Le novità: voto a 18 anni per il Senato, la legge elettorale e il Pd

15 Luglio 2021
1 Commento


Alfiero Grandi

 

Il Senato ha approvato la legge che modifica la Costituzione decidendo che voteranno per il Senato anche quanti hanno compiuto 18 anni. Circa 4 milioni di giovani elettori/elettrici in più. Scelta condivisibile. Tuttavia questa proposta di modifica è passata a condizione di perdere per strada la corrispondente modifica dell’elettorato passivo, come in origine era previsto. In pratica i giovani potranno votare per i senatori ma non essere eletti e questo ne fa una modifica per lo meno dimezzata. Così i giovani vengono così considerati adatti per eleggere ma non per essere eletti, per questo la novità è debole.
Il voto a 18 anni per eleggere i senatori fa parte di un (teorico) pacchetto di ulteriori modifiche della Costituzione che nelle intenzioni, dichiarate pubblicamente dall’allora maggioranza del governo Conte 2, doveva correggere alcuni difetti evidenti del taglio dei parlamentari. Senza insistere ulteriormente sull’errore compiuto nel tagliare il numero dei parlamentari, gettando in questo modo la croce dei malfunzionamenti – che ci sono – del nostro sistema istituzionale sul parlamento stesso, è abbastanza evidente che allo stato dei fatti è difficilissimo che il pacchetto di ulteriori modifiche costituzionali arrivi al traguardo.
Questo potrebbe voler dire – ad esempio – che il superamento del limite dei confini regionali per attribuire i seggi del Senato (vincolo che non esiste per la Camera) resterà nelle prossime elezioni politiche e di conseguenza nelle regioni piccole non esisterà alcuna possibilità di proporzionalità nella rappresentanza perché il numero dei senatori da eleggere è troppo piccolo.
Accade quando si pratica la politica dei due tempi: prima c’è stata la certezza del taglio dei parlamentari poi sono entrate in sofferenza le correzioni ad alcune distorsioni conseguenti al taglio. Quella maggioranza non esiste più e di conseguenza oggi mantenere gli impegni è un terno al lotto.
L’arrivo del governo Draghi ha cambiato radicalmente lo scenario. Non solo perché gli impegni per quel pacchetto di modifiche non lo coinvolgono, ma soprattutto perché i lavori parlamentari nei prossimi mesi saranno quasi interamente impegnati dal PNRR e dalle cosiddette riforme, a partire dalla giustizia di cui si parla in questi giorni. Resta poco tempo libero e ancora meno attenzione a questi problemi che esulano dai focus del governo Draghi. Il parlamento dovrebbe avere una capacità di reazione, ma non l’ha avuta né quando si è trattato di decidere sul taglio del numero dei suoi componenti, né tanto meno nella discussione che si sta facendo sulle scelte del governo Draghi, in particolare sul PNRR, quindi sarebbe una sorpresa vederne la reazione su questi argomenti che sembravano fino a pochi mesi fa scontati.
Tra maggioranza di emergenza che sorregge il governo Draghi e parlamento in crisi di identità e di ruolo una reazione può venire da ciò che resta dei partiti. Una reazione che cerchi almeno di limitare i danni arrecati dall’acquiescenza di tutti i partiti al taglio dei parlamentari preteso dal Movimento 5 Stelle sia per ragioni identitarie che per tentare di sfuggire alla crisi che lo sta disgregando, peraltro senza alcun risultato.
Del pacchetto originario definito dalla maggioranza del governo Conte 2 solo il superamento dei confini regionali per eleggere i senatori è realmente indispensabile prima delle prossime elezioni per non ridurre la rappresentanza senatoriale delle piccole regioni a una sorta di monocolore, che avrebbe effetti ulteriormente distorsivi sulla rappresentanza delle diverse posizioni politiche dopo quelli dovuti alla riduzione a 200 dei senatori da eleggere. Vedremo se qualcosa si muoverà.
Quel che resta dei partiti dovrebbe anche considerare con maggiore preoccupazione gli effetti di una mancata modifica della legge elettorale in vigore e chiedere seriamente la discussione in sede parlamentare per riavviare il percorso di approvazione di una nuova legge elettorale. Attualmente in parlamento è tutto fermo, con poche speranze di rimettersi in movimento senza interventi e la crisi del Movimento 5 Stelle, le sue divisioni interne pesano molto su questo impasse.
