Diritti, doveri, onore e disciplina. Un’amara lezione dal covid

5 Gennaio 2021
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Andrea Pubusa

Le cifre terrificanti di contagiati e morti mostrano, nonostante le attenuazioni dei media, che il virus è fuori controllo. L’uomo, col suo comportamento, non è riuscito a sconfiggere il virus. Ha perso clamorosamente la partita.
Quale elemento determinante è mancato? E’ presto detto: la disciplina e la doverosità di azioni solidali, ossia la capacità di rideterminare le proprie azioni, il proprio stile di vita in relazione alla guerra al covid. Sì, perché questa battaglia evoca un impegno singolo e collettivo, con obblighi etici oltre che giuridici. Ad esempio, impone la riscoperta e la pratica della “disciplina ed onore” dell’articolo 54 della Costituzione. Questo dovere è stato collegato principalmente alla diffusione  della  corruzione, che, per  le  sue  caratteristiche  qualitative  e  quantitative,  evidenzia  uno  stato di crisi dell’intero assetto istituzionale. E’ stato dunque naturale di cercare nella Costituzione un orientamento delle condotte pubbliche e private volte a contrastare efficacemente questi processi degenerativi, ma il dettato costituzionale s’impone anche in altri situazioni in cui si richiedono comportamenti ispirati al rigore.
Il compianto Stefano Rodotà ci richiamò subito tutti alla riscoperta dell’art. 54, comma secondo, Cost.,  che pone l’etica  pubblica in  modo  originale, non come  una  mera  condizione  di  sistema, pre-giuridica  e  pre-costituzionale, ma assumendola come un valore essenziale sociale e costituzionale di responsabilità personale, integrato nel sistema dei valori costituzionali, e conferendo ad essa la forma del dovere civico. L’art.  54   prescrive ai  cittadini  (ovviamente,  ed  a  maggior  ragione,  anche  ai  cittadini  investiti  di  funzioni  pubbliche) il  dovere  di  fedeltà  alla  Repubblica,  e  di  osservarne  la  Costituzione  e  le  leggi, ma pretende di più: richiede  ulteriormente  (comma  secondo)  a  coloro  cui  sono  affidate  funzioni  pubbliche  “il  dovere  di  adempierle  con  disciplina  ed  onore”.  Questo precetto  fondamentale,  indirizzato  ai  funzionari,  intesi  in  senso  ampio,  come  coloro  ai  quali  sono  affidate  funzioni  pubbliche,  non  resta  isolato,  ma  si  integra  con  una  serie  di  precetti  costituzionali ulteriori: in particolare, la diretta responsabilità dei funzionari e dipendenti dello Stato e  degli  enti  pubblici  (art. 28);  il  dovere  dei  pubblici  impiegati  di  essere  all’esclusivo  servizio  della nazione (art. 98): il precetto per cui i pubblici uffici vanno organizzati in modo da assicurare il buon andamento e la imparzialità dell’amministrazione (art. 97). L’etica  pubblica  viene  dunque  promossa  sia  sotto  il  profilo  soggettivo  (la  condotta  personale  prescritta ai dipendenti e agli amministratori pubblici) sia sotto quello organizzativo (la organizzazione pubblica  deve   fondarsi   su   tale   responsabilità),  nella  prospettiva  democratica  di  un  ordinamento  nel  quale sono i cittadini che governano ed amministrano la collettività.
In questo contesto costituzionale non c’è spazio per le letture riduzionistiche del dovere di disciplina e onore; esso non si può relegare in una dimensione puramente etica, nell’ambito pregiuridico. E, in senso contrario, non può giocare la preoccupazione   di   segno   garantista, e cioè la paura che  una   qualificazione   giuridicamente  pregnante  ed  espansiva  del  dovere  di  disciplina  ed  onore,  possa aprire  il  varco  a  limitazioni  del  pieno  godimento  dei  diritti  riconosciuti  ai  pubblici  dipendenti  nella  loro  qualità  di  cittadini,  e  soprattutto  a  discriminazioni  ideologiche,  in  una  prospettiva  di  “democrazia  protetta”,  estranea  all’impianto  della  Costituzione  italiana.  La doverosità delle condotte volte all’interesse pubblico e alla solidarietà del resto è consacrata nell’art. 2 della Carta ed è posta sullo stesso piano del riconoscimento dei diritti inviolabili. La disciplina e l’onore travalica così la sfera dei dipendenti e amministratori pubblici, si estende alle condotte di ciascuno di noi e diviene un valore centrale, un metro di misura della correttezza delle condotte individuali e collettive. E’ un dovere di tutti.
La lotta al covid, che,, per essere efficace e vincente, richiede una vasta e precisa azione, è un terreno in cui la doverosità delle condotte e la disciplina nel tenerle, s’impone col massimo rigore, pari - ovviamente - a quello dovuto al rispetto delle garanzie costituzionali delle libertà nel giusto bilanciamento tracciato dalla Costituzione. L’averlo dimenticato non solo in molti settori della politica e dell’amministrazione, ma a livello di massa, con fenomeni diffusi di violazione per futili motivi (shopping, aperitivi e incontri abitudunari) è la causa della sconfitta.
Ora, persa la battaglia sul campo, confidiamo nel deus ex machina, nell’intervento esterno miracoloso, il vaccino. Speriamo che funzioni! Ma, tornati alla normalità, non possiamo dimenticare che il 2020 ha mostrato una cosa terribile: nelle società avanzate il consumismo, le abitudini, normali in tempi normali, ma dnnose in tempi non normali hanno prevalso sul dovere di salvaguardare la salute e la vita stessa, nostra e degli altri.

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