Ma che senso ha il G8 University Summit?

19 Maggio 2009
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Andrea Pubusa

Certo è importante che i rettori delle università si riuniscano per discutere sul ruolo e il contributo dell’università nello sviluppo e sostenibilità; non solo ambientale ma anche sociale; ma che senso ha che lo facciano solo gli atenei dei paesi del G8? Perché in questi giorni a Torino non ci sono i rettori degli atenei di tutto il mondo? Ecco questo è il punto: fare il G8 University Summit vuol dire escludere le istituzioni culturali degli altri Paesi. Queste non hanno titolo per discutere di sviluppo e ambiente, se operano in Paesi poveri. Ma non sono questi i più interessati allo sviluppo? Non sono questi paesi a dover scongiurare la loro riduzione a immondezzai delle scorie del mondo sviluppato?
Noi pensiamo all’università e al mondo del sapere come espressione di un universalismo che supera e contesta l’idea che le decisioni del mondo debbano essere monopolio dei più forti. Pensiamo alla ricerca, quella vera, come fondata sul processo permanente fra acquisizioni scienticiche, falsificazione e nuove acquisizioni. La conoscenza non è espressione del potere, ma anzi deve temperarlo e lottare per socializzarlo. Quando, al contrario, il potere pretende di estendersi alla conoscenza avvegono i più gravi disastri. La scienza nell’epoca moderna si caratterizza proprio per questo, per lo sforzo di disgiunzione dal potere. La vicenda di Gallilei e degli altri con la creazione del metodo sperimentale costituisce la drammatica fuoriuscita della ricerca dall’orbita dell’autorità. Tornare a unificare il libro con la spada è la più nefasta delle prospettive.
L’intellettuale dev’essere anzitutto critico del presente e proiettato verso l’ordine nuovo. Non è questa la lezione gramsciana? L’intellettuale critico del potere costituito, deve creare quell’egemonia delle classi subalterne, che scongiura il ricorso alla forza. Come non vedere, invece, nel G8 delle università la crescente influenza del mercato sulla vita intellettuale? Contro l’autonomia della ricerca si afferma la crescente intromissione potere economico e politico nello spazio che dovrebbe essere pubblico e libero. Per questa via l’Università accantona la critica dello status quo, la funzione di coscienza della società o la ricerca della verità e cura la sua funzionalità al profitto. Col G8 gli Atenei perdono l’indole di luoghi di cultura per assumere una funzione di servizio verso il potere; si attenua la libera ricerca a prescindere e, se necessario, contro il mercato. Questo abbandono è oggi la più seria minaccia che l’intellettualità autonoma si trova a fronteggiare. Il potere delle forze del mercato determina il contenuto della produzione culturale. E ne influenza anche i comportamenti pubblici. Questo summit ne è l’espressione più manifesta. Questa mutazione si coglie, però, tutti i giorni quando c’imbattiamo in professori, dipartimenti e istituti univeritari ricompensati per entrare nei palazzi della politica e dell’economia.
Dunque, ben venga la contestazione di questo abbandono della autonomia e della funzione critica delle Università. La lotta dovrebbe partire anzitutto dai docenti. E si comprende che il potere risponda con la repressione. In fondo, è sempre stato così. Ne sanno qualcosa Giordano Bruno, il nostro Sigismondo Arquer, lo stesso Gallilei e tanti, tantissimi altri noti e meno noti. E’ l’antica storia del potere che vuole come sua ancella la scienza. In modo pacifico, ma fermo bisogna sventare questo tentativo del potere di riappropriarsi di uno spazio che in realtà non ha mai abbandonato. A partire da Torino dove il connubio perverso scienza/potere si manifesta al mondo in modo paradigmatico e senza pudori.

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