L’iniziativa per rimettere in movimento la discussione sulla legge elettorale dovrebbe venire ora dagli altri partiti che al contrario sembrano continuare a giocare con il rinvio, in attesa delle elezioni amministrative di ottobre, salvo che dopo si scoprirà che sarà incombente l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e tutto potrebbe essere nuovamente rinviato.
Con la conseguenza che dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica si scoprirà che potrebbero riaprirsi i giochi per il voto anticipato, per ora bloccato dal semestre “bianco” durante il quale il Presidente in scadenza non può, neppure volendo, sciogliere le Camere. Dopo l’elezione del nuovo Presidente tutto è di nuovo possibile e l’interesse prevalente dei partiti potrebbe essere se mettere fine o no a questa legislatura.
In realtà quella attuale è la fase in cui si potrebbe tentare di iniziare a discutere e ad approvare una nuova legge elettorale proporzionale, nel cui ambito consegnare finalmente agli elettori e alle elettrici il diritto di scegliere direttamente i loro rappresentanti. Questo consentirebbe di pensare alla prossima legislatura come ad una fase quasi costituente, nella quale i partiti facciano i conti con i loro valori, se ne hanno, con i bisogni dell’Italia e con le diverse soluzioni proposte, senza più l’ombrello anestetico del governo di emergenza come avviene ora.
La maggioranza del governo Conte 2 ha perso tempo. Quando poteva approvare una nuova legge elettorale non l’ha fatto ed è arrivato all’enormità di pronunciarsi per il proporzionale negli stessi giorni in cui il governo dava attuazione alla ridefinizione dei collegi sulla base del taglio dei parlamentari e della legge approvata nel maggio 2019 dal governo giallo verde per rafforzarne il carattere maggioritario. La Lega aveva visto lungo, l’approvazione del taglio dei parlamentari poteva essere inglobata in una legge attuativa addirittura prima che il taglio fosse confermato dal referendum e così è stato, con il paradosso che il decreto attuativo è stato approvato dal governo giallo rosa che voleva una legge diversa. In conclusione prima di arrivare al governo Draghi l’Italia ha corso seriamente il rischio di votare ancora una volta con una legge incostituzionale come il rosatellum rimodulato da Calderoli, come giustamente denunciano i ricorsi di cittadini ed avvocati in corso di presentazione ai tribunali con l’obiettivo di arrivare a sottoporre alla Corte le ragioni di incostituzionalità di questa legge.
Perseverare nel rischio di votare con un rosatellum peggiorato sarebbe diabolico. Non si capisce quale convenienza dovrebbe averne la maggioranza dei partiti, sia a sinistra che a destra.
Prima vanno presentate agli elettori le diverse identità dei partiti, solo dopo il voto sarà possibile definire le alleanze possibili e preferibili. Soluzioni posticce come coalizioni create solo per avere la maggioranza in parlamento hanno già dimostrato di essere infauste e non hanno portato fortuna né alla destra né alla sinistra.
Quindi tutti dovrebbero scegliere di presentarsi agli elettori per verificare i propri consensi e dopo il voto cercare di costruire un’alleanza di governo credibile. Questo consentirebbe anche di chiudere definitivamente la stagione dei trasformisti, che non sono solo i singoli che passano da un gruppo all’altro ma soprattutto la migrazione di intere formazioni politiche come Italia Viva.
Il Pd e LeU dovrebbero riflettere seriamente sull’esigenza di non attendere oltre, anzi di impostare subito una discussione per tentare di arrivare ad una nuova legge elettorale proporzionale. Così potrebbero svolgere anche un ruolo di stabilizzazione verso il Movimento 5Stelle e verso le stesse componenti della destra che sotto la coltre delle stentoree dichiarazioni di unità hanno rivelato divaricazioni importanti. Una verifica si impone ora, altrimenti continuerà il logoramento del ruolo dei partiti con il rischio che anche l’eventuale attuazione dell’articolo 49 arrivi in ritardo.
Enrico Letta è segretario del Pd da alcuni mesi e ha chiarito che punta ad un nuovo partito, ottenere una nuova legge elettorale, in discontinuità con le leggi elettorali dal porcellum al rosatellum, contribuirebbe ad un futuro diverso per il Pd. Forse le agorà dovrebbero iniziare a discutere dalla legge elettorale.

1 commento

Lascia un commento