Renzo Laconi. Una biografia politica e intellettuale

10 Maggio 2021
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Claudio Natoli

Pubblichiamo l’intervento svolto alla presentazione online del libro di Maria Luisa Di Felice, Una biografia politica e intellettuale, Roma, Carocci, 2019, organizzata il 26 marzo 2021 dalla Scuola di cultura politica Francesco Cocco di Cagliari, dalla Sezione cagliaritana dell’ANPI e dalla Fondazione di Sardegna.

E’ doveroso  premettere che la presentazione di questo volume si inserisce all’interno di un programma di ricerca comune tra il Dipartimento di Storia, Lingue e Beni culturali dell’Università di Cagliari,  la Fondazione-Istituto Gramsci e la Fondazione Banco di Sardegna, che ha una storia ormai di molti anni, ha dato luogo a svariati contributi monografici e  si è oggi felicemente concluso con la pubblicazione della prima biografia complessiva di carattere scientifico su Laconi, che discutiamo oggi insieme con l’autrice Maria Luisa Di Felice. La ricerca mette in luce non solo il ruolo di tutto rilievo di Laconi nella Sardegna del secondo dopoguerra, ma al centro anche e soprattutto quello di protagonista della vita politica nazionale e per la prima volta ricostruisce analiticamente il suo itinerario politico e intellettuale nell’ultimo quindicennio della sua vita. Si tratta di una biografia che si avvale,  oltre che dei documenti provenienti dai nuovi fondi dell’Archivio del PCI che oggi sono stati resi consultabili agli studiosi, di una eccezionale acquisizione, e cioè dei quaderni e delle carte personali di Laconi, che, come tutte le altre cose che egli ha lasciato, sono state custodite per decenni con una straordinaria cura e dedizione dalla famiglia Staiano e che sono state successivamente versate e ordinate dalla Fondazione Istituto Gramsci conformemente alla suo espresso desiderio. Ed a questo proposito vorrei qui ancora una volta rinnovare alla famiglia Staiano il senso della nostra più sincera e calorosa gratitudine.
E’ importante ricordare che Laconi è una figura emblematica di quella nuova generazione di intellettuali che negli anni della Resistenza e della nascita dell’Italia repubblicana fecero di una concezione “alta” della politica come impegno ideale, culturale e civile il fondamento di una vera e propria “scelta di vita”.  Dirigente nazionale del PCI, stretto collaboratore di Togliatti, intellettuale militante, Laconi fu uno dei protagonisti dell’elaborazione della Carta costituzionale, a cui offrì la sua particolare sensibilità e competenza per le tematiche autonomistiche. Deputato al Parlamento nelle prime quattro legislature della Repubblica (1948-1967), Laconi,  dirigente del PCI sardo sin dal 1944, ne divenne segretario  tra il 1957 e il 1963, svolgendo un ruolo di primo piano nell’elaborazione del Piano di rinascita per la Sardegna e nella battaglia per la sua realizzazione e per lo sviluppo delle politiche autonomistiche nell’Isola. Ma entriamo più approfonditamente nel merito.
Anzitutto, molto importanti per la conoscenza della figura di Laconi a me sembrano i capitoli del libro relativi alla sua prima formazione,  all’ambiente familiare, agli studi, al disincantato viaggio giovanile attraverso il fascismo, al passaggio all’antifascismo attraverso la lettura di Croce, ma soprattutto a contatto diretto con il magistero di Guido Calogero, e quindi all’adesione al PCI nella Firenze degli anni della guerra; e infine, la militanza nel “partito nuovo” che lo vide, pur così giovane, tra i principali e più convinti collaboratori di Palmiro Togliatti. Si tratta di un percorso paradigmatico per un’intera generazione di giovani intellettuali, che con la partecipazione alla Resistenza saranno protagonisti di una pagina non secondaria della grande storia del PCI, ma anche, è bene sottolinearlo, di un grande fatto nuovo nella storia più generale degli intellettuali italiani: e cioè il collocarsi di una componente rilevante del mondo della cultura nell’area di riferimento dei partiti progressisti e della sinistra.
Da questo punto di vista, uno spunto nuovo da approfondire mi sembra sia il ruolo che potrebbe avere svolto nella formazione di Laconi la frequentazione con Guido Calogero, che insieme con Aldo Capitini aveva qualificato il suo impegno antifascista tra i giovani sulla base di una originale sintesi tra democrazia e socialismo. Ma più in generale, un aspetto di grande interesse è costituito dalle idee nuove che al di là delle diverse scelte politiche e ideologiche, avrebbero informato l’itinerario di quella nuova generazione antifascista, a cui Laconi apparteneva. Come ha testimoniato Lucio Lombardo Radice, anch’egli attento lettore della Scuola dell’uomo di Calogero, le idee nuove che formarono l’antifascismo dei giovani tra la fine degli anni ’30 e gli anni della guerra furono “l’unità dei popoli contro la guerra minacciata dal fascismo”, “l’unità antifascista come unità popolare”, l’”abbattimento del fascismo come rivoluzione di popolo non solo restauratrice delle libertà soppresse, ma instauratrice di una democrazia nuova, basata sulla liquidazione dei gruppi monopolistici ( spina dorsale della tirannide e dell’imperialismo fascista) e sulla partecipazione al potere delle classi che ne erano state sempre escluse”. E’ qui rintracciabile in germe il tema fondante delle idee della Resistenza, il cui nucleo centrale sarebbe stato poi recepito, con il contributo determinante delle forze cattoliche più progressiste, rimaste estranee all’antifascismo storico, dalla Costituzione repubblicana. Ed è qui che dobbiamo individuare, come ha scritto Francesco Traniello, il primo segnale di quel “comune sentire antifascista e antinazista che attraversò le diversità, anche profonde, di  militanze politiche e di convinzioni personali, e che costituì un patrimonio sotterraneo, ma tenace, per la vita civile della nuova Italia”.
