Nessuna magistratura senza “disciplina e onore”

8 Maggio 2021
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Andrea Pubusa

Sulla magistratura infuria da anni la bufera. Tonino Dessì ha scritto in questo blog un articolo sconsolato in cui mette il dito sulle piaghe di questa funzione fondamentale, ormai pensata come potere, e i poteri - si sa - - si contendono senza esclusione di colpi. Nell’amara riflessione vengono rimessi in discussione con coraggio alcuni punti fermi della elaborazione della sinistra: la non separazione delle carriere fra P.M. inquirenti e organi giudicanti, la composizione del CSM. Il risultato è una critica di fondo all’attuale sistema costituzionale sulla magistratura.
Faccio osservare però che anche la disciplina più meditata perde equilibrio se l’ambiente in cui opera non è caratterizzato da un’accettabile tasso di moralità. Non è dunque imputabile alla disciplina formale il discredito in cui la magistratura è caduta, ma è il risultato di un contesto in cui nessuno degli attori fondamentali si muove nei binari della “disciplina ed onore” richiesti dalla Costituzione per chi ricopre pubblici incarichi. Oggigiorno dove siano  l’onore e la disciplina nessuno sa,  sono  una chimera sia nella politica (parlamento, organi costituzionali) sia nella magistratura, sia nel mondo dell’economia. Ora è evidente che in un ambiente opaco, che tende in molti settori al malavitoso, la spinta al controllo della magistratura è centrale, per salvare se stessi, la propria parte e colpire gli avversari.
Se questo è vero, l’ipotesi di ricondurre al Parlamento il controllo della magistratura perde di significato ed efficacia. Quale beneficio può trarre la funzione giudiziaria da un ancoraggio diretto ad un parlamento, pieno di inquisiti e anche di condannati, e campo di battaglia di una guerra per bande? Analogamente la separazione delle carriere fra PM e organi giudicanti. Non che questa sia improponibile; in realtà, a sinistra, la separazione l’abbiamo osteggiata, volendo offrire ai magistrati inquirenti le stesse garanzie riservate a quelli giudicanti. La separazione, dunque, presuppone l’individuazione di pari e forti garanzie di indipendenza dei PM, altrimenti questi vanno a parare anche formalmente alle dipendenze dell’esecutivo. Il peggiore dei mali!
Per il CSM, occorre anzitutto riportarlo alla funzione originaria che è quello di sostituire, a fini di indipendenza dell’ordine giudiziario dall’esecutivo, il Ministro della giustizia nel reclutamento, nelle nomine, trasferimenti e provvedimenti disciplinri, inibendogli poteri politici d’indirizzo. Questo, tuttavia, si può fare anche a bocce ferme con un fermo intervento del Presidente della Repubblica che lo presiede ed è garante del funzionamento della Carta. Mattarella non lo ha fatto con la dovuta energia. Sulla composizione si può certo discutere, ma si tenga conto che la Costituzione vuole che ne facciano parte dei giuristi di valore e specchiata linearità  (avvocati, professori univesitari in materie giuridiche e magistrati), ma anche qui torniamo a bomba: chi li sceglie, fosse anche solo il parlamento, non deve pensare che si sta spartendo un potere, ma che si deve assicurare l’indipendenza di una funzione fondamentale, che nella terzietà ha il suo punto centrale e vitale.
Mezzo secolo di vita fra docenza e foro, mi hanno convinto che solo una grande dirittura morale e civile fa di un professore un maestro, di un vincitore di concorso un vero giudice e di un legale un vero avvocato. Le leggi possono solo aiutare. Facciamole bene, ma non sono l’unico rimedio e neanche il solo fattore decisivo.
In definitiva, sulla materia il mio pessimismo è cosmico, in una vita pubblica degradata a intrigo e a guerra per bande, la magistratura non può essere e non è un’isola felice. Agisce allo stesso modo degli altri protagonisti. Assistiamo ad esternazioni e a polemiche continue, mentre il magistrato, salve le questioni di natura culturale, dovrebbe attenersi alla regola aurea di pronunciarsi solo con decreti, ordinanze e sentenze. Chi non sta al gioco viene messo da parte. Non vedo vie d’uscita se non in una battaglia dura e continua che unisca e coaguli forze per quella riforma intellettuale e morale di cui ci parlò uno che, non a caso, è morto prigioniero.

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