fatto che il sistema di rilevazione delle emissioni non registri valori particolarmente alti (questo dice Saras: però si tratta di autocertificazione, essendo lo stesso sistema sotto il suo controllo) è, se vogliamo, anche più inquietante, perché rivela la dubbia affidabilità del complesso dei controlli e degli autocontrolli.
Infatti l’alto camino e la dinamica dei venti del Golfo cagliaritano hanno consentito da sempre alla centrale di disperdere su un amplissimo raggio le emissioni (vantaggio di collocazione che ha sempre caratterizzato non solo Sarlux, ma l’intera adiacente raffineria e altri impianti industriali, nonchè l’inceneritore di rifiuti Tecnocasic).
Le centraline di rilevamento invece sono collocate su un raggio (gli impianti, l’abitato di Sarroch) molto più piccolo. Rileverebbero alti valori, in pratica, solo se un incidente circoscritto causasse emissioni non smaltibili dai camini.
E infatti non rilevano quasi mai, nella gestione ordinaria, alcunchè di allarmante.
Ma come è ovvio (e come sa, anche solo olfattivanente, chiunque abiti o attraversi il territorio immediatamente prossimo agli impianti), non si tratta di un complesso industriale-energetico di produzione di ossigeno puro.
Spero di aver chiarito le questioni che in questi giorni si sono rivelate in tutta la loro gravità.
In altri luoghi, in circostanze analoghe, sarebbero scattati immediatamente controlli amministrativi e persino indagini di autorità inquirenti.
Qui non se ne ha ancora notizia alcuna.
Penso che se perdurasse l’assenza di notizie su iniziative di procedimenti d’ufficio, la prima cosa da fare da parte dei cittadini dovrebbe essere un esposto-denuncia formale alla Procura della Repubblica.
Sono davvero stanco delle modalità tutte politico-mediatiche con cui anche noi, come opinione pubblica, affrontiamo occasionalmente questa scandalosa situazione.
Io lo sono più di altri: e veniamo qui alla parte amministrativa.
Nel 2005, a seguito di iniziativa legislativa della Giunta su mia proposta congiunta con l’Assessore di allora della sanità, il Consiglio regionale ha istituito l’ARPAS, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente.
Allora eravamo l’unica Regione a non averla ancora istituita.
Ebbene, a distanza di quindici anni, mi chiedo cosa stia facendo, l’ARPAS? Chi la dirige, chi la gestisce, come funziona? E funziona?
Ecco, io porrei intanto da subito, nelle sedi istituzionali competenti, questa questione.
A monte naturalmente resta la questione della sostenibilità di quegli impianti.
Certo, sappiamo che rappresentano il 90 per cento del potenziale produttivo e delle esportazioni di beni dell’intera Sardegna.
Ma non è una buona ragione per garantire loro l’impunità.

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