Giommaria Angioy, ai primi dell’800, pensa a una riscossa in tempi lunghi

6 Novembre 2020
1 Commento


Andrea Pubusa

Indebolito nel fisico e, sopratutto, colpito dall’entità dell disfatta del movimento antifeudale, Giommaria Angioy perde la speranza nell’instaurazione a breve della Repubblica sarda col supporto di un contingente militare francese. L’involuzione della politica napoleonica convince Angioy che bisogna lavorare sui tempi lunghi, lasciando alle generazioni future una elaborazione storico-politica da mettere a base della ripresa della lotta per l’autogoverno dell’Isola. Nasce così agli albori del nuovo secolo lo “Schizzo di un piano d’un’opera concernente la legislazione antica della Sardegna”. E’ uno scritto militante, diretto ai sardi, nel quale Angioy esalta i periodi storici di libertà, corrispondenti anche alla maggiore prosperità dell’isola, e stigmatizza le dominazioni straniere, a partire da quella feroce dei romani.
Venendo all’attualità, Angioy, in certo senso, fa un esame comparato della costituzione formale e di quella materiale della Sardegna a partire dal Trattato fra gli aragonesi e gli arborensi.
L’ex Alternos mette in luce il carattere strettamente cosituzionale del Regno di Sardegna nei rapporti con la Corona. Le leggi fondamentali, immodificabili unilateralemnte dal re perché fondate sui trattati internazionali e, dunque aventi carattere pattizio, garantiscono alla Nazione sarda il potere legislativo, assegnato agli stamenti e alle Corti, da riunire almeno ogni tre anni. In quella occazione le Corti stabiliscono il donativo al re, il quale non può imporre tasse e balzelli e in cambio vengono aggiornati i privilegi e le pregogative dei sardi. Il re ha solo il potere di sanzionare le leggi, mentre il viceré ha una funzione eminentemente esecutiva. La giustizia poi è amministrata da organi sardi con in testa la Reale Udienza.
Questo schema formale subisce sul piano materiale una modifica ad opera del viceré e dell’apparato amministratvo a lui collegato, che operano, in violazione delle leggi, una azione rapace volta all’oppressione dei sardi e al loro arricchimento personale. Ecco così emergere, in luogo dell’autogoverno, un regime incostituzionale di sudditanza che pone i piemontesi in una posizione dominante sulla Nazione sarda.
Angioy attacca senza sconti questo assetto imposto illegittimamente dall’apparato legato alla Corona e individua due rimedi: da un lato auspica che ad un organo costituzionale, ch’egli indica nella Reale Udienza, venga assegnato il potere di garantire il rispetto delle leggi fondamentali e del sistema costituzionale da esse tracciato, dall’altro la eliminazione del vicerè attraverso un governo indipendente, espressione della Nazione sarda. La Reale Udienza, nel pensiero dell’ex Alternos, assume così funzioni simili a quelli delle attuali Corti costituzionali e insieme un potere d’indirizzo costituzionale che richiama quello degli attuali capi di Stato non investiti di funzioni esecutive. Insomma, enuclea l’idea di poteri neutri o di garanzia, destinati ad essere elementi centrali del moderno costituzionalismo.
Certo, si può diacutere della correttezza della ricostruzione storica delineata da Angioy, ma lo scritto è rilevante perché delinea l’elaborazione teorica posta a base del Movimento angioyano, elaborazione che trova un’organica espressione nello scritto divulgativo denominato “L’Achille della sarda liberazione”. Un manifesto senza autore perché frutto di una riflessione collettiva del gruppo d’intellettuali che con Angioy alimentavano il movimento, da Michele Obino a Domenico Pinna, da Gioachino Mundula a Francesco Muroni, da Sanna Corda a Fadda. Un gruppo dirigente d’alto profilo, su cui Angioy puntava per l’autogoverno della Sardegna, anche in caso di instaurazione della Repubblica con l’aiuto delle armi francesi. Un gruppo dirigente su cui, non a caso, si abbattè la repressione terroristica dopo il colpo di mano del 9 giugno 1796 del viceré e dei gruppi moderati sardi in combutta coi feudatari. La deposizione e la messa fuorilegge di Angioy e del suo movimento assume i connotati di un sostanziale colpo di stato alla luce della costituzione materiale che si era venuta enucleando nel c.d. triennio rivolzionario sardo. C’era nell’isola un dibattito pubblico acceso e partecipato. Alle riunioni stamentarie autoconvocate erano stati ammessi rappresentanti dei quartieri popolari cagliaritni e nell’autunno del 1795 perfino esponenti delle comunità impegnate nella lotta antifeudale, Mundula, Sanna Corda ed altri. Gli strumenti di unione delle comunità stabilivano solennemente che non si poteva decidere nulla senza la partecipazione dei delegati delle popolazioni interessate. Si delineava un superamento della rappresentanza per ceti in favore di assemblee generali. Queste regole portarono alla nomina dell’Alternos nella persona di Angioy, e furono sostanzialmente accettate dagli stamenti, dalla Reale Udienza e dal viceré. La destituzione di Angioy e la repressione terroristica e violenta del suo movimento costituiscono una rottura palese del quadro costituzionale materiale. Il leader sardo, nell’immediato, pensa ad una ripresa che illustra nel Memoriale del 1799 al governo francese, ma all’inizio del nuovo secolo è già convinto che bisogna lavorare ad una impresa in tempi lunghi. Da questa convinzione, realistica di un uomo sconfitto, ma non battuto, nasce lo schizzo, un messaggio lanciato alle generazioni future, forse anche a noi.

Nota bibliografica. Lo Schizzo è pubblicato, con un bel commento, nel volume di Mattone - Saba sul Settecento sardo e cultura europea, FrancoAngeli, 2007.

1 commento

Lascia un commento