Pupilli della vita

4 Dicembre 2020
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Stefania Falzoi

 

 

Spero che chiunque nell’arco della propria vita trovi il tempo di leggere “La montagna incantata di Thomas Mann”. Attenzione, non è un consiglio di lettura, personalmente credo che non si possa consigliare cosa leggere, ma mi permetto di sperare che il maggior numero di persone si dirigano verso quel volume che, silenzioso negli scaffali delle librerie, attende di essere scelto. Il momento della scelta del nostro tempo di lettori e lettrici è infatti da considerare inviolabile, un delicatissimo spazio dalle cui risultanze è  possibile raggiungere quella sensazione di infinito regalata solo dalle trame dei grandi romanzi scritti a regola d’arte. Perchè dunque spero che tante persone entrino nei corridoi, nelle stanze, nelle terrazze della clinica Berghof il luogo potentemente metaforico intorno al quale ruota l’avventura esistenziale e pedagogica del protagonista del romanzo, Hans Castorp? A rendere necessario questo romanzo è, insieme alla brillantezza del suo sviluppo e svolgimento, la prerogativa di sorpredere, di educare e di divertire. Vicenda umana universale perfetta e attualissima, quella del personaggio principale, che si incastra partendo, nella maggior parte dei casi, da una condizione da egli stesso riconosciuta di impreparazione e inesperienza, in quella di altre situazioni esistenziali altrettanto complesse e fragili. Il tempo, vera questione di fondo della concatenazione degli eventi, scompare e riappare, sembra sia quasi possibile dimenticarlo, ma invece no… o forse non del tutto. Una trama impregnata di innumerevoli e squisiti dettagli della vita quotidiana degli ospiti della clinica che si inseriscono nel vortice a tratti favoloso in cui è immerso il nostro protagonista. Protagonista che il lettore farà progressivamente sempre più “suo” man mano che la storia si colora di contrasti e paradossi. Quanto lunga sarà la permanenza di Hans Castorp nel sanatorio Berghof? Ecco la domanda, è il tempo che ci  ossessiona, la  paura di perderlo quel tempo, di non essere efficienti, di sprecare la risorsa scarsa per eccellenza, “chi ha tempo non aspetti tempo”, ci hanno educato così. Altro elemento, quindi, per cui spero che tante persone vengano intrigate oggi più che mai da questo romanzo, è proprio quello relativo al trauma del nostro “tempo”, quello dell’incertezza, della pandemia, dell’angoscia. Dal sentirci padroni assoluti del tempo e dello spazio, entrambi da noi considerati sempre più accessibili e manipolabili, siamo oggi annientati poichè messi di fronte alla problematicità oggettiva di prospettare e rappresentare il futuro. Hans Castorp viene definito, dal più esigente e spiritoso dei suoi interlocutori, “pupillo della vita”, non è forse l’espressione più calzante con cui definire gli essere umani contemporanei?

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