Il secondo aspetto che è doveroso richiamare è l’intreccio nella figura di Laconi tra il dirigente del PCI sardo impegnato nella battaglia per l’approvazione dello Statuto autonomistico e per il varo dei Piani di rinascita dell’Isola, e la sua attività di deputato alla Costituente e di protagonista nella elaborazione della Carta costituzionale, a cui offrì la sua particolare sensibilità e competenza nelle tematiche autonomistiche. Queste due dimensioni, lungi dal giustapporsi, troveranno molto rapidamente in Laconi una composizione unitaria che divenne tutt’uno con la sua concezione della Costituzione, del suo significato e del suo valore storico in riferimento al “nuovo Stato” e alla “nuova democrazia” che ci si proponeva di costruire. E qui mi pare che Maria Luisa Di Felice metta molto bene in luce il ruolo di primo piano svolto da Laconi nell’elaborazione e nell’azione del PCI alla Costituente, ma anche la sua capacità anticipatrice e innovatrice rispetto alla cultura politica del Partito e dello stesso Togliatti: e questo proprio a partire dalla “svolta” favorevole al regionalismo che risale alla primavera del 1947.
Ma più in generale, l’autrice sottolinea a giusto titolo il ruolo propositivo ricoperto alla Costituente da Laconi nella Seconda Commissione e nella Commissione dei 75, sulle problematiche dell’organizzazione dello Stato, dell’ordinamento regionale, del bicameralismo, delle attribuzioni della magistratura e della Corte costituzionale, dei diritti e dei doveri dei cittadini. Da questo punto di vista l’opera di Laconi costituisce un osservatorio privilegiato per comprendere la complessità dell’elaborazione della Costituzione e l’ottica di ampio respiro politico e culturale dei costituenti: e soprattutto, il fatto che la Costituzione non fu, come pure è stato sostenuto, un deteriore compromesso tra ristretti gruppi partitici, ma fu, all’opposto, l’espressione di una sintesi più alta rispetto alle culture politiche di ciascuna delle forze che contribuirono a formularla. In particolare è possibile riconoscere attraverso Laconi l’evoluzione e l’arricchimento in corso d’opera delle posizioni del PCI. Quest’ultimo aveva alle spalle la ricerca sulla “democrazia di tipo nuovo” e sulla “democrazia progressiva”, maturate nell’ambito dell’antifascismo italiano ed europeo degli anni ’30 e poi nel corso della Resistenza, ma non disponeva di un articolato progetto di Stato e all’inizio privilegiava la centralità del Parlamento come espressione della sovranità popolare e il primato della politica, in un’ottica non priva di venature giacobine, rispetto al principio di uno Stato di diritto fondato sul bilanciamento e sulla separazione di poteri.
In questa stessa ottica a me sembra di grande interesse anche la riflessione retrospettiva di Laconi e il suo impegno non solo contro ogni regressione rispetto a diritti di libertà e ai principi di nuova cittadinanza democratica sanciti dalla Costituzione (a partire da quelli relativi al lavoro e all’uguaglianza), ma anche per la piena realizzazione della Carta nel corso degli anni ’50 e ’60: un impegno che si articolò sul piano regionale e nazionale a favore dell’attivazione degli istituti previsti dalla Costituzione, a cominciare dalla Corte costituzionale e dalle regioni, ma anche nel senso della difesa delle prerogative del Parlamento; e, su di un altro versante, della piena attuazione dello Statuto sardo e dei Piani di rinascita proprio come momento di concreta attuazione dei principi costituzionali. Il principio della Repubblica una e indivisibile, affermava Laconi già nel dicembre 1949, poteva trovare il suo inveramento non già in “uno Stato centralizzato, con dei metodi di governo centralistici, con soluzioni imposte dall’alto”, bensì con una unità sostanziale fondata su un “vero ordinamento democratico” strutturato “nelle Regioni, che avrebbe consentito a “questa unità di diventare più viva, più sentita, più vitale”. Su di un altro versante Laconi, contro i tentativi di vanificare il significato del Patto costituzionale, non si stancava di riaffermare il salto di qualità che la Costituzione aveva rappresentato non solo rispetto al regime fascista, ma anche agli ordinamenti dell’Italia liberale, ne sottolineava il carattere di “ricerca originale” e di “terreno comune” tra correnti politiche e ideologiche diverse, e soprattutto il contenuto nuovo sia sul piano del riconoscimento dei diritti sociali di cittadinanza e del primato dell’interesse pubblico sul quelli della proprietà privata, sia in riferimento all’allargamento della sfera dell’intervento dello Stato  nell’ economia e alle trasformazioni strutturali che, scriveva, erano divenute possibili “senza rotture, anzi sviluppando e approfondendo e articolando l’attuazione di quei congegni e di quegli ordinamenti che nella Costituzione sono già previsti”. Inoltre vorrei ricordare la difesa di Laconi della centralità del Parlamento non solo come organo legislativo e di controllo sull’attività di governo, ma anche come limite allo strapotere della maggioranza, o anche la sua lungimirante concezione di un ordinamento regionale che potesse costituire un elemento fondamentale di un nuovo equilibrio democratico tra le forze di maggioranza e di opposizione,  entrambe, scriveva, “partecipi e corresponsabili dei destini del paese”. Decentrando il potere politico attraverso le autonomie regionali la Costituzione rendeva possibile all’opposizione, sia pure entro determinati limiti, l’assunzione di “responsabilità di governo e l’esercizio del potere legislativo”.
