Signorina? No grazie

3 Settembre 2020
5 Commenti


Stefania Falzoi

Un vezzaggiativo, un’innocente espressione, per alcuni addirittura un modo rispettoso di rivolgersi a un essere umano di genere femminile di giovane età o privo di quel cerchio metallico all’anulare. Una banalità, quindi, una sciocchezza, sulla quale non vale la pena soffermarsi e stizzirsi, da intendere, insomma, come un mero dettaglio di comunicazione. Bene. Rispondiamo quindi alle seguenti domande. Abbiamo mai sentito qualcuno appellare un giovane ragazzo “signorino”? E inoltre, è ragionevole far assurgere a una donna lo status di “signora” solo e solamente a seguito del “traguardo” del matrimonio? Durante i primi anni dell’Università, appena ventenne la maggior parte del corpo docente si rivolgeva a me dandomi della “signora”. All’epoca non ero abituata a una tale denominazione ma debbo dire che in poco tempo mi sono facilmente abituata allo stesso dandolo per scontato al punto che oggi, quando invece mi si prospetta la sua variante vezzosa, è come ascoltare un accordo stonato, una sinfonia dove non vengono rispettati canoni e tempi di esecuzione, come approcciarsi a un’immagine disordinata e caotica. Mi sono chiesta tante volte se forse tutto questo potesse essere un’esagerazione, un’isteria, per usare un’espressione cara agli appassionati di un certo tipo di classificazione folkloristica dei generi,  secondo la quale, quando mostra carattere e consapevolezza del proprio stare al mondo, la donna si palesa come un’insopportabile bisbetica effetta da sindrome premestruale. Mi sono risposta che l’espediente dell’ironia è oggi più che mai quello vincente, un’ironia beffarda e intelligente capace di smascherare, ma soprattutto debellare, la prepotenza e l’accezione avvilente che certe espressioni portano con sé. Ed è l’ironia delle donne sulle donne quella più efficace, come quella di Franca Valeri, che con un garbo senza tempo riesce a trasportare le ragazze della mia generazione nella profondità geniale della sua Signorina Snob.

5 commenti

  • 1 admin
    2 Settembre 2020 - 12:33

    Andrea Pubusa

    Brava Stefania! Simpatiche e centrate le tue osservazioni. Ma mettiti nei panni di un prof., quale io sono stato per quasi mezzo secolo, e dimmi come diavolo avrei dovuto chiamare le studentesse? All’università spesso non si conoscono nomi e cognomi. Se no, si potrebbe chiamare la giovane per nome amichevolmente o più formalisticamente per cognome: “senta Stefania” o “mi dica Falzoi“. Ma se il nome o il cognome è sconosciuto, che fa il prof.? Come appella la studentessa? “Signorina” le giovani “,signora” quelle attempate, a prescindere dal cerchietto d’oro sul dito.
    Confesso di aver sempre avuto un certo disagio ad usare questa teminologia, ma non ho mai risolto il rebus. Ora non mi è più utile perché sono fuori ruolo, ma se ti avessi chiesto dieci anni fa, cosa mi avresti suggerito?

  • 2 Aladinpensiero Online
    3 Settembre 2020 - 08:30

    Anche su aladinpensiero online: http://www.aladinpensiero.it/?p=112026

  • 3 Stefania Falzoi
    3 Settembre 2020 - 16:22

    Caro Andrea, ti ringrazio per il commento ma soprattutto per la domanda. Ti rispondo dicendoti che dieci anni fa ti avrei candidamente suggerito di rivolgerti a me nello stesso modo in cui ti saresti rivolto se fossi stata uno studente maschio.

  • 4 admin
    3 Settembre 2020 - 16:40

    A.P.

    Anche mia moglie mi ha risposto cosi’. Ma vuoi mettee un “signora” o “signorina” con uno sgrazisto “oooh!”.

  • 5 Michele Capitani
    8 Settembre 2020 - 20:26

    Gentile “Signora” Falzoi e caro Andrea, leggendo i vostri scritti a proposito di “Signorina? No grazie”, condivido la salutare autoironia e ironia. Posso assicurarvi che il termine “signorina” sembrerebbe ormai caduto in desuetudine anche fra i “servi della gleba”. Infatti, tutti si chiamano per nome. Fermo restando che gli appellativi “Signora e Signor” (in limba, per entrambi “Fustei” se in presenza; in lontananza invece si usano gli allocutivi: Issa e Issu) risultano essere sempre funzionali fra coloro che si incontrano per la prima volta! Come pure l’allocutivo “Lei”, per transitare poi nel “Tu”; che nel linguaggio del Sardus Pater significava “Voi”. Successivamente usato e tuttora in uso nella lingua Inglese; avendolo mutuato dal Nostro antenato. Piuttosto, dovrebbero essere eliminati se non dal vocabolario, custode anche di memoria storica linguistica, quanto meno dalla “bocca” di ognuno i sostantivi “gay e lesbica”. In quanto, spesso, abusivamente usati in modo “sgraziato o spregiativo” oltreche contra legem; posto che, qualsiasi “abuso” ha natura plurioffensiva. Sarebbe senz’altro cultura positiva divulgare l’uso dell’aggettivo e o sostantivo “omosessuale” che deriva dalla parola “omo”, di genere neutro. E’ proprio questa neutralità o parità che conduce a riflettere sulle origini di genere. Fino a concludere che l’una è l’inverso dell’altro ma, pur sempre complementari. O se si preferisce, richiamando alla memoria l’assunto già comunicato da altro, secondo il quale: “se la Signora risulterebbe essere un Signor mancato, appare indubbio che e quale forza equlibratrice il Signor sarebbe una Signora sbagliata”! Soccorre, comunque e quale ulteriore forma di educazione positiva riflettendo su come forse eravamo, sostenere che essere secondi comportandosi da primi non è affatto disonorevole! Concordo, “Signora Stefania”: non si tratta di “isteria” o “sindrome premestruale”- Pur sussistente, detto per astratto e in generale, ovvio. Mi vien da pensare, a volte, permanendo in ironia e autoironia, trattarsi di una forma, pur lieve, di autismo. E’ allora che una domanda sorge spontanea: ma chi, in certi frangenti della propria vita individuale non è o si è sentito autistico?! Confortati dalla tesi, secondo la quale gli autistici sarebbero persone speciali elette dal Signore per immanente collaborazione della Signora. Bravi Democrazia Oggi (non domani), mi ha fatto piacere scoprirvi e soprattutto sapere ivi operare belle persone conosciute qualche tempo fa.

Lascia un commento