Carbonia. Non si fermano gli scioperi anche dopo la repressione

11 Luglio 2021
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Gianna Lai

Oggi, domenica, nuovo post sulla storia del movimento operaio di Carbonia dal 1° settembre 2019.

In “Difendere il popolo dalla miseria e dalla fame”, il dirigente comunista sardo Giuseppe Borghero ritorna sui provvedimenti del Governo che, proposti dai ministri comunisti, prevedono “il tesseramento differenziato, il prezzo politico del pane  e il ribasso del cinque per cento su tutti i prodotti non tesserati”. Piani concreti che “se attuati possono stroncare il mercato nero e garantire una più equa distribuzione dei generi razionati e una maggiore rivalutazione della capacità di acquisto degli stipendi e dei salari”. E sollecita Borghero,  anche in Sardegna, una  “analoga azione per strappare le masse popolari dalla miseria nella quale vivono”. A Carbonia,  una volta ricomposto il direttivo della Camera del lavoro dopo gli arresti  e i licenziamenti  dei quadri sindacali più in vista, Antonio Selliti il nuovo segretario, non si fermano gli scioperi nelle miniere del Sulcis, proprio a causa delle misere condizioni di vita in cui versano  gli operai. Mentre si rafforza il mercato nero, così nel resto della provincia, e niente possono le autorità, come denuncia lo stesso prefetto a marzo, dove si registra “crescente la tassazione di imposte dirette e indirette, che determinano il malcontento generale”. E la disoccupazione e la crisi degli alloggi e l’insufficienza dei generi razionati:  “grave la  preoccupazione  per la crisi alimentare e per la continua ascesa del prezzi, dilagante il borsanerismo di fronte a provvedimenti insufficienti  per affrontare il pauroso bilancio delle spese invernali”. Quanto mai “precarie le condizioni dell’industria e del commercio”.
Ancora agitazioni operaie a febbraio, quindi, in tutto il Sulcis Iglesiente. A Ingurtosu in sciopero 900 lavoratori, a Buggerru altri 250 dipendenti della Pertusola, per il mancato pagamento della contingenza e per ottenere  vestiario e scarpe: il loro ultimo sciopero a dicembre del 1946, quando gli operai avevano chiesto “l’allontanamento del capo servizio Boi Pietro, ex squadrista, che viene sistemato altrove” . E poi, in 2000 restano nei piazzali a Bacu Abis il 22 marzo, per protestare contro la perdita della giornata di lavoro il giorno di  San Giuseppe, considerato festivo dalla direzione Carbosarda.
E ancora a Bacu Abis, 1500 operai  si astengono per  un’ora dal lavoro contro l’opuscolo della SMCS sulla  situazione dell’Azienda  a seguito dello  sciopero del 26 gennaio. Un intervento a caldo della direzione, questo segnalato dal prefetto, sulle recenti manifestazioni di protesta, che salta direttamente la rappresentanza sindacale, “Agli impiegati e operai di Carbonia” è indirizzato, in data 27 marzo 1947. Vi si intende  “chiarire, alle maestranze, quanto si è fatto e si sta facendo, onde creare le condizioni necessarie per il progressivo sviluppo delle attività minerarie  nel Sulcis, cui è strettamente legata la possibilità di lavoro e di benessere della sana massa operaia”. Ma anche rilevare “il danno che a quest’ultima deriverebbe dal ripetersi di ingiustificate agitazioni”. E dice Ignazio Delogu in “Carbonia”, riprendendo a sua volta il documento, come l’Azienda non esiti  ad affermare che la minaccia che  incombe sulle miniere di Sardegna può diventare reale a breve scadenza,  a causa, in particolare, della qualità inferiore del carbone Sulcis, rispetto agli  altri carboni. Non tenendo evidentemente in alcun conto, prosegue l’autore a questo proposito, le obiezioni di tecnici e di scienziati sulle concrete possibilità, invece, del suo sfruttamento. Piuttosto tenendo invece  a sottolinere ancora, l’azienda, come  “i livelli di occupazione e di produzione attuali sono favoriti da condizioni eccezionali che andranno cessando con la ripresa economica e commerciale dei paesi devastati dalla guerra; …. per il momento in cui le condizioni della produzione e dei traffici si normalizzeranno, noi dobbiamo approntare i rimedi opportuni, perché altrimenti correremo il rischio di dover chiudere le nostre miniere, con la conseguenza di una penosa disoccupazione”. Il documento suona minaccioso,  così sembra interpretarlo lo stesso prefetto, e specie per i minatori ora che il movimento è in crisi dopo lo scompagianmento dei quadri sindacali. Gli operai rispondono tuttavia con lo sciopero, articolato nei vari settori e cantieri, una protesta che, senza soluzione di continuità, si protrae fino a maggio, mentre si fanno più intensi gli scioperi anche dei contadini per ottenere il premio della Repubblica, l’aumento dei salari e  l’assegnazione delle terre incolte.
In difesa di operai e contadini  la Confederazione generale del lavoro che prosegue, a livello nazionale,  la stagione del rinnovo dei contratti collettivi, dopo quello dei minatori; così i tessili già nel gennaio del 1947, nel maggio i poligrafici, a ottobre i dipendenti  dell’industria alimentari, e poi i bancari nel gennaio del ‘48. Sapendo tener testa alle lunghe e faticose trattative con gli imprenditori, per dover “tra l’altro superare la pregiudiziale della Confindustria,  che avrebbe voluto  contratti distinti per impiegati e operai”, come precisa Sergio Turone nella sua “Storia del Sindacato”. Ed in questo quadro non si può che sottolineare come gli scioperi del Sulcis risultino tra i più frequenti e numerosi, rispetto alle altre zone d’Italia se, ad esaltare la politica moderata della CGIL,  insieme all’ascendente che essa detiene tra le masse organizzate, è lo stesso Palmiro Togliatti in Costituente, come ricorda ancora Sergio Turone, l’Italia, “il paese dove hanno luogo meno scioperi”, dove quindi, “……da parte della classe lavoratrice e dei sindacati operai, si danno tutti gli esempi e si compiono tutti gli atti necessari per mantenere la disciplina della produzione,  l’ordine e la pace sociale”.

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