Carbonia. Cambia la dirigenza comunista in città, mentre si acuisce il contrasto fra le sinistre e i democristiani. Il comizio di Nadia Gallico Spano

4 Ottobre 2020
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Gianna Lai

Arriva la domenica e noi pubblichiamo il post sulla storia di Carbonia dal 1° settembre 2019.

Il Partito comunista, primo partito in città per numero di iscritti e per impegno politico, modificò in buona parte, dopo il 25 aprile, il suo gruppo  dirigente locale. Mentre andavano intensificando la loro attività nell’isola i dirigenti sardi, già protagonisti dell’opposizione al fascismo durante la clandestinità, i più vicini a Palmiro Togliatti, in particolare, Velio Spano, direttore dell’Unità, che fu facente funzioni di segretario  prima del rientro di Togliatti a Roma, e Renzo Laconi, futuro  membro della Commissione dei 75 in Assemblea Costituente, nonché componente della  Consulta sarda. E poi Giovanni Lay, Antonio Dore, Ignazio Pirastu, Luigi Polano, ‘il Partito nuovo al centro di uno schieramento popolare di grande ampiezza’,  nella formazione di giovani quadri orientati verso l’impegno tra i lavoratori e le masse popolari, per la ricostruzione e il rinnovamento dell’Italia. Molti ancora i ‘continentali’ fra i dirigenti del PCI a Carbonia, l’intervento politico venne ora collocato nel contesto dello sviluppo regionale e dell’intero Mezzogiorno, che solo  un vasto movimento popolare, sostenuto in Sardegna da una forte impronta autonomistica, avrebbe potuto far uscire dall’isolamento. Ed essendo rilevante la presenza comunista nei centri minerari, fu qui che cominciò a prendere corpo l’allenza  fra classe operaia e movimenti contadini, per la rinascita della regione.
Del resto, secondo le sinistre, il  nuovo Consiglio di amministrazione ACaI sembrava voler contribuire a rendere meno conflittuali i rapporti in miniera,  già col riconoscimento immediato, anche ai lavoratori del Sulcis, degli emolumenti stabiliti da accordi nazionali Governo-CGIL. La stessa cosa ci si aspettava in città, guardando verso una politica di unità nazionale per la Ricostruzione, onde combattere il rischio di deterioramento del clima politico nei rapporti tra  Democrazia Cristiana e sardisti da un lato, comunisti e socialisti dall’altro.
Perché si faceva sempre più netta l’opposizione dei conservatori contro le proposte della sinistra, nel Comitato di Liberazione  cittadino  sfociata, ad appena pochi giorni dalla fine dell’occupazione  nazifascista del Nord Italia, in uno scontro veramente aspro, il 15 aprile 1945, durante il comizio di Nadia Gallico Spano, nella piazza Roma. Giunta in Sardegna all’inizio del mese di aprile, su incarico della direzione nazionale del PCI, per verificare le condizioni del Partito nelle città più importanti dell’isola e per contribuire alla costruzione di un rapporto fra Movimento femminile nazionale e movimento sardo, Guspini e Carbonia i primi luoghi in cui lavorò. Nel 1946 eletta all’Assemblea Costituente, essendo responsabile femminile della Federazione di Roma, avrebbe fatto poi parte della Camera dei Deputati, ed è così che  la stessa dirigente comunista racconta l’episodio di quei giorni a Carbonia, durante l’intervista concessa all’autrice, nell’aprile del 1988: ‘In piazza si era raccolta una  grande folla, come sempre durante  i comizi dei politici e dei dirigenti di partito, che ascoltava con interesse e partecipazione il mio intervento. Fu quando io, parlando della fine della guerra ormai vicina, con la sconfitta degli eserciti nazifascisti ormai in fuga, grazie anche alla lotta dei partigiani nel Nord, mi riferii alle nuove opportunità per il movimento comunista nell’Italia democratica e nel mondo, che i democristiani di Carbonia, schierati nel sagrato della chiesa e capeggiati dal segretario di sezione Atzeni, cominciarono a molestare e offendere le donne comuniste che, numerosissime, partecipavano alla manifestazione, agitando le bandiere rosse. Ne nacque uno scontro duro, in particolare quando alcuni attivisti del PCI affrontarono i provocatori, costringendoli a riparare dentro la chiesa da dove, per tenere  lontani i comunisti, il gruppo di democristiani cominiciò a lanciare pietre all’impazzata, pur concludendosi poi il comizio regolarmente, con il mio appello all’unità di tutti i sardi’. E lo stesso resoconto troviamo su il  Lavoratore del 17 e del 25 aprile, non rimanendo privo di conseguenze il grave episodio se, ‘Terrorismo rosso a Carbonia’, titolava poco dopo  Il Corriere della Sardegna, settimanale  democristiano, la sua versione di quei fatti, per accusare lo stesso sindaco Renato Mistroni di ’sobillare la popolazione’, contro gli esponenti cittadini della DC.
La diffidenza, che aveva fino a quel momento determinato i rapporti far i due schieramenti, sfociava ora in ostilità aperta, fino allo scontro diretto. Perché intanto la Democrazia cristiana  aveva trovato nel clero locale il suo più valido sostenitore, primo fra tutti don Vito Sguotti, il parroco di San Ponziano, già prete dalla parte di Mussolini  e collaboratore al tempo del fascismo. E poi una comunità parrocchiale conservatrice e fortemente anticomunista, in particolare  negli anni della guerra fredda, molto chiusa alle istanze sociali che provenivano dal mondo del lavoro, fino a rifiutare, i sacerdoti,  funerali religiosi agli iscritti al PCI, anche se morti in circostanze particolarmente drammatiche, in incidenti di miniera. Come a quel minatore di Bacu Abis, ucciso da una frana nel maggio del 1945. Polemico il titolo e il testo de Il Lavoratore,  a commento, di questa ‘infamia’: ‘Hanno benedetto i gagliardetti dei fascisti, al tempo del fascismo. Il compagno Umberto Simeoni, morto il 13 in miniera, il suo funerale senza preti, per decisione del vescovo’.
Ed alla stampa periodica democristiana, sopratutto, gli operai attribuivano la responsabilità della  radicalizzazione del contrasto in città, che pubblicava sul Corriere di Sardegna storie infamanti di comunisti sulcitani,  spacciatori di rubli russi al mercato nero, ed altri bei raccontini sempre particolarmente edificanti. Ogni momento del dibattito politico, l’occasione per azioni di offesa, unicamente pretesti  di natura puramente ideologica, che niente avevano a che fare con i contenuti delle lotte e con le richieste del sindacato e delle Commissioni interne, come dice ancora Il Lavoratore del 12 giugno 1945.

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