La Calabria nel cuore

23 Novembre 2020
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Caterina Gammaldl dalla Calabria ci scrive…

Sono una donna del Sud. Ho vissuto i miei anni fra la Campania e la Calabria, con una pausa di 15 anni a Milano e una esperienza importante da pendolare a Roma per rappresentare la scuola che mi aveva eletto all’allora Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione. La Calabria mi ha adottata, ho vissuto a Cosenza fino alla fine del 2018 quando, per gravi motivi di salute, ho di nuovo dovuto emigrare per ricevere le cure necessarie.
Riparto da qui, dagli incontri che mi hanno vista insegnante fra gli insegnanti partecipare a centinaia di iniziative con colleghi, studenti, universitari,  amministratori e politici, rappresentanti dei sindacati e delle associazioni, coinvolti in dibattiti sullo sviluppo economico e culturale del territorio o impegnati in attività progettuali e di formazione in servizio.
Penso di avere esperienza per scriverne in queste ore in cui la Calabria è tornata al centro dell’attenzione dopo l’ennesimo disastro a Crotone, le note vicende regionali, le dichiarazione del presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie  e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, altrimenti detta Antimafia.  Sembra che tutti dimentichino che stiamo parlando di persone e di istituzioni tacendo o intervenendo con la consueta superficialità sul governo del territorio che è a tutti noto, anche a livello nazionale, per le sue problematiche.  Giudico severamente la mancanza di cura per l’istruzione, la salute e il lavoro, fra i diritti fondamentali della nostra Costituzione che avrebbero meritato, come ho sostenuto in altri contributi,  interventi per far crescere la consapevolezza dei cittadini, indipendentemente dal  luogo e dalla condizione in cui vivono. Trovo inammissibile che si continui a ignorare l’interesse per il bene comune. Considero inefficaci le soluzioni proposte. Valuto negativamente l’utilizzo del potere a fini personali soprattutto di chi dovrebbe, invece, rappresentare il cittadino che li ha eletti.
Prendo a prestito il pensiero del noto “ministro dei contadini”, il calabrese comunista Fausto Gullo e i suoi discorsi parlamentari per ricordare la distanza oggi ancora presente nel rapporto fra governo nazionale e locale, e non solo in Calabria.
Oggi come ieri ho visto alimentare la sfiducia dei cittadini calabresi onesti verso le istituzioni a causa di iniziative colonizzatrici di vario colore  in cui ha prevalso il provincialismo e il familismo delle scelte, mali cronici di una certa politica in tutte le situazioni in cui prevale l’individualismo.
Questa terra, al pari di altre, sconta un modello di sviluppo fondato sulla diseguaglianza, nonostante i tentativi generosi di uomini e donne che hanno dato contributi disinteressati per la crescita economica e culturale del territorio regionale.
Torno ai diritti precedentemente evocati per affermare con quanti ci hanno consegnato ricerche autorevoli sul modello di sviluppo delle aree cosiddette interne che sono davvero molte le zone  di sofferenza da indagare per dare risposte certe ai problemi dei cittadini. Fare cronaca non è fare informazione.
Parlo anzitutto del lavoro/non lavoro che in questa regione è da sempre non garantito. “Una vita da precario” è un titolo che potrebbe dire della ricerca affannosa della dignità del lavoro di quanti hanno deciso di restare nella propria terra, da cui sono partiti dal secolo scorso decine e decine di uomini, talora raggiunti dalle mogli e dai figli, nelle Americhe, in Europa, a Milano, a Torino e nelle altre regioni italiane. Non da ultimi i ragazzi in uscita dalla scuola  che hanno deciso di completare gli studi altrove o che dopo la laurea hanno scelto di lavorare all’estero. Non sappiamo se questo fosse il sogno di chi ha voluto per la Calabria un modello universitario campus. Resta il fatto che gli studi superiori nella propria terra non garantiscono il lavoro. I dati pubblicati dall’Unione Europea nel 2018 ci dicono che solo il 29.1 dei laureati calabresi trova lavoro dopo tre anni dalla fine degli studi. Il dato peggiore in Europa. Per non parlare del tasso di disoccupazione quasi il doppio del dato nazionale. Sfiora il 18%. Dati che dovrebbero far riflettere quanti sostengono che il tenore di vita dei calabresi è quello di altre regioni confondendo i consumi con la produzione. Se poi ci riferiamo alla situazione determinata dalla pandemia c’è poco da ritenere possibile una inversione di tendenza senza interventi strutturali.
Possiamo ritenere che il diritto alla dignità che ha sede in un lavoro stabile e garantito è indisponibile per la maggior parte della forza - lavoro attiva.
Sul diritto alla salute ho già detto più volte che merita una riflessione la scelta fatta a vantaggio di  strutture private e clientele. Avere depotenziato il sistema sanitario pubblico, nonostante i finanziamenti ricorrenti per migliorarne il servizio, ha lacerato il tessuto della prevenzione e quello della cura costringendo centinaia di calabresi all’assistenza fuori regione. Chi può paga, chi non può si indebita per curarsi o rinuncia alle cure perché troppo onerose. Le famiglie, quando ci sono, si fanno carico di anziani e giovani in difficoltà. Manca una rete di operatori socio-sanitari a cui fare riferimento nella necessità. La presenza di laboratori che fanno leva sul volontariato svolgono una pregevole azione di assistenza a chi, su questo terreno - stranieri e indigenti - non ha nessuno. Spesso medici e infermieri capaci sono lasciati da soli nell’azione di prevenzione e cura.
Sul diritto all’istruzione, sia pure garantito nell’accesso alla quasi totalità degli aventi diritto, vale la pena di richiamare la rete viaria dell’800 che non favorisce gli spostamenti dei ragazzi in età di obbligo che vivono nelle comunità interne, troppo spesso impossibilitati a frequentare attività integrative che darebbero loro stimoli e occasioni di crescita personale. Nè penso debba essere ignorato il dato preoccupante sui giovani NEET o quello sul rientro nel sistema formativo degli adulti davvero al limite, per segnalare l’assenza di politiche attive del lavoro in grado di fornire risposte sul diritto alla cultura di tutti, ad ogni età. Se aggiungiamo il dato allarmante in materia di sistema educativo integrato 0-6, che avrebbe dovuto decollare dopo l’approvazione del decreto legislativo a seguito della legge 107/15, e la drastica riduzione dei servizi alle persone in situazione di handicap o di disagio abbiamo poco da reclamare in tema di sviluppo.
Ce n’è a sufficienza per rappresentare il contesto attraverso il mondo dei bambini, degli adolescenti, dei giovani, degli adulti e degli anziani o di chi è in difficoltà, a cui poco si destina in materia di livelli essenziali delle prestazioni.
Può la Calabria onesta e operosa, che pure conosciamo per la bontà e la ricchezza  delle iniziative che promuove a vantaggio dei più deboli, nel rispetto delle istituzioni in cui vive e lavora, rassegnarsi al chiacchiericcio di chi utilizza la situazione attuale, grave a causa della pandemia, per provocare una ennesima spartizione del territorio regionale, già proiettata verso le ormai imminenti prossime elezioni regionali? Io penso di no e faccio appello a chi ha strumenti di analisi più raffinati, esito di studi economici e sociali, di contribuire, se vuole, a invertire la tendenza. La lotta alle mafie comincia da qui, da chi, nonostante tutto, vive nella marginalità ma non si rassegna.

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