Un approfondimento a parte meriterebbero, e sul tema questo libro offre importanti elementi di riflessione,la ricerca di carattere storico di Laconi e le sue indagini sulla questione sarda. Questa attività di studio, svolta nel costante richiamo all’insegnamento di Antonio Gramsci, con particolare riferimento al ruolo degli intellettuali e alla questione meridionale, e a cui egli dedicò un costante impegno a partire dai primi anni Cinquanta, non sarebbe stata mai accantonata. Essa avrebbe apportato quel respiro storico e quello spessore intellettuale e morale che contrassegnarono la  sua figura di dirigente politico e di parlamentare, in quel costante intreccio tra politica e cultura che fu un tratto caratterizzante di quella generazione di dirigenti comunisti (ma non fu una prerogativa esclusiva) e di cui oggi sentiamo tutti drammaticamente la mancanza.
Un ultimo punto su cui vorrei brevemente soffermarmi è che questo volume offre la prima ricostruzione analitica dell’itinerario di Laconi nell’ultimo quindicennio della sua vita, attraverso un grande lavoro di spoglio delle carte personali e di documenti archivistici e a stampa. Eravamo già a conoscenza del ruolo protagonistico di Laconi nella prima stagione del Piano di rinascita, del Congresso del Popolo sardo, che, nel suo intreccio tra tensione progettuale e iniziativa di massa,  si muoveva nell’ottica di ampio respiro segnata dal Piano del lavoro della CGIL, come anche delle difficoltà che Laconi aveva incontrato nell’azione di rinnovamento della cultura del Pci in Sardegna, troppo spesso ridotta al contrasto personale con Velio Spano. Ma oggi, grazie a questo lavoro, è possibile seguire analiticamente l’azione svolta da Laconi come segretario regionale del PCI sardo in una fase di svolta politica fondamentale nella storia d’Italia. Nell’Isola questo passaggio coincise con l’elaborazione e l’approvazione del Piano di rinascita, il cui iter politico istituzionale è ricostruito con grande spessore analitico dall’autrice in tutti i suoi complessi risvolti non solo regionali, ma anche a livello nazionale, in un quadro che comprende anche le dinamiche che interessarono il PCI nell’avvio e nei primi anni del centro sinistra. E anche su quest’ultimo piano la figura di Laconi emerge nella sua spiccata personalità. Mi limiterò qui solo ad accennare al fatto che se da una parte la sensibilità meridionalistica di Laconi e la sua attenzione alla costruzione delle alleanze tendevano ad avvicinarlo alle posizioni di Amendola piuttosto che all’innovativa ricerca di Trentin e di Ingrao, ma anche di Luciano Barca, sul neocapitalismo, dall’altra è riscontrabile in lui una forte tensione verso un’elaborazione e una autonoma progettualità del PCI sulle tematiche istituzionali, delle riforme e del “nuovo modello di sviluppo” che connotavano invece la sinistra del PCI e che lo distingueranno dal “primato della politica” che era un tratto caratterizzante della cultura tradizionale del psrtito e della stessa impronta togliattiana. Altre riflessioni sofferte e sorprendentemente precorritrici sull’incipiente deperimento della democrazia parlamentare appartengono all’ultimo lascito di Laconi, rimasto sconosciuto sino alla biografia di Maria Luisa Di Felice, ed è questo un altro dei suoi indiscutibili meriti.
In conclusione, è d’obbligo ricordare almeno le straordinarie doti oratorie di Laconi che ne fecero un protagonista della vita pubblica in Sardegna, nel Parlamento e nel paese, e all’opposto, la solitudine che circondò la sua vita privata in tempi in cui le tendenze omosessuali costituivano uno stigma pressoché insuperabile, il che non mancò a più riprese di condizionare, non senza profonda sofferenza, anche la sua esperienza di partito.

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